Piazza finanziaria

Stangata sulla vigilanza: raddoppia la tassa della Finma per i gestori patrimoniali

La fattura media per società passa da 3.148 a 6.500 franchi, ma in certi casi può arrivare perfino a 10 mila franchi
© KEYSTONE/Peter Klaunzer
Dimitri Loringett
Red. EconomiaeDimitri Loringett
18.07.2025 20:15

Fatta la legge, la Finma presenta ora il conto. Un conto che in alcuni casi è addirittura triplicato. Parliamo delle società di gestione patrimoniale indipendenti (non gli istituti bancari, quindi), alle quali l’Autorità federale di vigilanza ha trasmesso la fattura per il 2025 relativa ai costi di vigilanza (calcolati sulla base dei dati di bilancio del 2024) che per l’insieme dei gestori patrimoniali ammonta in media a circa 6.500 franchi per società, contro i 3.148 del 2023. Se poi si aggiungono i costi generati dagli Organismi di controllo (OV), il conto in alcuni casi supera i 10 mila franchi.

E così non si è fatta attendere la presa di posizione dell’Associazione svizzera di gestori patrimoniali (ASG), che in una nota esprime preoccupazione per l’impatto economico e la scarsa trasparenza del sistema. «Nella maggior parte dei casi, la quota imputabile alla Finma supera quella fatturata dagli OV per la loro stessa vigilanza», si legge in una nota.

La Legge sulla vigilanza dei mercati finanziari (LFINMA) prevede che i costi della Finma siano interamente a carico del settore finanziario vigilato. Si distinguono due categorie: gli emolumenti, ovvero gli oneri diretti legati all’attività di autorizzazione e vigilanza relativi a specifici servizi in funzione dei servizi resi alla Finma (come autorizzazioni o modifiche) e le tasse di vigilanza, cioè i costi generali di funzionamento che vengono ripartite tra gli operatori autorizzati e successivamente rifatturati ai titolari di un’autorizzazione della Finma. Riguardo alle seconde, la Finma invia la fattura per i gestori patrimoniali ai rispettivi OV, che la ripartisce – il più delle volte in modo uniforme – tra i propri affiliati.

Secondo l’ASG, questo sistema è criticabile: la ripartizione non riflette infatti a pieno il «principio di causalità» e penalizza chi ha modelli aziendali semplici, «costringendoli» di fatto a contribuire ai costi generati dai casi più complessi. Inoltre, i gestori possono contestare solo gli oneri diretti, ma non la tassa di vigilanza trasmessa tramite gli OV. E anche questi ultimi, pur potendo teoricamente opporsi, non lo fanno, vista la scarsa probabilità di successo. «La Finma include nella tassa anche i costi interni di coordinamento, che dovrebbero invece essere ripartiti in modo più individualizzato», sottolinea l’ASG.

Nella sua nota, l’associazione chiarisce anche alcuni malintesi. Ad esempio, l’idea che «i piccoli paghino per i grandi» non regge: oltre il 90% del mercato è infatti composto da piccoli operatori e non esiste un criterio giuridicamente valido per ripartire i costi in base alla dimensione. Anche l’accusa che la Finma si stia espandendo a scapito delle piccole società viene ridimensionata: l’aumento del personale è stato necessario per gestire, in tempi brevi, oltre 1.500 richieste di autorizzazione per operare.

Da noi contattata, la Finma ha confermato le cifre dell’ASG, sottolineando che la legge prevede una tassa per coprire i costi non coperti dagli emolumenti. Inoltre, «non è sempre possibile attribuire determinati costi a uno specifico istituto», afferma un portavoce, aggiungendo che il sistema di vigilanza duale è stato creato nel periodo 2023/24, con costi considerevoli. «La Finma sta monitorando l’evoluzione della tassa di vigilanza e attualmente ipotizza che per il 2025 sarà inferiore», conclude il portavoce.