L'analisi

Svizzera, la tenuta dell’economia nel complicato quadro mondiale

Nel terzo trimestre 2025 il PIL elvetico è calato rispetto ai tre mesi precedenti ma è aumentato in rapporto a un anno prima – Il peso delle tensioni geopolitiche e dei dazi americani si fa sentire anche da noi, tuttavia la resilienza rossocrociata non è venuta meno
©Chiara Zocchetti
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
30.11.2025 23:00

In un mondo popolato da pareri secondo cui o va tutto bene o va tutto male, è ancor più utile invece restare sul versante delle valutazioni equilibrate, basate su una lettura non ristretta di dati e fatti. Su queste colonne abbiamo già avuto modo di analizzare come nella gran parte delle economie sviluppate in questa fase convivano rallentamento economico e resilienza. Da una parte tensioni geopolitiche, guerre, dazi americani frenano la crescita economica. Dall’altra parte molte economie pur accusando i colpi resistono, limitando i danni. In questo quadro la Svizzera rallenta anch’essa e al tempo stesso mostra un buon grado di resilienza.

Le cifre

La Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha reso noti nei giorni scorsi i dati sulla crescita elvetica nel terzo trimestre 2025. Il Prodotto interno lordo (PIL) svizzero, al netto degli eventi sportivi, è sceso dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti; nel primo trimestre era cresciuto dello 0,8%, nel secondo dello 0,2%. La variazione negativa su base trimestrale conferma quanto sia complicato il quadro internazionale. Tuttavia, pur prendendo nota dell’oscillazione trimestrale, occorre vedere anche l’altra faccia della medaglia. È sempre utile, infatti, osservare anche l’andamento del PIL su base annua, cioè rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; in questo modo, si può avere un’idea non solo delle oscillazioni ma anche della tendenza nella fase.

Ebbene, nel terzo trimestre di quest’anno il PIL svizzero è cresciuto dello 0,8% in rapporto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel primo e nel secondo trimestre era cresciuto di più - rispettivamente del 2,5% e dell’1,5% - ma occorre registrare che su base annua a fine settembre il PIL elvetico è comunque rimasto in territorio positivo, e neanche di pochissimo, risultato decisamente da non buttar via considerando il contesto molto difficile. Nelle prossime settimane la SECO renderà note le sue previsioni congiunturali, quindi anche sulla crescita per l’intero 2025. Ricordiamo che nell’ottobre scorso la stessa SECO aveva indicato una crescita elvetica, sempre al netto degli eventi sportivi, dell’1,3% per il 2025 e dello 0,9% per il 2026.

Il raffronto

Restando sui dati del terzo trimestre di quest’anno, è interessante fare un raffronto con alcuni rilevanti Paesi e aree dell’Europa, vicini alla Svizzera sia geograficamente sia economicamente. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel terzo trimestre 2025 su base annua la Germania è cresciuta dello 0,3%, l’Italia dello 0,4%, la Francia dello 0,9%, il Regno Unito dell’1,3%; l’Eurozona nel suo complesso è cresciuta dell’1,4%, l’Unione europea dell’1,6%.

Per completezza, occorre aggiungere che nessuno dei singoli Paesi citati, che rappresentano le quattro maggiori economie europee, ha raggiunto nei primi due trimestri 2025 una crescita come quella indicata dalla SECO per la Svizzera; inoltre, le previsioni dell’OCSE del settembre scorso per i Paesi citati mostravano una crescita per l’intero 2025 inferiore a quella stimata per la Svizzera, ad eccezione del Regno Unito. Tutto considerato, la Confederazione si pone quindi in una buona posizione intermedia, migliore di quella di tre delle quattro economie principali in Europa.

Si può obiettare che si tratta di una magra consolazione essere un po’ sopra tassi di crescita che sono bassi. Ma non è esattamente così. La Svizzera ha da tempo un Prodotto interno lordo pro capite che è tra i più alti al mondo e ciò va considerato, non si può infatti pensare di poter andare sempre e comunque più veloce degli altri, dopo aver già fatto un lungo tratto di strada e trovandosi già da molti anni a livelli elevati. Ciò detto, l’economia elvetica è in ogni caso riuscita a limitare meglio di molte altre la caduta del 2020 dovuta alla pandemia, rimbalzando poi bene e mantenendo in seguito una velocità media, secondo i parametri delle economie avanzate. La resilienza elvetica è stata quindi sin qui confermata.

