Semestre nero per il dollaro, la Bce corre ai ripari

Il 'Make America Great Again' per ora regala un semestre nero al dollaro: il 'dollar index' che misura il cambio del biglietto verde contro un paniere di sei valute principali chiudere i sei mesi peggiori dal 1973.
Sintomo di un clima di sfiducia per le scelte di Donald Trump che spinge investitori e banche centrali globali a mettere in discussione la propria esposizione al dollaro. L'ipotesi di un sistema monetario dollaro-centrico che vacilla piomba sul forum dei banchieri centrali a Sintra, in Portogallo, con la Bce che annuncia cambiamenti tecnici, ma significativi, alle scelte su tassi d'interesse e futuri acquisti di debito di fronte alle scosse telluriche in atto nei mercati finanziari.
Un crollo - quello del dollar index - di oltre il 10%: un primo semestre mai così drammatico dal 1973, un periodo segnato dalla crisi petrolifera e dal crollo del sistema monetario di Bretton Woods con la fine della convertibilità in oro del dollaro. Se non bastasse il confronto, il primo semestre 2025 del dollaro è il peggior semestre in generale dal 2009, piena crisi finanziaria.
Il culmine della crisi innescata da Trump è rappresentato dai 'dazi reciproci' annunciati a inizio aprile col 'Liberation Day'. Poi è arrivato il 'One Big Beautiful Bill' con un bilancio che aumenterà di 3.200 miliardi di dollari il debito americano. Il resto lo ha hanno fatto l'attacco a suon di insulti del presidente Usa nei confronti del presidente della Fed Jerome Powell, che domani sarà a Sintra e che rappresenta ormai un bastione della separazione dei poteri oltre che di indipendenza della politica monetaria dall'esecutivo. E infine l'abbraccio al mondo crypto con, in particolare, le stablecoin.
L'euro, che fino a pochi mesi fa pareva scendere verso la parità, nel frattempo è stato catapultato oltre 1,18 dollari. E questo nonostante la Bce sia in una fase di taglio dei tassi d'interesse destinata a riprendere probabilmente a settembre, ora che il vicepresidente Luis de Guindos preannuncia un secondo trimestre di Pil «quasi piatto» per l'Eurozona. E nonostante la Fed, invece, abbia le mani legate per l'inflazione da dazi.
Un elefante nella stanza per le riunioni di Sintra ospitate dalla Bce. Le politiche di Trump, dice il vice presidente Luis de Guindos, hanno creato «dubbi riguardo gli Usa che si riflettono sul dollaro, una situazione in cui »l'euro, se l'Europa fa le cose giuste, può essere valuta di riserva«. Vede l'opportunità anche la presidente Christine Lagarde: per rafforzare l'euro come valuta di riserva »siamo in una buona posizione, ma abbiamo ancora del lavoro da fare«.
Un'altra risposta - contenuta nella 'strategy review' - è un cambiamento all'orientamento 'tollerante' verso l'alta inflazione dei tempi passati, quando la globalizzazione faceva temere deflazione: d'ora in avanti la Bce risponderà »con misure di politica monetaria particolarmente forti o persistenti« sia quando l'inflazione è troppo bassa rispetto al target del 2%, sia quando è troppo alta.
Non solo: Philip Lane, capo economista della Bce, alla domanda se l'attivazione del quantitative easing (Qe) avrà un'asticella più alta che in passato risponde così: l'uso del Qe in caso di inflazione troppo bassa sarà »più agile« e all'interno di un »pacchetto di strumenti« che includono tassi negativi e rifinanziamenti a lunghissimo termine alle banche senza sovraccaricare» un singolo strumento: timido cenno alle critiche rivolte da alcuni, nel Consiglio Bce che ha votato la 'strategy review' all'unanimità, al Qe e ai suoi «effetti collaterali».