«Per salvare il settore turistico dal crollo, la Spagna necessita di ingenti aiuti dall’UE»

La pandemia da coronavirus ha causato l’eliminazione di oltre un milione di posti di lavoro in Spagna, colpendo soprattutto settori come la ristorazione ed il comparto alberghiero, molto legati alla presenza di turisti stranieri. Ne abbiamo parlato con l’economista Jordi Alberich, analizzando anche il recente aumento dei contagi registrato nel Paese iberico.
Signor Alberich, qual è stato l’impatto della pandemia sul tessuto economico e sociale della Spagna?
«Il crollo del PIL spagnolo, ipotizzabile fino al 10-15% nell’anno in corso, non è molto diverso da quanto accade in tutto il mondo occidentale, dagli USA al Regno Unito. Bisogna perciò inquadrare la situazione spagnola in un contesto di crisi generale, focalizzandosi su alcune peculiarità dell’economia spagnola, come l’enorme peso del turismo. Un settore che ha patito più di tutti l’impatto del coronavirus in termini di perdite registrate».
L’enorme dipendenza dal settore turistico, che rappresenta il 12% del PIL nazionale, complica i piani di ripresa della Spagna?
«A differenza della crisi economica del 2008, che rivelò la scarsa competitività di alcuni settori dell’economia spagnola, in primis quello della costruzione, la crisi generata dalla COVID-19 ha colpito un settore altamente competitivo ed in ottima salute come il turismo. Il problema principale sta nella tempistica della crisi attuale, che in Spagna ha colpito all’improvviso un settore che dà lavoro ad oltre 2,5 milioni di persone. Altri tipi di attività, per propria natura, trovano vie d’uscita dinanzi ad una crisi, ma un contesto contrassegnato dall’incertezza, come quello attuale, rende impossibile il pieno recupero del comparto turistico».
Come valuta il piano di aiuti varato in favore del settore turistico? Una decisione che riguarda anche i due milioni di turisti svizzeri che ogni anno, in media, raggiungono la Spagna.
«Si tratta di una scelta inevitabile da parte del Governo, obbligato a salvare un settore chiave per l’economia nazionale. Tuttavia gli oltre 4 miliardi di euro stanziati a sostegno del comparto turistico, che ha riportato perdite milionarie, possono fare ben poco se non vengono supportati da aiuti europei, indispensabili per garantire la liquidità necessaria alla sopravvivenza di imprese e famiglie. Trattandosi di una crisi economica di proporzioni simili ad un contesto post bellico, sarà fondamentale capire come verranno ripartiti i 1.350 miliardi di euro promessi dal programma di aiuti anti-pandemia (PEPP) della Banca centrale europea».
Molti commercianti ed operatori del settore della ristorazione considerano però insufficienti e tardive le misure adottate da Madrid per contrastare gli effetti del coronavirus....
«Comprendo le loro preoccupazioni, ma credo che il Governo stia agendo correttamente, dando ascolto a tutti gli attori economici del Paese. In tal senso mi sembra molto importante la proroga del meccanismo degli ERTE fino al 30 settembre, che garantisce la sospensione temporanea dei contratti di lavoro dei dipendenti, di cui si fa carico lo Stato. La difficoltà principale per il Governo spagnolo sta nella minore capacità di azione rispetto ad altri Paesi europei, che vantano una minore esposizione del debito pubblico ed, in generale, conti pubblici migliori di quelli esibiti dalla Spagna».
Cosa comporterebbe una nuova ondata di coronavirus?
«L’imposizione di una nuova quarantena sarebbe devastante per l’economia spagnola, ma in tal senso non possiamo fare altro che rimetterci alla scienza perché tutto dipende dall’evoluzione del virus. Le notizie di questi giorni provenienti dalla Catalogna, dove si registra un’impennata del numero di contagi, sono preoccupanti ed acuiscono il clima di incertezza e paura degli operatori economici. Il compromesso dell’Unione europea con il sud dell’Europa diventa ancor più fondamentale a questo punto, trattandosi di economie deboli che hanno bisogno di aiuti economici a fondo perduto, in base al diverso grado di emergenza generato dalla COVID-19. Non si tratta di una questione di solidarietà, quanto piuttosto di interessi comuni a corto termine, in primis dei Paesi del nord Europa che sono i grandi beneficiari del mercato unico europeo».
