Commercio internazionale

«Navigare» tra le incertezze

La questione dei dazi doganali che Washington ha imposto anche alla Svizzera era al centro dell’annuale Forum di Switzerland Global Enterprise
© EPA/Ronald Wittek
Dimitri Loringett
03.05.2025 06:00

Appena un anno fa si guardava al futuro con spirito innovativo guidati dalla «sostenibilità» quale motore di crescita per le imprese svizzere. Oggi la direzione è decisamente meno chiara, tant’è che all’annuale Forum del commercio internazionale di Switzerland Global Enterprise (S-GE), tenutosi mercoledì al Congress Center Basel, la parola d’ordine era «navigare» - i cambiamenti, l’incertezza, le sfide ma anche le opportunità. Al centro delle discussioni, chiaramente, gli Stati Uniti che, con l’offensiva dei dazi lanciata dall’Amministrazione Trump, stanno scombussolando gli equilibri del commercio globale. Il prossimo 9 luglio scadrà il periodo di «pausa» di 90 giorni annunciato dal presidente USA e la Svizzera figura tra i 15 Paesi «privilegiati» con cui gli Stati Uniti intendono negoziare per trovare una soluzione alla questione dei dazi doganali. «Nessuno al mondo sa quale sarà l’esito di queste negoziazioni e ciò rappresenta una sfida per le aziende perché è difficile prepararsi per qualcosa che non si conosce ancora», afferma al CdT Simone Wyss Fedele, CEO di S-GE. L’esito potrebbe essere molto estremo, «da nessuna tariffa a tariffe superiori al 30%», ipotizza Wyss Fedele, mentre la tariffa base del 10% che Washington intende imporre a tutti i Paesi «è senz’altro uno scenario ed è quello che le aziende svizzere stanno tenendo in conto per le loro valutazioni. Ma se tutti gli attori avranno lo stesso aggravio, sarà gestibile. Le aziende dovranno poi decidere se trasferire i costi aggiuntivi ai loro clienti, oppure se assorbirli, il che implicherebbe, tra le altre cose, attuare dei programmi di efficienza».

Sullo stato delle negoziazioni la dirigente non ha aggiornamenti da fornire. La delegazione svizzera ha appena iniziato le discussioni, «ma le aziende non aspettano e si stanno preparando, per esempio incrementando le scorte di materiali o componenti in loco, ma anche adattando i loro piani operativi». Fra queste attività, vi sono anche le valutazioni più profonde, ovvero se restare nel mercato USA oppure no. In Europa, infatti, già circolano notizie di aziende, specie relative alle PMI, intenzionate a «guardare altrove» per sviluppare i loro affari. «Le difficoltà sussistono per tutte le aziende, piccole e grandi», afferma Wyss Fedele. «Per le PMI svizzere - continua - il mercato USA è e rimarrà importante. Riguardo alle diverse centinaia di aziende che sono già presenti o attive negli Stati Uniti e alle quali S-GE fornisce assistenza, la più parte non ha l’intenzione di uscire da quel mercato, piuttosto stanno pensando a come organizzarsi per rimanere competitive. Anzi, osserviamo anche una tendenza a voler incrementare la presenza nell’area nordamericana».

«Un diamante in Europa»

Gli Stati Uniti restano tuttora il più importante mercato per l’export svizzero, secondo solo all’UE nel suo insieme. Ma, sempre come singolo Paese, gli USA sono diventati anche il primo partner della Svizzera per la fornitura di servizi, mentre per gli investimenti diretti in America la Confederazione è sesta al mondo, con oltre 350 miliardi di dollari confluiti nell’ultimo quinquennio e oltre 400 mila impieghi ben retribuiti creati. Argomenti concreti, questi, che sono sul tavolo delle discussioni in corso tra Washington e Berna. «Un nostro interlocutore negli USA mi ha detto che la Svizzera è un “diamante in mezzo all’Europa”», ha raccontato, in apertura di una delle sessioni di approfondimento del Forum, l’ambasciatore Ivo Germann, capo della Direzione dell’economia esterna presso la Seco. «E non siamo più un “buco nella ciambella” (della Nato, ndr)», ha aggiunto, riferendosi all’infelice affermazione di due anni fa dell’ex ambasciatore USA in Svizzera Scott Miller riguardo alla posizione neutrale di Berna rispetto al conflitto ucraino.

