Investimenti

Svizzera ed Europa nel mirino dei gestori patrimoniali: addio (per ora) a Wall Street?

Gli operatori sentiti dall'Investment Pulse 2025 della Scuola universitaria di Lucerna puntano sul mercato azionario interno e del Vecchio Continente – I criteri ESG stanno perdendo smalto nei confronti dei clienti
© CdT/Gabriele Putzu
Dimitri Loringett
15.05.2025 22:59

Investire in titoli azionari di società svizzere ed europee sembra essere una delle principali strategie da seguire quest’anno per generare «alpha» (leggasi rendimento) nei portafogli d’investimento dei gestori patrimoniali in Svizzera. Così la pensa, perlomeno, una solida maggioranza dei 163 professionisti interpellati tra fine febbraio e fine marzo dalla Hochschule Luzern (HSLU), nel suo quarto sondaggio annuale denominato «Investment Pulse», condotto su incarico dell’Associazione svizzera dei gestori patrimoniali (VSV-ASG) e in collaborazione con Vanguard, leader mondiale nella gestione di fondi comuni ed ETF.

La fotografia scattata dalla HSLU è interessante in quanto mostra una tendenza in atto ancora prima dell’ormai famoso «Liberation Day» dello scorso 2 aprile negli Stati Uniti, che ha scosso profondamente i mercati finanziari, soprattutto oltre Atlantico. In effetti, hanno osservato gli studiosi della scuola universitaria professionale lucernese durante l’incontro tenutosi ieri a Zurigo, le incertezze sui mercati statunitensi - già in fase calante dopo l’avvio positivo di gennaio - hanno portato i gestori patrimoniali a rivedere alcuni orientamenti strategici, in particolare con l’alleggerimento delle posizioni nel comparto azionario e obbligazionario americani, a favore soprattutto di quelli, come detto, svizzeri ed europei, con un occhio di riguardo anche all’area asiatica.

Dall’analisi della HSLU è emerso che oltre l’80% dei gestori patrimoniali interpellati considera la cosiddetta «asset allocation strategica» - ovvero una gestione con orientamento di medio-lungo termine - come la leva principale per generare rendimento nei portafogli. Di riflesso, altre strategie più «tattiche», come il dirottamento degli investimenti verso regioni o settori specifici, appaiono meno popolari. All’interno della strategia di lungo termine prevale inoltre l’investimento diretto, soprattutto in titoli azionari (quelli in obbligazioni sono in calo) e non tramite fondi. Detto altrimenti, lo «stock picking» — tanto caro a Warren Buffett, per fare un esempio noto — rimane ancora molto diffuso.

Tra le ragioni di questa preferenza, è stato spiegato, c’è innanzitutto il profilo dei clienti i cui patrimoni sono gestiti in Svizzera: nove su dieci sono clienti privati e quasi la metà è domiciliata in Svizzera, dunque «culturalmente» propensi a seguire strategie d’investimento in regioni e settori a loro vicini e conosciuti. E conosciuti, per i clienti, sono anche i gestori: a sorprendere gli studiosi della HSLU è infatti il basso tasso di interazione con i clienti durante i periodi di turbolenza, a dimostrazione della fiducia nella citata strategia d’investimento di lungo periodo.

Una curiosità: gli esperti di VSV-ASG osservano che lo «stock picker» tipico è il gestore più anziano, che lavora in società più piccole, mentre i professionisti più giovani, attivi in aziende più grandi, tendono a investire piuttosto in fondi.

A proposito di fondi d’investimento, comuni o ETF, l’analisi della HSLU rileva come per gli investimenti in titoli (e obbligazioni) non svizzeri o europei vi sia una grande propensione a operarvi tramite fondi, in modo quindi indiretto e «passivo». Questo vale soprattutto per i titoli dei mercati emergenti e dell’area Asia-Pacifico. È stato osservato inoltre che, nella scelta dei fondi, i gestori patrimoniali danno priorità non al «marchio», bensì a caratteristiche come la liquidità del fondo, il suo andamento nel tempo (track record) e le commissioni/imposte.

Infine, gli esperti si sono soffermati su un tema che negli ultimi anni ha acquisito sempre più importanza, ma che in questa fase appare essere meno prioritario: gli investimenti che considerano i criteri ESG (environment, sustainability, governance). Stando al rilevamento, nel 2025 la quota di gestori che esclude i criteri ESG dal proprio processo di investimento ha raggiunto il livello più alto dall’inizio dello studio, con una percentuale che ora tocca il 40%, contro il 32% di due anni fa. Tuttavia, nel complesso, il 60% dei gestori interpellati ha dichiarato di voler comunque includere criteri di sostenibilità nel proprio processo di investimento, sia per impostazione predefinita, sia su richiesta dei loro clienti.