«Rischi di sistema elevati, troppi investimenti illiquidi»

Le principali banche centrali del mondo nel 2022 hanno alzato i tassi di riferimento. Questo pone problemi, vista l’enorme quantità di debiti a livello mondiale. Ne abbiamo parlat con Maurizio Novelli, Vice President & Portfolio Manager della Lemanik Invest di Lugano.
In alcuni articoli sui mass media americani si inizia a parlare della “crisi” della politica delle banche centrali. Lei è d’accordo con questa tesi? E a cosa si riferisce precisamente?
«Credo che stia emergendo chiaramente che le politiche di Quantitative easing (QE, ossia stampa di moneta) protratte oltre il necessario si stiano rivelando un boomerang. Il tentativo di inventarsi un sistema per creare ricchezza finanziaria dal nulla stampando moneta è servito solo a creare bolle finanziarie ingestibili. A questo punto è evidente come l'impalcatura del QE sia letteralmente saltata in aria a causa di fattori esterni come l'inflazione, la guerra e gli shock energetici in corso. Le banche centrali hanno fatto credere che avrebbero avuto il controllo totale della situazione in qualsiasi caso di crisi. Il problema è che i mercati ci hanno creduto. Per quasi 15 anni si è operato in un contesto dove il concetto di rischio è stato praticamente eliminato dai modelli d'investimento. Il sistema ha così accumulato una gigantesca posizione su rischi non monitorati. Infatti si sono riversati colossali investimenti sui Private Markets (Private Equity, Real Estate Funds, Private Credit, Crypto, ecc). Questi investimenti sono totalmente illiquidi e ci espongono a rischi di Balance Sheet Recession (la necessità da parte del sistema di liquidare asset illiquidi detenuti a debito), esattamente come in Giappone negli anni 90».
Abbiamo esperienze di questo tipo di problemi?
«Certo, il problema degli asset illiquidi lo abbiamo sperimentato già durante la crisi del 2008 con le ingenti posizioni non liquidabili sui titoli Subprime (i cosiddetti MBS, ossia mortgage backed security: titoli garantiti da ipoteche, ndr). In quel frangente, per risolvere la crisi di illiquidità, la Fed ha dovuto ritirare dalle banche 600 miliardi di dollari di titoli Subprime. Oggi la dimensione degli asset illiquidi è di 9 trilioni di dollari (un trilione è pari a mille miliardi di dollari, ndr), pari al 45% del PIL americano. Una crisi si manifesta sempre con l'esigenza di vendere qualcosa che nessuno vuole più comprare. Se hai bisogno di liquidità, e ciò che possiedi non è vendibile, sei di fatto in una situazione di insolvenza, anche se dici che i tuoi asset valgono più del debito che hai contratto per acquistarli».
Qual è la situazione sul fronte dell’indebitamento mondiale?
«Quando una banca centrale stampa moneta crea di fatto nuovo debito. Infatti la moneta stampata serve a finanziare nuovo debito pubblico e debito privato, ossia MBS e obbligazioni di aziende, a tassi sempre più bassi. Il nuovo debito a basso costo alimenta nel tempo investimenti su attività a redditività marginale decrescente. E’ infatti sufficiente che tali attività abbiano una remunerazione minima superiore al costo del debito per generare un profitto. Con il passare del tempo gli investimenti a redditività decrescente si accumulano nel sistema. La dimensione di tali investimenti è direttamente proporzionale alla durata del QE (che nel nostro caso è durato 15 anni). Il sistema fa riferimento ai costi di rifinanziamento per la decisione sugli investimenti. Questo vale sia per gli asset finanziari che per gli investimenti reali. Quindi, qualsiasi cosa che abbia un rendimento superiore al costo dell’indebitamento diventa economicamente valida. Il sistema si imbarca in investimenti a remunerazione sempre più bassa utilizzando leva finanziaria (Private Equity, Real Estate, Asset finanziari e investimenti fissi)».
Quando si interrompe questo meccanismo?
«Si interrompe nel momento in cui un evento esterno impone una modifica del costo del debito, il sistema si trova esposto al rischio di aver accumulato uno stock di investimenti (finanziari e reali) che non sono più remunerativi come prima, o peggio, passano in perdita. Questo è il meccanismo che innesca la Balance Sheet Recession, cioè la necessità da parte del sistema di liquidare gli asset illiquidi detenuti a debito non più remunerativi. Il Giappone ha sperimentato tale meccanismo trent’anni fa e le regole con cui si innesca e con cui finisce non sono cambiate. Se i costi di sistema salgono anche a causa di uno shock energetico, ecco che l’intera infrastruttura creata dal QE è destinata a sgretolarsi».
Esiste il pericolo, con l’aumento dei tassi da parte delle banche centrali, di una nuova crisi finanziaria, sul modello subprime?
«Se gli investitori credono che il benchmark di riferimento per il rischio percepito nel sistema sia l'indice Dow Jones, si sbagliano. Quello è un indicatore che è molto seguito dai piccoli investitori. Ma i veri indicatori del rischio sono sempre quelli relativi al credito. Nella maggior parte dei casi le crisi iniziano sul credito e si estendono alle Borse. Nella maggior parte dei casi le crisi iniziano nei segmenti non monitorati del credito, come nel 2001 sui leverage Loans al settore tecnologico e poi sugli ASB (Asset backed securities, ossia i titoli garantiti da altri attivi, ndr), come nel 2008 sui MBS. Quando si cerca di portare i costi di rifinanziamento ad un livello più alto (il che significa che le banche centrali alzano i tassi, ndr), non si è in grado di sapere esattamente quali danni si provocano ai segmenti del credito più speculativi e più opachi. Specialmente se tali segmenti di mercato non sono sottoposti a regolamentazione o monitoraggio da parte dei policymakers. I Private Markets sono un ulteriore esempio di mercati che nascono con la deregulation e quindi non sono sottoposti a regolamentazione. Non conosciamo i rischi ma sappiamo che la dimensione è di 9 trilioni di dollari. La crisi dei fondi pensione britannici nasce dall’impossibilità di liquidare posizioni su investimenti illiquidi su tali mercati».
A suo modo di vedere, qual è il ruolo delle banche centrali e degli organi di controllo nel valutare il rischio dei debiti a livello internazionale?
«Ora i rischi di sistema non sono adeguatamente monitorati. Le banche centrali non vogliono prendersi carico del controllo dei rischi che esulano dal sistema bancario. La SEC è stata svuotata di qualsiasi potere di controllo. Il Financial Stability Board si limita a dare indicazioni sommarie ma non ha alcun potere di intervento. Wall Street è una lobby molto potente che influenza e limita le politiche d'intervento dei regulators».
A questo punto, esiste una politica efficace per diminuire i rischi di una possibile crisi finanziaria?
«Non abbiamo mai avuto politiche efficaci per evitarle e credo che non le avremo, almeno nel breve termine. La pressione alla deregulation finanziaria è ottenuta da Wall Street a colpi di milioni di dollari per influenzare le scelte politiche necessarie a limitare gli eccessi. Le banche centrali hanno implementato politiche di QE oltre il dovuto perchè si sono adagiate sul consenso dei mercati. In realtà dovrebbero perseguire politiche più mirate alla stabilità finanziaria, il vero mandato dovrebbe essere quello, tutto il resto arriva di conseguenza, sia il controllo dell'inflazione che la stabilità economica. Non è possibile avere stabilità economica senza attenzione alla stabilità finanziaria di sistema».