Onde d’urto sui mercati globali, fuga verso i beni rifugio

Rosso, anzi rosso cupo: un solo colore ha dominato oggi sui mercati, dopo la decisione di Vladimir Putin di «reagire alle interferenze straniere» nel Donbass. Gli investitori hanno cercato riparo nei cosiddetti beni rifugio, ma a predominare in tutte le asset class è stato un forte nervosismo. Mentre l’indice della paura VIX è schizzato a 36 punti (+18%), la Borsa russa è crollata lasciando sul terreno oltre il 40%, con le contrattazioni che sono state interrotte a più riprese. In sei giorni le perdite hanno superato il 60%. Anche il rublo ha sofferto con un calo del 6% contro dollaro e del 5% contro euro, costringendo la Bank of Russia ad allestire piani di intervento a sostegno del mercato.
Le vendite hanno travolto pure le Borse di tutta Europa, inclusa Zurigo, con pesanti perdite comprese tra il 3 e il 5%. Anche i listini asiatici hanno reagito con forti cali seppur meno marcati (attorno al 2%). Negli Stati Uniti invece i futures americani di Dow Jones, S&P500 e Nasdaq nella notte sono crollati. Wall Street ieri sera perdeva tra il 2,5% e il 3,5%.
Dalla Russia, agli Stati Uniti all’Europa, il settore bancario è tra quelli che hanno sofferto di più, a causa del rischi di una estromissioni di Mosca dal sistema di pagamento internazionale SWIFT. «Gli investitori navigano a vista - commenta Filippo Fink, investment specialist della banca EFG -. Dubitiamo che ci siano sviluppi positivi della situazione a breve e in un contesto così prendere decisioni in portafoglio è difficilissimo». Secondo Fink è troppo presto quindi per pensare alle eventuali opportunità che nascono da ogni crollo. «Per il momento è importante evitare il panico da vendita, che è la cosa peggiore nelle situazioni turbolente. Ovviamente se la situazione dovesse precipitare ulteriormente, sarà necessario fare altre valutazioni».
Dall’oro al franco
Mentre i cannoni tuonavano l’oro brillava, raggiungendo i 1.974 dollari l’oncia, cioè il livello più alto da settembre 2020. Per gli analisti il bene rifugio per eccellenza rimarrà un asset interessante sicuramente finché perdurano le tensioni nell’Est Europa. «Non escludiamo che il prezzo tocchi presto i 2.000 dollari», spiega l’esperto di Heraeus Marc Löffert. Ma la corsa verso i beni rifugio ha toccato anche i titoli di stato tedeschi e statunitensi, con i rendimenti in netto calo in testa agli acquisti. Tuttavia, sottolinea Alan Mudie, capo degli investimenti di Woodman «le persistenti pressioni inflazionistiche che vediamo limiteranno probabilmente l’entità del ribasso dei rendimenti». A livello di valute, il franco contro euro è sceso fino a 1,0289, il livello più caro dall’abolizione della soglia minima di cambio nel 2015. «La corsa ai beni rifugio tocca naturalmente anche franco e dollaro - continua Fink -. L’euro è la valuta più penalizzata perché nel breve periodo reagisce negativamente quando le cose vanno male».
E infine, il bitcoin ha confermato ancora di non essere annoverato tra i beni rifugio dagli investitori. La regina delle criptovalute è arrivata a perdere l’8% per poi risalire e stabilizzarsi attorno ai 36.000 dollari. Ma potrebbe assumere un altro ruolo di rilievo in questo conflitto: cinque giorni fa il governo ucraino ha legalizzato il bitcoin invertendo completamente la linea di Kiev. Mentre le tensioni montano infatti, come già dimostrato durante le proteste in Canada, l’utilizzo criptovalute da parte di ONG ucraine e gruppi di volontari per il crowdfunding di guerra (sostegno ai civili e ai feriti) è esploso.
Normalizzazione più lenta?
Mentre tutti gli occhi sono puntati su Kiev, negli USA le scommesse sui rialzi dei tassi della Fed sono crollate. Per gli investitori la probabilità di un aumento di 50 punti base a metà marzo è scesa al 25% (prima era il 40%), mentre quella di sette rialzi entro la fine dell’anno è scesa dal 55% al 20%. Si fa anche più difficile la situazione della BCE, che cerca il compromesso tra sostegno alla crescita, lotta all’inflazione e ora l’esposizione delle banche europee alla Russia in termini di crediti corporate. Ieri c’è stato anche un incontro informale del consiglio direttivo della BCE in vista della riunione di marzo. «Con la crisi ucraina che domina le discussioni, la BCE non ha più la stessa urgenza di precipitarsi nell’azione», ha commentato Carsten Brzeski, capo economista presso la ING. Il conflitto, ha confermato ieri sera l’economista della BCE Isabel Schnabel, potrebbe ritardare anche la fine degli stimoli monetari dell’istituto.