Criptovalute

Stablecoin, scocca l’ora della regolamentazione

Le monete digitali ancorate a quelle «fiat», come Tether, dal luglio prossimo saranno soggette a una nuova direttiva UE
©CdT/Chiara Zocchetti
Dimitri Loringett
22.04.2024 23:00

Mentre il Bitcoin fa notizia per le spettacolari performance sui mercati (ieri la storica criptovaluta quotava attorno a 66 mila dollari) al punto tale di definirlo «il nuovo oro» (anche perché, in qualità di «asset» più che di valuta, viene sempre più considerato come un bene rifugio), c’è un altro genere di strumento finanziario digitale che sta acquistando importanza: lo stablecoin, cioè la criptovaluta ancorata principalmente a una valuta fiat. I più diffusi sono l’USDC (USD Coin) e il Tether, che assieme costituiscono circa il 95% del mercato degli stablecoin, con una capitalizzazione di mercato a fine marzo di circa 150 miliardi di dollari.

A differenza del Bitcoin e della pletora di altre criptovalute, gli emittori di stablecoin «promettono» di mantenere un valore costante rispetto a una valuta fiat a cui sono agganciate – in pratica, un Tether o USDC vale un dollaro. Tuttavia, non essendo regolamentate, «comportano rischi significativi», scrivono gli economisti del Centro di ricerca congiunturale del Politecnico di Zurigo (KOF) in un recente articolo. In particolare, sebbene queste criptovalute promettano di mantenere un valore stabile, non sempre hanno raggiunto tale obiettivo. Ad esempio, quando la Silicon Valley Bank è fallita nel marzo 2023, l’USDC ha iniziato a scambiare sostanzialmente al di sotto del suo «peg» - fino a 86 centesimi – poiché Circle, la società che emette gli USDC, aveva una parte consistente dei suoi fondi depositati presso la banca. Anche il Tether ha vissuto un cosiddetto evento «de-peg», nel giugno 2023, quando deviò temporaneamente dal dollaro e scese attorno ai 96 centesimi. Tether è stato però in grado di soddisfare nel giro di poche ore le richieste di rimborso di oltre 10 miliardi di dollari, perché, come noto, ha una riserva completa, sia in titoli di Stato del Tesoro USA, sia in liquidità.

Ipotesi di regolamentazione

Gli economisti del KOF propongono un concetto teorico affinché gli stablecoin possano essere progettate e regolamentate in modo da essere veramente stabili, cioè scambiate sempre al loro valore di riferimento (ovvero nella valuta nazionale) e contribuire a ottenere risultati efficienti per il sistema finanziario più ampio e per l’economia nel suo complesso.

Di fatto, gli studiosi zurighesi aderiscono alle proposte già formulate della Banca dei regolamenti internazionali (BIS), tra cui quella riguardante le riserve delle società che emettono stablecoin che dovrebbero essere di alta qualità e con basso rischio (tipicamente obbligazioni di Stato, quindi) e offrire rendimenti stabili. Nel caso di Tether, per esempio, si stima che le riserve investite in Treasury americani fruttino alcuni miliardi di dollari di interessi ogni trimestre – una «liquidità» che quindi viene utile in caso di eventuali «corse allo sportello» (richieste di rimborso, come sopra). Infine, ma non da ultimo, gli esperti del KOF sembrano essere favorevoli agli stablecoin, a condizione di essere ben regolamentati, perché potrebbero favorire l’innovazione e la competitività nel settore bancario tradizionale.

Tether al bivio in Europa

Viene da chiedersi quindi se in futuro le società che emettono gli stablecoin diventeranno degli istituti finanziari veri e propri, soggette alla vigilanza come le banche commerciali.

Giriamo la domanda a Michele Ficara Manganelli, Executive Director dello Swiss Blockchain Consortium di Lugano: «Tether è riuscito in pochissimo tempo, sfruttando molto intelligentemente il vuoto legislativo, a cogliere le esigenze di stabilità del mercato mondiale delle cripto, creando un’entità che oggi gestisce oltre cento miliardi di dollari di liquidità, ma che ora si dovrà confrontare con la nuova regolamentazione degli stablecoin, rappresentata dall’imminente direttiva MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation, ndr) emessa dall’Unione europea che diventerà operativa a fine luglio di quest’anno. In estrema sintesi, la MiCAR stabilisce espressamente che affinché uno stablecoin possa essere negoziata a livello UE, dovrà ottenere una licenza “e-money” e, soprattutto, la società che emette una valuta digitale dovrà depositare almeno il 30% delle proprie riserve presso un istituto bancario accreditato, cioè una banca europea».

Quindi, è la fine di Tether? Ancora Ficara Manganelli: «Non credo, anche perché il mondo è grande e questa è una regola solo UE e se non si adeguasse, potrebbe semplicemente non essere più negoziabile sui vari exchange regolati nella EU, come Binance, Kraken o altri. Chiaramente, la direttiva UE pone Tether davanti a un importante bivio regolatorio, sarà importante osservare cosa decideranno entro il prossimo luglio».

Al nostro interlocutore chiediamo, infine, una prospettiva: il futuro della moneta sarà tutto digitale? «La direzione è ormai tracciata – risponde Ficara Manganelli – nonostante io sia un convinto sostenitore del contante “analogico”, perché resta comunque pratico per ogni età ed è un imprescindibile elemento di libertà personale. Però chiaramente la tendenza è quella di andare verso una digitalizzazione sempre più spinta. Anche per gli istituti centrali, che da tempo stanno sperimentando le CBDC (Central Bank Digital Currency, ndr), sebbene per ora solo a livello interbancario per le attività di settlement delle transazioni di Borsa».