La polemica

Una tassa sull’oro raffinato in Svizzera? «Sarebbe un boomerang a livello globale»

Per il settore, triangolare il commercio di preziosi o imporre «tariffe nazionali» non sono soluzioni percorribili – A parlare è Simone Knobloch, Chief Operating Officer (COO) presso Valcambi SA di Balerna
© CdT/Gabriele Putzu
Generoso Chiaradonna
06.08.2025 06:00

«Non è mio compito dire cosa dovranno fare i negoziatori svizzeri nei prossimi giorni. Spero vivamente che sia ancora possibile trovare un accordo ragionevole per l’economia svizzera, ma sono rimasto a dir poco perplesso dalle proposte emerse in questi giorni sul settore della raffinazione dei metalli preziosi». A parlare è Simone Knobloch, Chief Operating Officer (COO) presso Valcambi SA di Balerna, una delle tre raffinerie di oro e altri metalli preziosi presenti in Ticino.

C’è, per esempio, chi propone di triangolare il commercio di oro dalla Svizzera verso gli Stati Uniti passando per Londra, oppure addirittura di tassare in Svizzera l’export di metalli preziosi verso gli USA, in modo da alleggerire il disavanzo commerciale (circa 41 miliardi di dollari) all’origine del superdazio del 39% sulle merci prodotte nella Confederazione. «Quella della triangolazione – spiega Knobloch – è una proposta che lascia il tempo che trova. Il commercio di oro da investimento soggiace a regole internazionali comuni a tutti i Paesi, Stati Uniti inclusi. Vale la pena ricordare che il bypass dell’importazione di oro da investimento tramite, per esempio, il Regno Unito non è percorribile. E questo per un motivo molto semplice: l’origine dei prodotti – tutti, non solo i lingotti e le barre d’oro fino – deve essere dichiarata all’importazione», chiarisce il COO di Valcambi. «Questo vuol dire che, se vi sono marcature che ne determinano il Paese di produzione, l’origine è dove il bene è stato fabbricato, non il Paese di provenienza dell’oggetto».

Un’auto, per esempio, è assemblata con componenti che arrivano da varie parti del mondo, ma la «nazionalità» del bene finale è determinata da dove è avvenuta la parte rilevante del lavoro.

«Non capisco come questo possa ridurre la bilancia commerciale tra Svizzera e USA, ammesso che sia il settore della raffinazione dell’oro il problema», aggiunge Knobloch, che precisa: «Le raffinerie svizzere, nell’ultimo anno, non hanno fatto altro che rispondere in modo industrialmente efficiente all’elevata domanda di barre e lingotti d’oro fino da parte di istituzioni finanziarie e banche centrali da tutto il mondo, e in particolare dagli Stati Uniti».

Hans-Peter Portmann, consigliere nazionale zurighese del PLR, propone una tassa – sempre del 39%, ma questa volta interna – sull’export verso gli USA. È una possibilità percorribile?

«Un dazio sulle barre d’oro prodotte in Svizzera potrebbe avere effetti negativi non solo sulle raffinerie elvetiche, ma sull’intera circolazione dell’oro da investimento a livello mondiale: le barre da investimento svizzere sono ovunque nel mondo, detenute da banche centrali, da altre banche e da fondi di investimento.

Peraltro, secondo la Sezione XIV dell’Harmonized Tariff Schedule of the United States (HTS), revisione 17, l’oro da investimento ha una “Rate of Duty: Free” da qualunque Paese».

Tradotto, significa che l’oro da investimento, essendo una riserva di valore, non è tassabile in quanto tale. Diverso è il discorso per gli usi industriali di questo metallo. Ma non è certo quest’ultima voce a squilibrare la bilancia commerciale a favore della Svizzera.

In questi giorni si è però percepita una certa rassegnazione da parte di altri ambiti dell’economia svizzera, come se ci fosse l’intenzione di sacrificare un settore piccolo per salvare il resto del mondo produttivo, che ha forti legami con gli Stati Uniti. Pensiamo al settore farmaceutico, a quello dell’industria delle macchine o all’orologeria.

«Se si guarda alla sola occupazione, il nostro settore impiega oltre un migliaio di persone», risponde Simone Knobloch. «Rispetto al numero totale di posti di lavoro in Svizzera possono sembrare pochi, e quindi “sacrificabili”, ma per il Ticino sarebbe un salasso occupazionale enorme, visto che oltre i tre quarti di questi impieghi, e delle relative competenze tecniche e industriali, si trovano a sud delle Alpi».

«Per questo il settore dei metalli preziosi deve rimanere vigile, affidandosi al lavoro delle autorità elvetiche e delle associazioni di categoria, per garantire la tutela di una filiera strategica e globale come quella dei metalli preziosi. La prudenza e il dialogo istituzionale restano oggi le chiavi per assicurare stabilità e continuità negli scambi internazionali», conclude il dirigente di Valcambi, che precisa anche che nell’ultimo anno e mezzo l’oro si è rivalutato molto (da 60.000 a oltre 81.000 franchi al chilo).

«Noi importiamo oro grezzo ed esportiamo oro fino. Il nostro è un lavoro puramente metallurgico e industriale, non finanziario. Il costo di raffinazione sul prezzo finale incide soltanto per meno dello 0,1% del valore»