Lavoro

Se il mercato è disallineato

Il fenomeno della penuria di manodopera qualificata persiste e preoccupa l’economia elvetica ed europea – Al tema è dedicato un congresso che aprirà all’USI la settimana prossima, al quale verrà anche presentato uno studio approfondito svolto da IRE e Seco che sottolinea le carenze «strutturali» dovute anche alla transizione energetica
© Keystone/Gaetan Bally
Dimitri Loringett
31.08.2024 06:00

In Svizzera ci sono attualmente 203 mila persone disoccupate (secondo l’ultimo rilevamento ILO, quello «amministrativo» della Seco invece è di 107 mila), mentre i posti vacanti sono circa 115 mila - e probabilmente sono ancora di più, dato che non tutti i datori di lavoro annunciano le posizioni aperte sui portali d’impiego delle società di collocamento o gli URC.

Sembra paradossale, ma il «mismatch» (disallineamento) fra chi cerca lavoro e chi lo offre è un fenomeno importante - non nuovo, a dire il vero - che persiste e preoccupa sempre più. Un’analisi dei dati dell’Ufficio federale di statistica indica che la percentuale di aziende con sede in Svizzera che dichiarano di avere difficoltà a trovare personale qualificato è passata dal 15% nel 2004 al 40% alla fine del 2023. I motivi sono molteplici, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la denatalità, il flusso migratorio che spesso non coincide con le esigenze del mercato del lavoro e, soprattutto, la difficoltà di reperire manodopera qualificata. Eppure, l’offerta formativa nella Confederazione è molto ricca e prestigiosa - forte anche del suo invidiato «sistema duale» - ma, a quanto pare, ciò non basta.

Al tema della penuria di manodopera qualificata è dedicato il 19. Congresso annuale dell’European Network on Regional Labour Market Monitoring, che si apre mercoledì prossimo al Campus Est USI-Supsi a Lugano-Viganello, organizzato dall’Istituto di ricerche economiche dell’USI (IRE) in collaborazione con la Segreteria di Stato dell’economia (Seco). Nel corso dei tre giorni di lavori verrà presentato anche il nuovo studio condotto proprio dall’IRE (con la Seco) che analizza il fenomeno nel dettaglio.

Carenze strutturali

In sintesi, i ricercatori sottolineano le carenze «strutturali» - oltre a quelle cicliche - di competenze in professioni come quelle ingegneristiche, manageriali, tecniche, sanitarie e informatiche, dovute sostanzialmente ai megatrend sociali come la transizione energetica, la digitalizzazione e il citato invecchiamento della popolazione. «Un’altra causa strutturale - spiega al CdT Moreno Baruffini, ricercatore dell’IRE e co-autore dello studio - è però data dalla percentuale di laureati in questi settori che è tuttora troppo bassa per soddisfare la domanda del mercato del lavoro in Svizzera, benché i programmi di formazione vengano continuamente rivisti e adattati alle esigenze dell’economia». Inoltre - aggiunge Baruffini - «c’è la questione delle donne lavoratrici il cui potenziale è troppo poco sfruttato: per esempio, nel solo (ampio) settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) la quota di lavoratrici specializzate è di appena il 14%».

Il potenziale dei «lavori verdi»

Un altro settore molto colpito dalla carenza di lavoratori qualificati (e non) in Svizzera è quello dei «lavori verdi», ovvero tutte quelle nuove professioni che stanno emergendo in vista della transizione energetica, la cui via in Svizzera è tracciata dalla «Strategia energetica 2050» del Consiglio federale. Queste professioni, molte delle quali afferiscono all’ambito edilizio come, ad esempio, installatori di impianti solari o progettisti di involucri edilizi, ma anche tecnici specializzati per gli impianti di riscaldamento ed elettrici, contribuiscono a ridurre l’impronta ambientale delle nostre economie e società.

«Assieme alla collega Alessandra Motz e a Dorit Griga della Seco - spiega Moreno Baruffini - abbiamo svolto un’indagine, nel marzo di quest’anno, su un campione di 175 responsabili della gestione delle risorse umane all’interno di aziende attive in questi settori. Complessivamente, una dozzina di aziende, piccole e grandi, hanno partecipato all’indagine, coprendo le tre principali regioni linguistiche. Oltre due terzi delle aziende hanno dichiarato di avere posti vacanti, mentre alla domanda sui profili che mancano all’interno della loro organizzazione, gli intervistati hanno dichiarato che i lavoratori tecnici sono i più richiesti, seguiti dai professionisti dell’ICT e da ricercatori e ingegneri. Alla domanda sulle competenze che mancano all’interno della loro azienda, i partecipanti hanno citato le competenze manuali specifiche, seguite dalle competenze linguistiche nelle tre lingue nazionali e nell’inglese e dalle competenze manageriali, riflettendo così le carenze strutturali e quelle dovute al ciclo economico», conclude il ricercatore dell’IRE.

IA e le sfide della formazione

Come accennato, sembrerebbe che l’offerta formativa in Svizzera fatichi a stare al passo con le sempre più rapide evoluzioni economiche e tecnologiche. Si pensi, in particolare, all’avvento dell’intelligenza artificiale (IA) di cui si parla moltissimo ma con cui la maggioranza della popolazione ha verosimilmente poca dimestichezza.

«La sostituzione totale degli esseri umani non sembra essere immediata, anche se inevitabile in quanto gli strumenti di IA miglioreranno sicuramente. Piuttosto, come per tutte le innovazioni tecnologiche, non sarà tanto l’IA a rubarci il lavoro, quanto le persone in grado di usarla e sfruttarla», afferma Andrea Rizzoli, direttore dell’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale (Idsia USI-Supsi). «Attualmente - aggiunge - stiamo solo intuendo il pieno potenziale dell’IA e delle sue applicazioni, per ora, riguardano più che altro l’elaborazione di testi, immagini e suoni, con risultati tutto sommato ancora inaffidabili».

Per il professor Rizzoli ci sono comunque delle buone notizie: «Abbiamo ancora tempo per prepararci alla transizione verso una società in cui la maggior parte dei lavori sarà svolta dai robot, soprattutto quelli pericolosi e fisicamente impegnativi, ma non solo. Abbiamo il tempo di definire regolamenti e linee guida per preservare i diritti dei lavoratori umani e per promuovere una crescita della produttività in cui gli esseri umani collaborano, anziché competere, con le loro controparti IA».

Ma per Rizzoli ci sono anche delle notizie meno buone: «La carenza di manodopera specializzata e di competenze è già in atto e non possiamo affidarci semplicemente ai robot per fornire servizi essenziali, come ad esempio l’assistenza sanitaria». Tuttavia, conclude Rizzoli, «non dobbiamo diventare tutti degli ingegneri informatici, piuttosto dedicare maggiore attenzione all’uso dell’IA in altre discipline, come ad esempio quelle umanistiche o le scienze sociali. Oggi, infatti, non ci sono più discipline o scienze “isolate”, tutto è connesso e sempre più “data driven”. La grande sfida del settore della formazione sarà proprio quella di promuovere più in profondità questa nuova interdisciplinarità».