L’inflazione

Vale la pena di ricordare che in tutto questo la Svizzera rimane uno dei Paesi a più bassa inflazione. Con un rincaro poco sopra lo zero per cento, la Confederazione è molto ben piazzata. La diffusa narrazione secondo cui per avere una buona crescita economica bisogna avere anche una inflazione non bassa ha mostrato più volte i suoi limiti, specie se rapportata non al breve ma al lungo periodo. Una crescita che sia solida nel tempo, non volatile, ha tra i suoi fattori di sostegno anche un’inflazione bassa, che limiti l’erosione del potere d’acquisto, supportando i consumi e dando maggiori certezze per gli investimenti. Anche a questo fattore va dato il giusto spazio nella valutazione complessiva.

La Borsa di Zurigo si difende meglio

La Borsa svizzera ha migliorato la sua posizione in queste ultime settimane. Su base annua la piazza di Zurigo era in territorio positivo già in precedenza, ma il progresso era contenuto. Pur senza raggiungere l’attuale elevata media delle Borse mondiali, il mercato azionario elvetico ha comunque guadagnato terreno e accorciato le distanze. La Borsa svizzera è nota per il suo carattere difensivo, tende cioè a salire meno degli altri listini principali nelle fasi positive e tende anche però a scendere meno di altri nelle fasi negative. Alla chiusura di quest’ultimo venerdì lo Swiss Market Index (SMI), l’indice maggiore di Zurigo, era in progresso del 9% rispetto a un anno prima. Non siamo al guadagno annuo del 18% dell’indice borsistico mondiale in dollari, ma lo SMI ha comunque fatto un passo avanti, considerando che in precedenza il suo progresso su base annua era stato abbastanza a lungo sotto il 5%. Lo SMI raccoglie i titoli a grande capitalizzazione, mentre lo Swiss Performance Index (SPI) raggruppa prevalentemente quelli a media o piccola capitalizzazione. Quest’altro indice di Zurigo ha una situazione migliore, da tempo viaggia un po’ sopra lo SMI e alla chiusura di quest’ultimo venerdì aveva un guadagno annuo del 12%. Sullo SMI hanno pesato nei mesi passati gli andamenti dei tre titoli principali, cioè Roche, Novartis e Nestlé. Ora questi tre pesi massimi in Borsa vanno meglio. I due grandi gruppi farmaceutici, Roche soprattutto, hanno in parte subito le incertezze di tutto il settore a livello internazionale (inclusa la posizione USA sui prezzi dei medicinali) e in parte hanno risentito di loro fasi di transizione nelle linee di prodotti. La parziale schiarita con l’Amministrazione Trump, peraltro con impegni per investimenti negli USA, e più in generale una maggiore chiarezza per gli investitori sullo sviluppo delle attività dei due gruppi elvetici, hanno migliorato il quadro. Roche è in progresso del 20% rispetto a un anno prima; Novartis, che già in precedenza aveva tenuto un po’ meglio, è in positivo per il 12%. Nestlé ha subito l’effetto congiunto della ridefinizione delle linee di prodotti e delle turbolenze per i cambiamenti al vertice. Ora la multinazionale elvetica dell’alimentare sembra procedere verso un assestamento in entrambi i capitoli e il suo titolo in Borsa va un po’ meglio, con un seppur contenuto progresso su base annua, pari al 4%. Il gruppo di Vevey resta comunque sotto i riflettori degli investitori. In testa alla classifica delle capitalizzazioni nello SMI, alle spalle dei primi tre, ci sono da segnalare i buoni andamenti tra gli altri del gruppo industriale ABB (+14%), del gruppo del lusso Richemont (+38%), del maggior gruppo bancario svizzero cioè UBS (+9%). Tra gli elementi che contribuiscono all’attrattività della Borsa svizzera nel lungo periodo ce ne sono due di particolare rilievo: il buon livello dei dividendi e la forza del franco. I dividendi si collegano da un lato alla capacità delle imprese di mantenere o accrescere gli utili, dall’altra alla volontà delle stesse imprese di retribuire adeguatamente gli azionisti. La forza del franco è collegata principalmente alla solidità dell’economia elvetica, ai conti pubblici svizzeri in ordine, all’affidabilità complessiva del sistema Paese. Comprando azioni svizzere, si comprano di fatto anche franchi. Pur con qualche correzione nelle ultime settimane, il franco rimane a livelli elevati. Alla chiusura di quest’ultimo venerdì per 1 euro ci volevano 0,93 franchi e per 1 dollaro USA ce ne volevano 0,80. Rispetto a un anno prima si registra una sostanziale stabilità nel cambio con l’euro, con questo che ha guadagnato uno 0,1%; occorre peraltro ricordare che la moneta unica europea aveva perso parecchio sul franco nella fase precedente. Il dollaro USA negli ultimi dodici mesi ha perso il 9% sul franco; il biglietto verde è arretrato rispetto a molte valute, ma la discesa nei confronti della moneta svizzera è stata tra le più consistenti.