Scenari complessi e Cina al centro

Uno scenario globale nuovo e complesso nelle sue componenti geopolitiche, economiche e finanziarie, con l’Asia protagonista. Al centro la competizione fra Cina e Stati Uniti. Su questi temi abbiamo sentito Peter Branner, Chief Investment Officer di Aberdeen Investments, attore storico nel panorama finanziario del Far East e che festeggia ora i 15 anni di presenza in Svizzera.
Le nuove grandi sfide: chi vince? «Veniamo da un mondo in cui c’era un solo vincitore, gli Stati Uniti, e ora abbiamo a che fare con un panorama multipolare. C’è la Cina che cresce e che anche in caso di rallentamento, farà meglio degli USA il prossimo anno. Vi è «l’Impero russo» emergente e l’Europa comunque presente. Un ruolo importante è ora quello della tecnologia, anche militare, e delle armi strategiche, per le quali la Russia si dimostra molto più avanzata del previsto, tanto da poter essere considerata ormai una potenza revanscista con una grande sfera d’influenza. Vi è l’India, beneficiaria di friendshoring asiatico ma alle prese, come Pechino, con l’import di energia da Mosca».
Negli anni passati il mercato cinese ci ha mostrato delle «false partenze». Il rally attuale è sostenibile? «La Cina sta ancora tentando di risolvere molti problemi e la tendenza demografica non è più favorevole. Il regime prova a stimolare i consumi privati, ma forse non basta e una certa cautela è d’obbligo».
Ci si chiede spesso come operare sull’azionario cinese. «È preferibile investire nelle aziende private più che in quelle legate ai settori istituzionali. Finora il rally è stato buono e c’è da chiedersi se, partendo da questi livelli possa continuare. Le valutazioni, confrontate con Wall Street, sono più convenienti. Per Wall Street la grande domanda concerne la possibile presenza di una bolla, a iniziare dalla tecnologia. Del resto la si riconosce solo quando essa scoppia. È altrettanto certo che le nuove tecnologie, come l’IA, avranno un grande impatto su tutti i settori. Normalmente, in presenza di una nuova tecnologia, abbiamo alcuni vincitori iniziali e molti che seguono».
Quali le reazioni dei Paesi asiatici e della Cina in particolare al debasament del dollaro USA e alla perdita di fiducia nei Treasury? «Queste è una questione rilevante. Su tutto pesa il debito, che negli USA ha raggiunto livelli eccessivi; si è speso troppo per troppo tempo. Ora andrebbero calibrate tasse sui consumi e sui redditi. Ma anche alzando subito le tasse sui consumi, i tempi per avere effetti positivi sul debito sarebbero lunghissimi. La questione dell’import incide poco sul quadro economico generale. Le tariffe rimarranno ma non risolvono il problema. L’inflazione è la via preferita dai politici e la pressione sulla Federal Reserve lo dimostra. Il mercato ha reagito timidamente a questa situazione: il problema non sono tanto i tassi a breve quanto quelli a lungo, determinati dal mercato, che sono saliti sensibilmente. Anche questa volta gli investitori obbligazionari interpretano i dati meglio di quelli azionari, si dimostrano più razionali. È vero che a lungo termine l’azionario è una difesa dall’inflazione, ma il caso è diverso se in parallelo si blocca la crescita, cioè si entra in stagflazione».
Ci si può attendere una svalutazione dello yuan? «Non penso che questo rappresenti al momento un grande problema. Più importante è il loro ruolo quali detentori di U.S. Treasury, il cui volume sarà sicuramente ridotto».