Criptofinanza

Verso la fine del «Far West digitale» con le regole sulle «stablecoin»

La «GENIUS Act» approvata dal Congresso statunitense «mette ordine» nel mercato delle monete digitali ancorate al dollaro
Lo scorso 18 luglio il presidente Trump ha firmato la legge sulle «stablecoin». © AP/Francis Chung
Dimitri Loringett
29.07.2025 06:00

La «sregolatezza» del mondo cripto sembra avere i giorni contati. In Europa, è passato appena un anno dall’entrata in vigore del regolamento Markets in Crypto-Assets (MiCA), che introduce un quadro normativo specifico per gli emittenti di stablecoin. Negli Stati Uniti una regolamentazione analoga è stata approvata solo due settimane fa dal Congresso e subito firmata dal presidente Trump.

Per molti, l’approvazione del Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins Act of 2025 (GENIUS Act) segna una svolta epocale: è il primo quadro normativo negli USA per le valute digitali ancorate al dollaro in rapporto fisso di uno a uno. Gli USA, dove circolano le principali stablecoin come tether e USDC, rappresentano il cuore di questo mercato. Non a caso, entrambe sono legate al dollaro.

«Le stablecoin rappresentano una rivoluzione nella finanza digitale», ha dichiarato il Segretario al Tesoro Scott Bessent, il 18 luglio, giorno della firma della legge. «Questa tecnologia innovativa rafforzerà lo status del dollaro come valuta di riserva globale, amplierà l’accesso all’economia del dollaro per miliardi di persone in tutto il mondo e genererà un’impennata della domanda di Treasury statunitensi». Le stablecoin, infatti, sono tipicamente «coperte» da asset sicuri come i titoli di Stato americani a breve scadenza, molto liquidi e facilmente negoziabili, praticamente alla stregua del contante.

È il caso di Tether, il maggiore emittente di stablecoin al mondo, che detiene Treasury per quasi 130 miliardi di dollari – più della Germania, tanto per fare un paragone – a fronte di token emessi finora per un valore pari a circa 150 miliardi. «È evidente che serva un controllo più diretto, magari con una presenza locale e con rapporti più trasparenti con le autorità», osserva Roberto Malnati, analista finanziario presso Royalfid SA a Savosa. «Ben venga quindi il GENIUS Act: una normativa che riconosca il peso sistemico di questi attori e li sottoponga a una supervisione adeguata. Ormai hanno raggiunto una massa critica paragonabile a quella delle grandi banche. Ma non basta parlare di collateralizzazione. C’è anche il tema della continuità aziendale: quanto sono trasparenti e solide queste società? Se domani la tecnologia quantistica rendesse vulnerabile ogni blockchain, cosa accadrebbe? Ecco perché la regolamentazione deve prevedere anche requisiti tecnologici e strutturali, non solo finanziari».

Europa e Stati Uniti si muovono nella stessa direzione, ma con differenze significative, come spiega l’avvocato Lars Schlichting dello studio Lexify di Lugano: «GENIUS Act e MiCA condividono obiettivi fondamentali – protezione dei consumatori, lotta contro il riciclaggio, stabilità finanziaria – ma divergono nell’impostazione. Gli Stati Uniti riconoscono più esplicitamente la potenzialità delle stablecoin come mezzo di pagamento globale e vogliono garantirne l’ancoraggio al dollaro. Inoltre, le norme americane sulla custodia dei fondi sono più flessibili: dove l’Europa impone il deposito in banche europee, gli USA consentono anche la custodia in Treasury e altri strumenti liquidi».

L’adozione di «cripto-regole» su entrambe le sponde dell’Atlantico punta a rimettere ordine in un mercato che, dal lancio del Bitcoin nel 2009, era cresciuto in modo disordinato, diventando una sorte di «Far West digitale». «L’interesse del governo americano è avere maggiore supervisione su operatori che oggi si muovono liberamente, spesso cambiando giurisdizione per sfuggire a normative più restrittive», osserva Malnati. «In molte di queste giurisdizioni, non c’è obbligo reale di dimostrare che ogni unità della “moneta” sia effettivamente coperta da un dollaro».

Secondo Schlichting, però, l’approccio europeo rischia di essere troppo restrittivo: «L’Europa ha di fatto limitato il mercato delle stablecoin, con il rischio concreto di creare un ecosistema solo europeo e privo di attori globali. E la Svizzera è messa ancora peggio. La Finma è l’unica autorità al mondo che richiede l’identificazione di entrambe le parti anche per semplici trasferimenti peer-to-peer in stablecoin, ad esempio tra un consumatore e un esercente. Questa rigidità ha spinto fuori dal Paese tutti gli emittenti di stablecoin, con danni evidenti per la piazza finanziaria».

Nel mercato delle cripto ci sono però ancora molti punti deboli. «Oggi – spiega Malnati – operatori come Mastercard, Visa o PayPal funzionano attraverso architetture regolamentate, che garantiscono disponibilità immediata dei fondi e un rapporto diretto tra ciò che il cliente spende e ciò che viene effettivamente coperto. Sono sistemi basati su obblighi chiari di riserva, sorvegliati da autorità centrali, che garantiscono fiducia e stabilità. È proprio a queste architetture che i regolatori potrebbero ispirarsi per normare anche le stablecoin. Perché penalizzare chi le emette – e vuole farlo in modo trasparente – invece di permettergli di operare in un quadro altrettanto solido e controllato?»

Per l’analista la risposta è strategica: «La prossima grande guerra – economica, tecnologica, geopolitica – si giocherà proprio su questo campo. L’Europa oggi è un nano nei sistemi di pagamento digitali, completamente dipendente dalla tecnologia americana. Se un giorno gli Stati Uniti decidessero di “spegnere” Visa, Mastercard o altre infrastrutture, l’Europa si troverebbe paralizzata. Anche solo per fare la spesa».

Anche per questo motivo le banche centrali europee stanno sviluppando un ecosistema di app per l’euro digitale, pensato per funzionare anche offline e integrabile nei sistemi di pagamento esistenti. La Cina, intanto, è già avanti: ha dimostrato che è possibile gestire pagamenti, pensioni, trasporti e altri servizi pubblici anche attraverso piattaforme nate dal settore privato, ma perfettamente integrate. «L’Europa ha davanti a sé una grande opportunità con l’euro digitale – conclude Malnati – ma deve essere un’infrastruttura a partecipazione maggioritaria pubblica. Un asset non contendibile sul mercato. I soggetti privati hanno già la tecnologia pronta, ma spetta alle istituzioni integrarli e stabilire le regole del gioco».

Tecnologie già note e oggi oggetto di sperimentazione anche in Svizzera, dove la Banca nazionale, con il progetto Helvetia, sta sperimentando l’utilizzo di una valuta digitale della banca centrale (CBDC) in ambito interbancario e per il regolamento delle transazioni di Borsa, in collaborazione con SIX Digital Exchange.