Ticino nevralgico per la logistica mondiale

Una situazione così nel settore della logistica non si era ancora vista. Prima la pandemia e il blocco alle produzioni. Poi una ripresa della domanda globale accompagnata dagli intasamenti nelle catene della logistica. Al contempo problematiche come la mancanza di trasportatori in Gran Bretagna o il blocco in primavera del canale di Suez. Ma in Ticino, tradizionale crocevia per le spedizioni e la logistica, il settore non accenna minimamente a scalare la marcia. Anzi, aumentano gli sforzi per non perdere di competitività e acquisire fette di mercato.
Come quelli effettuati da DHL Express, gigante tedesco della logistica presente anche a Rivera. Negli ultimi sei anni il gruppo ha investito 12 milioni di franchi al fine di rafforzare la forza vendite, i servizi, e per automatizzare i processi. Il centro completamente rinnovato, attivo dal 1.ottobre, è stato inaugurato ieri con parole di elogio anche da parte delle istituzioni: «Il settore è storicamente importante per il Ticino e avere una base logistica tecnologicamente avanzata come questa è sicuramente un atout», ha detto Stefano Rizzi, direttore della Divisione dell’economia.
Nel centro lavorano 75 persone. «Il Ticino è un mercato molto dinamico - spiega Alberto Nobis, CEO DHL Express Europe -. Grazie alla vicinanza con l’Italia e con l’hub di Malpensa, e i collegamenti con Zurigo e Basilea, siamo molto positivi sulle le prospettive di crescita per i prossimi anni». Inoltre, aggiunge il capo delle vendite per la Svizzera Lukas Bügler, «con il nuovo centro servizi vogliamo anche crescere sul mercato locale, che è pieno di potenzialità. C’è il settore della moda, l’industria, la chimico-farmaceutica, le banche. E la logistica è chiave per far funzionare l’economia».
Restano comunque varie difficoltà da affrontare, in primis la mancanza di container, e anche DHL è dovuta correre ai ripari. «Noi trasportiamo la merce essenzialmente sfruttando i voli passeggeri - continua Bügler -. Con la maggior parte degli aerei a terra, abbiamo dovuto aumentare la nostra flotta da 300 a 340 velivoli per poter garantire un servizio ottimale».
Parlano gli spedizionieri
Sfide e difficoltà evidenziate anche dagli spedizionieri ticinesi, punto di tramite tra chi deve spedire e chi ha i mezzi di trasporto. «Durante il primo lockdown - ci spiega Fabio Maciocci, presidente di ATIS (la cooperativa delle aziende ticinesi di spedizione e logistica) - molti collaboratori sono stati licenziati e ora che il lavoro è ripreso non è facile ritrovarli. I mezzi di trasporto sono stati fermati e rimetterli in movimento non è evidente: mancano i pezzi di ricambio, scarseggia l’AdBlue (un liquido senza cui i motori a diesel moderni si spengono). In più bisogna smaltire gli ordini in giacenza accumulatisi nei vari lockdown».
In Europa c’è poi in atto un importante cambio strutturale nel settore, come ci spiega Roberta Cippà Cavadini, presidente dell’associazione cappello Spedlogswiss Ticino. «I grandi trasportatori, tutti locati nell’Est europeo, stanno comprando i piccoli e costruendo lobby importanti. L’Italia il 14 ottobre si è trovata costretta a smentire l’obbligo di green pass per i trasportatori, perchè nessuno avrebbe più voluto trasportare merce nel Paese: infatti molti autisti dell’Est non ce l’hanno, anche perchè il vaccino Sputnik non è riconosciuto».
Un disastro annunciato
Il problema, continua Cippà Cavadini, è che in questo ultimo anno e mezzo si è rotto un equilibrio che era già estremamente fragile. «Non c’era più alcun margine, è bastato un minimo disguido per far saltare il sistema globale. Il primo lockdown ha costretto il settore a una riorganizzazione, il che ha generato gli squilibri che vediamo ora».
Chi trasporta, dopo anni di magra, ora guadagna: in un anno le compagnie marittime e aeree hanno quasi triplicato i noli e i prezzi dei container sono decuplicati. «Ma la nostra marginalità si schiaccia - spiega Maciocci - perché oltre alla qualità e al servizio i clienti sono molto più attenti ai costi. È da tenere presente anche lo scarseggiare di materie prime e i problemi di approvvigionamento energetico. Bisogna quindi rivedere di continuo l’organizzazione interna e le quotazioni. Per noi si aggiunge anche la difficoltà del franco forte». Difficoltà, che per Cippà Cavadini si traducono in molto più lavoro per uguale numero di trasporti organizzati. «Ci vuole più tempo per organizzare lo stesso lavoro. Soprattutto è diventato difficile gestire il lato psicologico della situazione. Gli spostamenti sono un terno al lotto (lo vediamo anche da noi): non è semplice dover gestire continui imprevisti e comunicare ai clienti che nessuno sa quando riceveranno la merce. C’è molto nervosismo».
È solo mancanza di offerta?
È un lotto pure prevedere quando la situazione si normalizzerà. «Le rotte non sono sostanzialmente cambiate - spiega Maciocci - però i prodotti che arrivano da lontano subiscono dei rincari, a volte chiaramente per una politica di valorizzazione messa in atto dai vari governi più che per lo squilibrio tra domanda e offerta. Insomma, si cerca di arrivare alla sperata ripresa generale con meno danni possibili». Sensazione condivisa da Cippà Cavadini: «sempre più partner ci dicono che c’è pure chi in questa situazione ci marcia e rincara i prezzi ad hoc. Per il momento navighiamo a vista, cercando di sostenere i nostri collaboratori, clienti e fornitori e di stare all’erta per capire la scenografia del futuro. Certo che, per tornare a un equilibrio, un primo passo per le società europee potrebbe essere quello di rilocalizzare la produzione in Europa. E sganciarsi un pochino dai grandi poteri, USA, Cina, Russia», conclude.