Processi e non progetti per donare con impatto

Con oltre 13 mila fondazioni di utilità pubblica e un patrimonio totale stimato di quasi 140 miliardi di franchi, la Svizzera è una delle più importanti sedi filantropiche del mondo. Pro capite, un numero di entità filantropiche sei volte superiore a quello degli Stati Uniti o della Germania.
Sono cifre importanti, specie se rapportate a quelle europee: nel Vecchio Continente si contano infatti oltre 47 mila fondazioni di pubblica utilità registrate, con oltre 500 miliardi di euro - tra patrimoni e dotazioni - e 60 miliardi di spesa annua. «Ma non conta solo la quantità, bensì la qualità, che oltretutto sta crescendo», ha precisato Carola Carazzone, vicepresidente di Philea (associazione mantello europea delle fondazioni filantropiche), intervenuta oggi alla plenaria introduttiva della seconda «Biennale della Filantropia» di Lugano promossa da cenpro e sostenuta da Credit Suisse.
L’esperta ha spiegato ai partecipanti accorsi al Palazzo dei Congressi che, rispetto alla donazione una tantum, «la filantropia deve essere capace di avere impatto sulle cause profonde (povertà, degrado sociale e climatico ecc., ndr), deve poter incidere e, soprattutto, avere un effetto “valutabile”».
Carazzone ha in seguito illustrato il concetto di «cambiamento sistemico» che, in parole molto semplici, è il passaggio dalla beneficenza a qualcosa che ha conseguenze effettive. «Fornire servizi diretti e procurare un immediato sollievo dei bisogni - ha spiegato - è diverso dal lavorare per cambiare mentalità e sistemi al fine di affrontare le cause profonde di un problema con una prospettiva a lungo termine. Il cambiamento sistemico avviene quando un’innovazione diventa irrefrenabile e inizia a essere una pratica diffusa, quando i comportamenti, le norme e le leggi cominciano ad adeguarsi. Il cambio di paradigma avverrà quando questa pratica avrà trasformato la mentalità delle persone, quando sarà considerata normale».
In questo contesto di «filantropia strategica», la vicepresidente di Philea ha infine sottolineato come non funzionano più le modalità di finanziamento basate su progetti orientati sui meri risultati e sul breve termine, nonché progetti vincolati, avversi al rischio, di portata limitata o troppo modesti. «È meglio adottare approcci flessibili - ha spiegato - con valutazione dell’impatto, ovvero dell’“output” anziché dell’“input”. Vanno sviluppati progetti orientati alle soluzioni e le fondazioni devono essere pronte anche ad assumere rischi».
La «nicchia» di Federer
«Dai il pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita». Questo famoso adagio attribuito a Confucio è stato usato dalla relatrice ospite Janine Händel, CEO della Fondazione Roger Federer, per illustrare l’approccio adottato dall’organizzazione costituita 20 anni fa dall’ancora giovane tennista «che non era ancora diventato numero uno al mondo, ma che già si poneva domande su come poter aiutare gli altri».
Attiva soprattutto nel centro Africa, la fondazione focalizza la sua azione sull’istruzione precoce dei bambini in età prescolastica (asilo), «una nicchia, ma molto “redditizia” in termini di impatto», ha affermato Händel, che ha spiegato come il «processo di empowerment», a differenza dei tradizionali progetti, «agevola qualcosa che è già in moto. Noi non creiamo nuove strutture (per esempio asili, ndr), ma collaboriamo con le persone in loco per renderle consapevoli, diamo loro potere (empowerment, appunto, ndr) alle comunità locali tramite processi di mentoring e partenariati».