Mercati

L'oro vola sull'ottovolante dei dazi

Le quotazioni del metallo prezioso sono schizzate oggi sopra quota 2.900 dollari l'oncia (e sopra 86 mila franchi al chilo)
Per acquistare un chilo d'oro ieri ci volevano poco più di 86 mila franchi.
Dimitri Loringett
11.02.2025 22:30

Non solo acciaio e alluminio, ma anche i metalli preziosi sono «vittime» dei dazi dell’Amministrazione Trump. Non in modo diretto, beninteso, ma come «effetto collaterale». Oggi le quotazioni spot del metallo giallo hanno superato quota 2.900 dollari l’oncia (sui mercati asiatici oggi mattina il prezzo massimo toccato è stato di 2,942.70 dollari l’oncia), registrando da inizio anno l’ottavo massimo storico. Da gennaio a oggi il prezzo dell’oro è salito di circa trecento dollari l’oncia - e di cento dollari nel solo mese di febbraio. Anche la quotazione in franchi svizzeri è salita a livelli record, sopra 86 mila franchi al chilo (grazie anche all’attuale fase di rialzo del dollaro USA che influisce sul prezzo in franchi). La pressione a rialzo sul prezzo dell’oro è dimostrata anche dagli aggiornamenti dei target di prezzo proposti dagli analisti, come ad esempio quelli di EFG che nel giro di appena una settimana hanno corretto la propria previsione a breve termine da 2.850 a 3.000 dollari l’oncia.

Fattori «freschi»

Dietro alla «corsa all’oro» ci sono diversi fattori, alcuni non nuovi, altri «freschi». Iniziamo con i secondi, che sono alla base della revisione del target price di EFG e che si possono riassumere con le incertezze degli investitori sulle politiche commerciali degli Stati Uniti. In particolare i dazi: dopo quelli generalizzati annunciati la settimana scorsa per Canada e Messico (per ora sospesi) e Cina (nel frattempo «contraccambiati» da Pechino), lunedì Donald Trump ha decretato un ulteriore giro di vite delle tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio da diversi Paesi fino al 25%, aumentando così il rischio di una guerra commerciale su più fronti. I dazi, inoltre, sono visti come possibile causa di una nuova fiammata inflazionistica negli USA, il che ritarderebbe, tra le altre cose, l’allentamento della politica monetaria della Federal Reserve: le attese dei mercati per un taglio dei tassi del dollaro sono infatti rimandati almeno al mese di giugno. Occhi puntati quindi all’audizione del presidente della Fed Jerome Powell al Senato americano (v. sotto) e ai dati sull’inflazione (mercoledì pomeriggio): qualsiasi sorpresa nella testimonianza di Powell o del dato del Consumer Price Index potrebbe causare una correzione del prezzo dell’oro. Il metallo giallo, infatti, è considerato un bene d’investimento contro l’inflazione, ma un’indicazione che i tassi possano rimanere alti, se non addirittura salire, diminuisce l’attrattiva di questo asset. Inversamente, qualsiasi indicazione che la Fed possa prendere in considerazione un taglio dei tassi più rapido o più aggressivo - cioè con ritocchi di mezzo punto percentuale o più - sosterrebbe le quotazioni dell’oro.

Spinte «strutturali»

Come detto, la «corsa all’oro» è dovuto anche a fattori «non nuovi». Come scrivono gli analisti di EFG, il fattore dominante del rialzo delle quotazioni dell’oro risale almeno alla scorsa estate, quando gli investitori (asset manager, fondi hedge ecc.) si sono «posizionati» in previsione della presidenza Trump, acquistando oro e consolidando le posizioni long in portafolio. A questi si aggiungono le banche centrali di molti Paesi, come Cina e India, che nel corso del 2024 hanno effettuato importanti acquisti di oro fisico per le proprie riserve.

Inoltre, aggiungono gli specialisti di EFG, le promesse della campagna elettorale di Trump di «cambiare il mondo» (a favore dell’economia USA), in un momento in cui i mercati finanziari statunitensi erano in rialzo e la Fed stava tagliando i tassi d’interesse, hanno portato alla domanda di asset in dollari, innescando inoltre la domanda di oro a copertura dei portafogli in caso di shock sui mercati o sul commercio internazionale.

«Non abbiamo alcuna fretta di tagliare i tassi»

«Con la nostra politica significativamente meno restrittiva e con l’economia che resta forte, non abbiamo alcuna fretta» per tagliare i tassi. Lo ha detto martedì il presidente della Federal Reserve Jerome Powell nel corso di un’audizione davanti alla Commissione del Senato degli USA per le banche, l’edilizia e gli affari urbani. «Sappiamo che allentare troppo velocemente o troppo potrebbe mettere a rischio i progressi sull’inflazione. Allo stesso tempo sappiamo che un allentamento troppo lento potrebbe indebolire l’attività economica e l’occupazione», ha aggiunto il 72.enne Powell precisando che le aspettative di inflazione «sembrano restare ben ancorate».