Future minerals forum

Minerali, un’industria in piena trasformazione

La domanda di metalli è a livelli record e cresce di pari passo con gli sforzi per ridurre le emissioni di CO2 - Gli sviluppi del settore portano con sé nuovi equilibri economici, finanziari e geopolitici
Estrazione di cobalto in Marocco. ©Shutterstock
Gian Luigi Trucco
15.01.2022 06:00

Se il mondo riuscirà a conseguire i suoi obiettivi contrastando i mutamenti climatici globali, una parte del merito va all’industria mineraria ed alle sue trasformazioni, e ciò nonostante la reputazione non troppo positiva di cui il settore ha risentito fino ad oggi. È il messaggio emerso dal Future Minerals Forum, svoltosi a Riyadh dall’11 al 13 gennaio, e che ha visto la partecipazione di oltre 2.000 specialisti provenienti da 30 Paesi. La scelta della sede è avvenuta alla luce del piano di investimenti di 500 miliardi di dollari che l’Arabia Saudita ha impostato proprio nello sviluppo di attività minerarie strategiche, un tassello della diversificazione che, con petrolchimica, infrastrutture, sanità, istruzione, turismo, caratterizza il progetto Vision 2030.

Le tendenze del settore appaiono ben definite. La domanda di minerali e di metalli è in crescita e si intensifica la ricerca di giacimenti high-grade. Il mondo non ha mai avuto tanto bisogno di questi materiali come ora, per ridurre ed eliminare le emissioni (la cosiddetta «circular carbon economy»). I minerali sono componenti essenziali nelle tecnologie legate alle energie rinnovabili, nei veicoli elettrici, nei pannelli solari, nelle turbine eoliche, nelle batterie volte ad immagazzinare energia, nelle nuove realizzazioni bio-medicali.

La risposta del settore

L’industria mineraria asseconda le nuove tendenze e muta il proprio volto, con impianti più piccoli ma più efficienti, che impiegano meno energia e meno acqua, che inquinano meno attraverso l’adozione di nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale alle immagini satellitari, dai veicoli a guida autonoma ai droni. L’estrazione avviene con ampio impiego di laser, è più focalizzata e produce meno detriti. Questo comporta anche una trasformazione della mano d’opera impiegata: il minatore tradizionale è sostituito dal tecnico qualificato con nuove competenze. Secondo quanto è emerso al Forum, già nel 2025 le macchine avranno sostituito 85 milioni di posti di lavoro nel comparto minerario mondiale, ma 100 milioni di nuovi dovrebbero esserne creati grazie soprattutto alle operazioni condotte in nuove aree. Le «nuove frontiere» del settore sono il Medio Oriente, l’Asia Centrale, l’Africa Settentrionale ed Orientale.

L’accesso al capitale per lo sviluppo di questi progetti non è facile in quanto gli investitori percepiscono un profilo rischio-rendimento meno vantaggioso rispetto ad altre industrie. Ma un impulso, anche in termini finanziari, viene dai nuovi criteri di sostenibilità, di protezione ambientale, di eticità e dai contributi forniti alle comunità locali nelle aree di operazione. Episodi drammatici di inquinamento, come quello che ha riguardato il delta del Niger, dovrebbero appartenere al passato. D’altro canto, alcune aree di estrazione sono ancora teatro di conflitti o fortemente destabilizzate.

Si tratta dunque di tendenze che comportano trasformazioni di natura economica e finanziaria, ma anche geopolitica. L’attività dei gruppi cinesi in Africa è ampiamente consolidata. Uno dei punti della logistica marittima di Pechino ha i suoi hub in Africa Orientale, da Gibuti al Kenya e alla Tanzania. Enorme è poi il peso minerario della Russia, grazie alla ricchezza dei giacimenti sia nella terraferma siberiana che nell’Artico ora più libero dai ghiacci. Nella stessa crisi che avvolge il Kazakistan, un ruolo non secondario è legato al patrimonio di risorse minerarie che il Paese possiede e che fa gola a molti, al pari di quanto accade nelle Repubbliche adiacenti dell’Asia Centrale.

Tutto ciò potrebbe presto trasformare la classifica dei giganti dell’industria mineraria, che vede in testa, nelle operazioni su metalli tradizionali ed «emergenti», il gruppo anglo-svizzero Glencore, seguito a distanza dalle anglo-australiane BHP e Rio Tinto e dalla cinese China Shenua. Le evoluzioni tecnologiche potrebbero presto portare alla ribalta nuovi protagonisti. Cresce la domanda di alluminio (+5% da inizio anno), zinco, terre rare e del nickel, «re» delle batterie ma anche insostituibile nella siderurgia (+9%), oltre che il rame richiesto per vecchi e nuovi utilizzi. Un settore in crescita che vede aumentare la domanda di metalli speciali è poi quello biomedico, dal cromo alle leghe di cobalto e titanio. Infine una rivitalizzazione del comparto dell’energia nucleare può presto condurre ad una maggiore richiesta di uranio e torio.