Il dibattito

Reattori nucleari e rinnovabili: chi guiderà il futuro energetico della Svizzera?

Esperti politici rilanciano la discussione sulla sicurezza dell’approvvigionamento e sulle tecnologie innovative, senza escludere l’atomica
La sala di controllo della centrale di Beznau, nel Canton Argovia, il primo costruito in Svizzera. Il reattore 1 è in funzione dal 1969, il reattore 2 dal 1972. © Keystone/Christian Beutler
Dimitri Loringett
06.09.2025 06:00

«Il vero oro del futuro è la flessibilità», cioè la capacità di gestire in maniera integrata le produzioni energetiche tradizionali, programmabili, con quelle nuove rinnovabili (e non programmabili). Il concetto è stato espresso da Paolo Rossi, già CEO di AET, intervenuto giovedì sera al secondo appuntamento del ciclo dedicato al futuro energetico della Svizzera che si è tenuto nella caratteristica cornice del Dazio Grande a Rodi-Fiesso.

Il titolo dell’incontro pubblico evoca un tema che presto scalderà sicuramente il dibattito politico ed economico nella Confederazione: «Il nucleare che torna». Dibattito che a Berna è già in corso e che riguarda la questione dell’approvvigionamento energetico sicuro, emersa con urgenza a seguito della crisi del 2022 scaturita dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Poco più di un anno fa, ricordiamo brevemente, è stata depositata a Berna l’iniziativa «Energia elettrica in ogni tempo per tutti (Stop al blackout)», a cui il Consiglio federale ha posto in consultazione un controprogetto indiretto, con un messaggio che è stato adottato lo scorso 13 agosto. «Il concetto di approvvigionamento energetico è cambiato – ha detto durante il suo intervento il consigliere agli Stati ticinese Marco Chiesa, precisando che «essere favorevoli al nucleare non significa essere contrari alle rinnovabili». L’iniziativa, ha spiegato, mira a modificare l’art. 89 della Costituzione, inserendo un capoverso secondo il quale sono ammissibili tutti i tipi di produzione di energia elettrica rispettosi del clima, come appunto quella nucleare. Con il controprogetto indiretto, invece, il Governo intende agire sul piano della legge affinché in Svizzera possano nuovamente essere autorizzate nuove centrali nucleari, fornendo così un’opzione attuabile per garantire la sicurezza a lungo termine dell’approvvigionamento energetico del Paese.

«Energia uguale politica uguale potere»: è l’equazione che Giovanni Leonardi, presidente uscente di AET, ha messo sul tavolo per iniziare la discussione, moderata da Luca Soncini, ripercorrendo anche brevemente la storia del nucleare in Svizzera, iniziata nel 1969 con la centrale di Beznau e che conta ancora quattro impianti. «Il nucleare è tutt’altro che morto», ha affermato l’ingegnere, indicando come nel mondo vi siano 416 centrali in funzione, 70 in costruzione – di cui circa un terzo nella sola Cina – e attorno a 100 progetti in corso. Leonardi ha poi fatto il punto sul cruciale tema dei prezzi: «Nei giorni soleggiati, sul mercato all’ingrosso in Europa i prezzi sono bassissimi, addirittura negativi. Quest’anno abbiamo già registrato 400 ore con prezzi negativi solo nel trimestre estivo. Sull’arco di un anno, abbiamo duemila ore di sole e, secondo degli studi effettuati in AET, se continuiamo di questo passo arriveremo ad avere circa mille ore con prezzi negativi. Quindi abbiamo un surplus e questa è una bella notizia. Tuttavia, non vorremmo che dal pomeriggio in avanti i prezzi schizzino verso l’alto: in Europa continentale si spengono sempre di più centrali nucleari e a carbone, per cui durante le cosiddette “ore scure” c’è mancanza di energia. Sono convinto che i segnali ci indicano che il sistema non sta funzionando bene, sta peggiorando».

Sui prezzi è poi tornato Paolo Rossi, esprimendo una critica costruttiva, con i pro e contro della questione, molto più complessa dell’equazione indicata dal collega Leonardi, che «infiamma più i politici che non chi deve investire in queste tecnologie». Per Rossi, bandire una tecnologia a priori è sbagliato e il danno più grave provocato dal voto popolare del 2017 per la progressiva uscita dal nucleare è quello di aver perso le conoscenze acquisite a partire dagli anni Cinquanta. «Abbiamo distrutto la ricerca in questo ambito tecnologico-scientifico, pregiudicando lo sviluppo nell’ambito dell’utilizzo più razionale dell’energia, per esempio il riutilizzo delle scorie in un ciclo combinato. Il rischio ora è di commettere gli stessi errori del passato, come promuovere l’idea dell’autarchia energetica, che è un’utopia e che nel mondo non è mai davvero esistita». Secondo Rossi, è meglio percorrere, come finora, la via degli interscambi: «È inutile investire, per esempio, in impianti eolici in Svizzera, sono complicati, costosi e meno efficaci di quelli nelle aree dove il vento è costante e forte». Per Rossi, si dovrebbe piuttosto investire nella capacità tecnologica di gestire il modo di consumare l’energia, che sta cambiando con la diffusione delle rinnovabili e che richiede la citata flessibilità - ovvero gestire quel mercato che si crea tra da un lato chi produce (centrali idroelettriche, atomiche ecc., ma anche tutti quanti mettono in rete energia fotovoltaica) e chi consuma in un mercato sempre più libero e bidirezionale. «Perché dobbiamo investire in tecnologie che non ci appartengono più, anziché svilupparci in settori in cui siamo all’avanguardia e che ci potrebbero consentire di costruire un’autonomia diversa, garantendo oltretutto prospettive di lavoro e ricchezza?», è la domanda conclusiva posta da Rossi.

E a proposito di nuove tecnologie, Emanuele Fontani, ingegnere nucleare e dirigente di newcleo, ha fornito la sua prospettiva sui reattori dimostrativi attualmente in fase di realizzazione a Bologna che saranno più piccoli, veloci (realizzabili nel giro di appena tre anni), modulari e soprattutto sicuri, poiché raffreddati con il piombo liquido, che in caso di guasto dell’impianto si solidifica immediatamente, creano un «autosarcofago». Inoltre, questi reattori sfruttano quale combustibile il plutonio, con una tecnologia in realtà non nuova (quella dei neutroni veloci, che risale agli anni Settanta) ma che ha il pregio di poter utilizzare gli «scarti» delle vecchie centrali. «La Svizzera detiene attualmente tra le 4 e 5 mila tonnellate di combustibile nucleare esausto – ha spiegato Fontani – che sono sufficienti per alimentare otto dei nostri reattori sull’arco di trent’anni». Inoltre, ha aggiunto, questi nuovi reattori, che lavorano a circa 520 gradi contro i circa 200 gradi di quelli tradizionali, possono essere completati con sistemi di accumulo di calore. «Questo è un nucleare che non è antagonista ma che collabora con le rinnovabili», ha affermato Fontani.