Finanza in crisi

Un improvviso e rapido crac bancario mette in allarme le banche centrali

Il Tesoro americano e la Federal Reserve sono costrette a intervenire per salvare i depositi dei clienti di due banche attive nel mondo startup della Silicon Valley
Il fallimento della Silicon Valley Bank ha provocato una «corsa agli sportelli» che ha ricordato, seppure in misura minore, quanto successo nel 2008 durante la crisi finanziaria.© Reuters/Brittany Hosea
Dimitri Loringett
13.03.2023 20:30

Giornata tesa, di quasi panico, quella di oggi per i mercati finanziari alle prese con le reazioni al fallimento-lampo, venerdì scorso, della banca americana Silicon Valley Bank (SVB) e, domenica, della Signature Bank che le autorità statunitensi hanno fatto chiudere rappresentando il secondo grande fallimento di una banca commerciale in tre giorni. A questi due si aggiunge la liquidazione volontaria della Silvergate Bank, lo scorso 3 marzo. Il timore di contagio nel settore bancario globale c’è, come dimostra – per stare vicino a noi in Svizzera – il tonfo del titolo Credit Suisse che oggi in giornata era riuscita a perdere fino al 14% del suo valore.

Una situazione che ricorda quanto successe durante la grande crisi finanziaria globale del 2007-2008 quando i fallimenti della Washington Mutual prima e di Bear Stearns poi ebbero un effetto «contagio» nel mercato. Stiamo rivivendo lo stesso film? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Barone Adesi, professore di teoria finanziaria all’USI. «Si può parlare di rischio contagio nel senso che il rischio di insolvenze bancarie va oltre quello degli istituti legati al settore delle criptovalute o della tecnologia, o del venture capital in generale. Riguarda un po’ tutti gli istituti di credito che negli ultimi anni, alla ricerca di un profitto, hanno investito in progetti molti rischiosi quando i tassi d’interesse erano nulli e oggi si trovano spiazzati dal loro aumento repentino».

La vicenda della SVB però appare legata piuttosto alla non accurata gestione della liquidità… «Esatto, la SVB ha violato i principi basilari dell’ALM (asset liability management, gestione di bilancio). L’unico dubbio è se la SVB abbia violato questi principi perché erano davvero incompetenti, nonostante quarant’anni di attività, oppure se hanno cercato scientemente di fare un colpaccio finanziandosi sul mercato sul breve termine (a tassi bassi, ndr) e investendo in obbligazioni del Tesoro americano ventennali e trentennali che promettevano rendimenti più elevati fino a un anno fa, titoli che da qualche mese hanno subito delle forti perdite per via dell’aumento dei tassi provocati dagli interventi della Federal Reserve».

Quindi, la politica monetaria della Fed, con la rapida serie di aumenti del tasso d’interesse guida (Fed Funds) iniziata nell’estate 2022, è stata troppo aggressiva? «Per oltre dieci anni la Fed è stata, contro ogni logica, troppo lassista. Adesso, invece, è troppo aggressiva nel cercare di riparare agli errori del passato».

Nei prossimi giorni si attendono gli annunci della BCE, seguita dalla Fed e dalla nostra BNS, sulle rispettive politiche monetarie. Gli analisti già scommettono che non faranno ulteriori aumenti dei tassi. Possiamo parlare di una possibile «virata» delle banche centrali? «Penso che sarebbe il minimo che la prudenza detterebbe. Sarei molto sorpreso se non lo facessero. D’altra parte, questo vuole dire che dovranno moderare la loro azione per attenuare le tensioni inflazionistiche. Questo creerà naturalmente qualche difficoltà alla Svizzera, in termini del cambio di euro e dollaro sul franco svizzero, che si rafforzerà».

Si salvano i clienti, non gli istituti

Stando alla Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), le banche americane siedono su 620 miliardi di dollari di perdite non realizzate, ovvero su attivi il cui valore è calato in termini di prezzo ma che non sono stati ancora venduti. «Bisogna dire che ci sono dei limiti della regolamentazione che consente alle banche di non riconoscere le perdite del valore di mercato delle obbligazioni che hanno dichiarato di voler tenere fino alla scadenza, un’agevolazione che va bene per abbellire il loro bilancio ma certamente non dà sicurezza agli azionisti quando si rendono conto che i depositi dei clienti non sono assicurati né dal governo, né dal valore degli attivi della banca».

Intanto, oggi altri due istituti di credito americani – le banche regionali First Republic e Western Alliance – registravano pesanti perdite in Borsa (fino all’80%) che lasciano presagire ulteriori messe in garanzia da parte della FDIC. Vedremo forse altri fallimenti? «Penso di no perché le autorità di vigilanza e i governi hanno imparato nel 2008 che salvare le banche costa meno che farle fallire. Tra l’altro, domenica le autorità statunitensi hanno deciso che le banche in difficoltà potranno ricevere un prestito dalla Fed pari al valore nominale delle obbligazioni che hanno dato in pegno alla banca centrale. Non più al valore di mercato attuale di quelle obbligazioni».

Credit Suisse soffre per altri motivi

Oggi Credit Suisse è stato colpito duramente in Borsa. È forse impattato dalla vicenda SVB? «Non credo. Sostanzialmente la banca, nonostante il recente aumento del capitale, ha ancora la necessità di reperire capitali sul mercato e, inoltre, sta procedendo con lo scorporo di First Boston. Naturalmente le dismissioni sono più facili quando c’è molta liquidità e i tassi sono bassi, idealmente a zero. Adesso che i tassi stanno aumentando, diventa tutto più costoso e il valore che gli investitori attribuiscono al CS ne risente». L’operazione First Boston è quindi a rischio? «No, lo scorporo è necessario e si farà, ma sarà meno redditizia e probabilmente sarà più difficile trovare un accordo sulle condizioni di vendita».

«Corporate America», vent’anni di scandali e fallimenti

Nella più grande economia mondiale i grossi fallimenti aziendali non sono una novità. Ripercorriamo qui di seguito i maggiori «crack» della «corporate America» dall’inizio del nuovo millennio.

ENRON nel 2001 dichiara la bancarotta. Un tracollo contrassegnato da scandali societari senza precedenti, con i manager che incassavano milioni di dollari pur sapendo di truccare i conti.

WORLDCOM: l’ex regina delle telecomunicazioni richiede la bancarotta nel 2002 dopo che il CEO aveva gonfiato i conti per mascherare il rallentamento della crescita dei ricavi.

LEHMAN BROTHERS: il 15 settembre 2008 la banca fa bancarotta e innesca una crisi che porta alla Grande Recessione e spinge le banche centrali, in primis Fed e BCE, a misure senza precedenti per evitare una nuova Grande Depressione. In Svizzera, la BNS e la Confederazione sono costrette a correre in aiuto di UBS per evitare il fallimento.

WASHINGTON MUTUAL: la banca al centro della crisi dei mutui viene chiusa nel 2008 dalle autorità americane. Al momento della chiusura aveva 307 miliardi di dollari in attivi e 188 miliardi in depositi.

GENERAL MOTORS: la bancarotta di General Motors nel 2009 è stata la terza maggiore nella storia americana, dopo Lehman Brothers e Worldcom.