L’aneddoto è incoraggiante per l’esito delle trattative con Washington, ma in più occasioni durante il Forum è sorta la domanda riguardo alle alternative agli USA. «Ci sono naturalmente altri mercati da esplorare - ha detto Martin Hirzel, presidente di Swissmem, durante la sessione plenaria del Forum - ma non dimentichiamo che l’UE rimane di gran lunga il nostro mercato di riferimento, soprattutto per il settore della tecnologia meccanica ed elettronica, si pensi all’industria dell’auto tedesca, da cui dipendono 30 mila impieghi in Svizzera». Per inciso, sull’automotive Hirzel ha suggerito alle aziende che vi operano di «focalizzarsi meno sui motori a combustione, piuttosto sui prodotti o componenti dual use (duplice impiego, ndr), che hanno mercati molto interessanti».

Avanti con gli Accordi di libero scambio

Restando sulle alternative agli USA, la CEO (e prevista futura presidente) di S-GE ci spiega che in un mondo guidato sempre più dalla geopolitica la tendenza è quella di «regionalizzare» e diversificare le proprie attività. «La produzione in loco avviene già da tempo con Paesi quali la Cina, grazie anche all’Accordo di libero scambio (ALS) che abbiamo con essa, ma da alcuni anni lo vediamo anche con altri e lo vedremo sempre di più con gli USA», indica la nostra interlocutrice. Riguardo invece alla diversificazione, «è buona cosa che il Governo federale promuova gli ALS, che non solo sollevano l’interesse per questi Paesi, ma lanciano anche un segnale importante che lì si creeranno ambienti attraenti e sicuri per fare affari. Questo lo abbiamo visto con l’ALS siglato con l’India: l’anno scorso il numero di richieste di assistenza da parte dei nostri associati è quadruplicato e l’India è ormai fra i primi tre Paesi in termini di progetti di sviluppo imprenditoriale delle aziende svizzere che seguiamo». Per S-GE anche la regione sudest asiatica è molto interessante «perché ci sono stabilità e buone infrastrutture e guardiamo con particolare fiducia agli ALS in corso di negoziazione con la Thailandia e la Malaysia. Quest’ultima, in particolare, è diventata una sorta di Silicon Valley dell’estremo Oriente, grazie anche alle strette collaborazioni con Singapore dove il settore biotech è molto avanzato».

Insediamenti in Svizzera

Dal 2008, S-GE ha un secondo mandato, quello di promuovere la Svizzera quale piazza economica, con attenzione rivolta all’insediamento di leader globali dell’innovazione. Nel 2024, la Confederazione ha visto incrementare gli insediamenti di questo genere di aziende, in un contesto globale che vede invece diminuire gli investimenti diretti (in Europa addirittura del 45%).

Gli USA sono il Paese che investe di più nella Confederazione, ma con i dazi di Trump le cose potrebbero cambiare. Si pensi al caso della Hamilton, società leader nel settore della tecnologia medicale, la cui sede europea è basata nei Grigioni, che a inizio aprile ha annunciato il «rimpatrio» negli USA di alcune sue linee di produzione e fra 100 e 200 posti di lavoro. «Certo, non è una buona notizia, ma bisogna considerare che proprio grazie a società come Hamilton nella regione ci sono stati degli spin-off e si è sviluppato un ecosistema nel settore medicale», commenta Wyss Fedele.

