L'iniziativa

Soldi pubblici a chi sceglie di lavorare a Varese? Le imprese del Ticino: «Preoccupazione no, attenzione sì»

Luca Albertoni: «I nostri vantaggi non sono forse scolpiti nella pietra» - E c’è chi nel consiglio regionale lombardo rilancia nuovamente le zone economiche speciali
Anche nelle professioni tecniche la concorrenza ticinese, per le imprese italiane, si è fatta fortissima. © CDT/Chiara Zocchetti
Dario Campione
10.06.2025 06:00

Prima la revisione dell’accordo sulla doppia imposizione e la conseguente, maggiore pressione fiscale sui cosiddetti «nuovi» frontalieri. Poi il tira e molla sulla tassa della salute, che l’Italia vorrebbe applicare ai «vecchi» frontalieri, con l’obiettivo di raccogliere soldi da ridistribuire a medici e infermieri, sempre più in fuga dagli ospedali e dalle strutture sanitarie delle province di confine. E, adesso, i voucher della Camera di Commercio di Varese, finalizzati ad attrarre residenti.

Nel mercato del lavoro insubrico, dalla parte italiana, le proposte per frenare l’emorragia di lavoratori diretti in Svizzera sono sempre più frequenti. Ma quanto davvero utili? Secondo Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio ticinese, anche l’ultima, quella di Varese, «è un’iniziativa legittima, immagino destinata a ovviare alla difficoltà di reclutamento di manodopera. È difficile aggiungere qualcosa, non mi pare che ci siano altre motivazioni particolari. Tuttavia, penso che pure questa scelta si debba osservare in prospettiva futura, dato che la competizione per accaparrarsi le competenze si farà sempre più agguerrita».

Quindi, aggiunge Albertoni, «preoccupazione no, attenzione sì. Non credo che una misura del genere sposti sostanzialmente gli equilibri, però anche i nostri vantaggi non sono forse scolpiti nella pietra. Le situazioni vanno per questo sempre osservate con la giusta attenzione».

Salari troppo bassi

Molto più scettici appaiono alcuni commenti di parte italiana. Giuseppe Augurusa, responsabile nazionale della CGIL frontalieri, spiega: «Varese è schiacciata tra due poli attrattori molto grandi, Milano e Zurigo, luoghi in cui salari e condizioni di lavoro sono migliori. Affrontare la questione soltanto dal punto di vista degli incentivi economici, quindi, rischia di essere insufficiente. Oltretutto, 2 mila euro annui netti equivalgono a 166 euro al mese, manca persino il senso di proporzionalità». Invece di «iniziative che sono pura testimonianza - aggiunge - bisognerebbe affrontare i problemi veri, a partire dai salari, fermi da 30 anni».

«Per chi lavora nelle zone di confine, servono strumenti strutturali e una visione più ampia - dice Angelo Orsenigo, consigliere regionale lombardo del Partito Democratico e segretario della commissione speciale per i rapporti con il Canton Ticino - In quest’ottica, ritengo molto più incisivo il progetto di legge che, come gruppo del PD, abbiamo già illustrato in commissione Sanità e che prevede l’introduzione di un’indennità mensile temporanea, per almeno un triennio, destinata a dirigenti, tecnici e infermieri: una misura concreta, per trattenere e valorizzare il personale sanitario nei territori più fragili e a rischio spopolamento, come appunto le aree di confine».

Orsenigo torna poi su un’altra idea, le «Zone economiche speciali» (ZES), di cui in Lombardia si parla da anni. «Per potenziare le risorse di territori così penalizzati - dice il consigliere regionale PD - continuiamo a sostenere con convinzione la nostra proposta, che risale addirittura alla scorsa legislatura, dell’istituzione di ZES nelle aree di confine con la Svizzera. Crediamo che questo strumento possa rappresentare una leva utile per accompagnare le iniziative legislative in corso e costruire condizioni più favorevoli allo sviluppo economico e al lavoro, contrastando la concorrenza fiscale e salariale esercitata dai territori oltreconfine».