«Nei rapporti con la Cina dobbiamo osare di più»

La Svizzera ha stretto un importante accordo commerciale con la Cina. Abbiamo chiesto a Gianluca Olivieri, CEO di Financial Technologies di Lugano, gruppo che dalla Svizzera e dalla Cina offre servizi specialistici a imprese ed imprenditori, di fare un punto sulla situazione. La società ha festeggiato i 10 anni di esistenza.
A vostro avviso come stanno evolvendo i rapporti commerciali e le alleanze aziendali fra il Ticino e la Cina?
«La Cina è ormai diventata un mercato aperto, del quale Ticino e Svizzera conoscono ancora troppo poco. Rapporti commerciali ed alleanze strategiche fra Ticino e Cina sono ancora poca cosa. Poche imprese ticinesi sono davvero in Cina. Qualcuna esporta una minima parte della propria produzione. Per il resto si conta qualche iniziativa di gemellaggio di stampo istituzionale, come ad esempio quella tra Lugano e Zhenjiang, da noi originata nel 2015 e successivamente sviluppata in autonomia dalle parti».
Quali sono i principali scogli da superare per un’impresa ticinese che vuole trovare un partner cinese?
«Lo scoglio principale è la scelta del dispositivo d’ingresso. Molti imprenditori seguono un approccio ‘destrutturato’: visitano le fiere, dialogano con soggetti asiatici, e rientrano convinti di avere trovato partner in grado di far decollare il loro prodotto. Niente di più sbagliato. Le fiere sono appannaggio della microimpresa cinese. I partner più seri e solidi non frequentano le fiere di settore, ma sono unità di conglomerati che si muovono oggi in modo molto più riservato e sofisticato».
Voi avete già assistito a controversie fra società svizzere e cinesi? Quali lezioni ne avete tratto?
«Le controversie sono un aspetto tipicamente sottovalutato dall’imprenditore desideroso di sostenere lo sviluppo della propria impresa. Ma i litigi sono un tema cruciale. In assenza di un dispositivo contrattuale adeguato, gli aspetti culturali incidono ancora moltissimo in Cina, e sempre a sfavore del soggetto straniero. Con un dispositivo contrattuale adeguato, invece, l’autorità giudiziaria cinese non è più disposta a tollerare certe dubbie condotte, tipiche del passato. L’accordo bilaterale con la Svizzera contempla un dispositivo semplice ed efficace».
Secondo la vostra esperienza, quali sono le caratteristiche che devono avere le società svizzere per interessare le imprese cinesi?
«L’operatore cinese ragiona oggi in funzione dei bisogni del suo mercato domestico, per una serie di ragioni. La prima, di natura opportunistica, legata alla crescita dei consumi interni. La seconda, di natura politica, legata alle nuove disposizioni emanate dall’autorità centrale, che prescrivono cosa può essere acquistato (e come) e cosa invece no. Le attività di maggiore interesse per gli operatori cinesi sono quelle legate allo sviluppo di prodotti e servizi che possano essere offerti al loro mercato interno: tecnologie produttive, tecnologie per l’ambiente, e brand che possano in qualche modo permettere di acquistare ‘titoli nobiliari’ nei prodotti a più largo consumo. Questi sono gli oggetti del desiderio degli Investitori cinesi autorizzati ad effettuare investimenti all’estero».
Quale strategia adottano le imprese cinesi nella gestione delle attività acquisite?
«Gli investimenti cinesi sono oggi ‘funzionali’ al soddisfacimento di bisogni di consumo. Le strategie di acquisizione si sono adeguate a questo. Non esistono più le delegazioni di un tempo, che visitavano l’Europa alla ricerca indifferenziata di imprese da acquisire. Oggi la selezione avviene in maniera professionale, sulla base di considerazioni strategiche legate ai nuovi diktat politici, attraverso metodologie più specifiche. L’acquisizione cinese avviene in punta di piedi. Le caratteristiche distintive delle imprese acquisite non vengono mai snaturate, perché sono proprio loro ad interessare maggiormente. L’azionista cinese desidera che l’impresa partecipata continui a sviluppare idee e prodotti anche dopo l’acquisizione, esattamente come faceva prima. Ciò che cambia è l’accesso ai capitali, e ad un mercato altrimenti inaccessibile; elementi essenziali per trainare la cifra d’affari di qualsiasi impresa».
Quanto è importante la Svizzera nella strategia commerciale estera della Cina?
«L’accordo bilaterale sino-svizzero costituisce un banco di prova fondamentale nell’esportazione dell’immagine della Cina sulla scena internazionale, come partner strategico e commerciale. In un futuro di medio termine la Cina concluderà certamente altri trattati simili a quello concluso con la Svizzera. Ma adesso è attraverso la partita sino-svizzera che passa il riscatto cinese agli occhi europei. La Svizzera dovrebbe incentivare le sinergie, sostenere gli scambi, favorire accordi fra Enti e imprese, con la consapevolezza e la fiducia nel fatto che la Cina farà il possibile per dimostrare la propria affidabilità».
A suo avviso la Svizzera sta sfruttando pienamente le potenzialità del trattato commerciale con la Cina?
«Come avviene ovunque, anche in Svizzera troviamo regioni più dinamiche di altre nel cogliere le opportunità derivanti dagli accordi commerciali, che vanno ben oltre il tema dei dazi. Noi osserviamo come la Svizzera cominci ad essere vista come piattaforma ottimale anche dalle imprese europee».