Ma per una società che disinveste, ce ne sono altre che investono: è di settimana scorsa la notizia, passata un po’ in sordina, dell’arrivo in Svizzera del colosso tecnologico giapponese NEC Corp., che a Zurigo insedierà la sua divisione Digital Government and Digital Finance. «La Svizzera era fra le tre destinazioni possibili e non è stato facile spuntarla - commenta in conclusione Simone Wyss Fedele - ma il carattere altamente innovativo del polo zurighese, che si è sviluppato moltissimo negli ultimi due decenni, ha fatto la differenza ed è questo genere di investimenti che cerchiamo e che promuoviamo».

«Gli Stati Uniti sono l’unico mercato in crescita al momento»

Novanta giorni per discutere e negoziare una soluzione per le tariffe doganali non sono moltissimi, nemmeno per chi, come la Svizzera, ha il «privilegio» di essere nel gruppo di 15 Paesi ai quali l’Amministrazione Trump ha concesso colloqui prioritari.

Ne sa qualcosa Rahul Sahgal, CEO della Swiss-American Chamber of Commerce, che in queste settimane è molto sollecitato, anche dai media. Lo abbiamo incontrato a margine del Forum di S-GE per chiedere un aggiornamento sul processo in corso. «Al momento attuale si sta lavorando su una lettera d’intenti fra Stati Uniti e Svizzera per stabilire quali aree (prodotti, industrie ecc. ndr) si vogliono coprire e, in seguito, capire che cosa significa questo per le nostre tariffe», spiega Sahgal, a cui chiediamo se la tariffa base generalizzata del 10% - che, precisiamo, si aggiunge a quella attuale del 2,2% - verrà mantenuta oppure no. «La mia opinione generale - risponde - è che se non adottiamo tariffe industriali per i prodotti statunitensi e se concediamo loro ancora di più in termini, ad esempio, di alcune barriere non tariffarie o di aprirci in aree come i prodotti agricoli non concorrenti, allora dovremmo effettivamente scendere dalla media del 2,2% che abbiamo ora a zero».

Riguardo invece alle valutazioni delle aziende svizzere se rimanere nel mercato americano oppure no, l’esperto distingue fra quelle che esportano soltanto - se rinunciano al mercato USA, non hanno un costo aggiuntivo in quanto «perdono semplicemente una quota di mercato» - e quelle che invece producono negli Stati Uniti, dove «il rischio principale è quello di avere una recessione, che non possiamo giudicare ora», afferma Sahgal. «L’unico mercato in crescita al momento nel mondo - aggiunge - nonostante qualche scossone, è quello statunitense. Francia, Germania, Cina, Regno Unito e perfino l’India sono in confronto ancora piccoli ».

Nel commercio internazionale si dimentica spesso che ne fanno parte - e in modo tutt’altro che marginale - i servizi, in particolare quelli finanziari. La guerra commerciale può avere un effetto su questo settore? Ancora Sahgal: «I mercati finanziari soffrono piuttosto fenomeni quali la stagflazione o la recessione perché, banalmente, se calano i valori azionari in Borsa, gli investitori perdono ricchezza. Questo, di riflesso, ha un impatto sull’industria finanziaria, in particolare la gestione patrimoniale».

Infine, al responsabile della Camera di commercio USA-Svizzera chiediamo un parere sul «dietro le quinte» dello «show» che Donald Trump ci propone ormai quotidianamente. «Trump, da sempre, vuole accordi commerciali reciproci con gli altri Paesi. Credo che stia mettendo ora in atto le cose “meno piacevoli”, di modo che verso la fine dell’anno possa attuare quelle “belle”, ovvero la sua politica fiscale (sgravi) e la liberalizzazione ulteriore dell’economia, con l’obiettivo di vincere le elezioni di metà mandato l’anno prossimo. Guarderei quindi alla situazione fra un anno, anziché a quella fra novanta giorni», conclude Rahul Sahgal.