L'intervista

«Vogliamo poter intervenire anche in situazioni “normali”»

Entrato in carica lo scorso 1. aprile, il 59.enne tedesco Stefan Walter, con trascorsi alla Fed e alla BCE, è chiamato a dirigere la Finma in un momento delicato, tra l’inchiesta parlamentare sul caso Credit Suisse e l’obiettivo di garantire la stabilità del sistema finanziario in Svizzera – Lo abbiamo incontrato in occasione dell’annuale appuntamento con gli operatori della piazza ticinese a Villa Negroni
© Keystone/Peter Klaunzer
Dimitri Loringett
04.12.2024 06:00

Entrato in carica lo scorso 1. aprile, il 59.enne tedesco Stefan Walter, con trascorsi alla Fed e alla BCE, è chiamato a dirigere la Finma in un momento delicato, tra l’inchiesta parlamentare sul caso Credit Suisse e l’obiettivo di garantire la stabilità del sistema finanziario in Svizzera. Lo abbiamo incontrato in Villa Negroni, a Vezia, in occasione dell’annuale appuntamento con gli operatori della piazza ticinese.

Partiamo con un tema che riguarda da vicino il Canton Ticino. L’anno scorso avete siglato un memorandum d’intesa con Consob e Banca d’Italia, creando una maggiore «certezza del diritto» per le attività «cross border». Ci sono novità a riguardo?

«L’accordo rappresenta un traguardo significativo dopo molti anni di discussioni con le autorità di vigilanza italiane. Dovrebbe facilitare l’offerta di servizi finanziari da parte degli istituti svizzeri in Italia, soprattutto attraverso le filiali. È ancora un po’ presto per valutare i risultati concreti, ma speriamo che questo accordo porti i suoi frutti nel corso del tempo. Sono venuto a Lugano anche per ascoltare gli operatori della piazza ticinese e comprendere le loro richieste».

I gestori patrimoniali devono ottenere una licenza della Finma per poter operare. I vantaggi in termini di credibilità del settore sono chiari, ma si temono gli accresciuti oneri amministrativi...

«Nel quadro della sua vigilanza integrata e dunque anche nell’ambito di quella prudenziale, la Finma attribuisce grande importanza alla protezione degli investitori e agli obblighi di comportamento dei partecipanti al mercato. La legislazione sui servizi finanziari deve garantire standard elevati e coerenti e trasparenza per tutti, ma siamo consapevoli sia delle differenti dimensioni degli operatori, sia della complessità dei loro prodotti e cerchiamo di adattare le normative in modo proporzionale. Ciò significa che più un istituto è grande e complesso e maggiori sono i rischi a cui è esposto, tanto più ampie sono le regole e le aspettative della Finma e tanto più stringente è la vigilanza a cui è sottoposto. Non dobbiamo inoltre garantire solo la protezione dei clienti e degli investitori, ma anche la tutela e la reputazione del mercato finanziario in un’ottica di lungo periodo».

Passiamo al grande tema della stabilità finanziaria. Durante un recente incontro con il Consiglio federale, la Finma ha ribadito il suo obiettivo di «rafforzamento della vigilanza preventiva». Che cosa si intende con questo?

«Nel “Monitoraggio dei rischi 2024” recentemente pubblicato abbiamo constatato che i rischi non finanziari, come quelli legati alla cibersicurezza, alle sanzioni e al riciclaggio di denaro, rappresentano una minaccia sempre più grave per gli istituti finanziari. La nostra attenzione si concentra quindi sempre più sulla governance, la cultura del rischio e il modello d’affari. Spesso, infatti, le difficoltà in questi ambiti emergono ben prima di impattare sul capitale o sulla liquidità, ossia danneggiando la reputazione di un istituto. È fondamentale quindi poter intervenire preventivamente e precocemente sul piano qualitativo, prima che si verifichino perdite significative. La gestione del rischio è però innanzitutto responsabilità del Cda e della direzione. La vigilanza deve intervenire solo quando questi non riescono a gestire adeguatamente l’istituto».

Nella prima metà del 2025 il Consiglio federale si pronuncerà anche in merito agli strumenti di vigilanza della Finma. Che cosa vi aspettate dal Governo?

«La Finma chiede di disporre di tutte le competenze necessarie per intervenire in modo proattivo anche in situazioni “normali” della cosiddetta “fase di calma” e di applicare in maniera proporzionale tutto il ventaglio di strumenti di vigilanza. Questo significa, per esempio, poter richiedere, o se del caso imporre, aumenti di capitale se gli stress test prospettici indicano una potenziale carenza di capitale, ridurre i bonus e le distribuzioni di utili o intervenire in caso di modelli d’affari non sostenibili prima che si verifichino crisi. La Finma deve inoltre disporre della competenza di affrontare in modo rapido e diretto le questioni relative alla responsabilità personale a livello dirigenziale, per individuare in maniera più mirata - e, se necessario, sanzionare - i comportamenti scorretti, per esempio introducendo un Senior Managers Regime. Deve anche poter infliggere multe e avere la possibilità di comunicare in maniera più proattiva sulla sua attività di vigilanza, in particolare sui procedimenti di enforcement conclusi. L’obiettivo principale è prevenire le crisi, rafforzare la responsabilità dei dirigenti e garantire una maggiore stabilità del sistema finanziario».

L’Associazione svizzera dei banchieri è critica sull’inasprimento dei requisiti dei fondi propri delle banche. UBS, in particolare, afferma che le paventate richieste di Governo e Finma minerebbero la sua competitività sul piano internazionale. UBS è davvero sottocapitalizzata?

«In generale, riteniamo che occorra capitalizzare completamente le partecipazioni delle case madri per evitare di indebolire in maniera significativa il capitale dell’istituto in caso di vendita durante una procedura di stabilizzazione o di risanamento (recovery e resolution). Questa misura, a nostro avviso, previene il rischio di prociclicità delle perdite e garantisce la stabilità finanziaria a lungo termine, senza compromettere la competitività globale.».

Esiste un «worst-case scenario» per UBS?

«Dobbiamo ridurre al minimo la probabilità che si verifichi un problema. Ma dobbiamo anche essere preparati, anche se la probabilità è bassa, nel caso in cui un istituto si trovi in difficoltà, in modo da contenere al massimo l’impatto di tale situazione sul sistema finanziario ed è qui che entrano in gioco i piani di stabilizzazione e di liquidazione. Riteniamo che UBS possa essere liquidata nell’ambito dell’opzione preferita di un approccio Single Point of Entry, anche se in una comunicazione rilasciata a ottobre abbiamo formulato delle richieste, in particolare in merito all’integrazione di Credit Suisse, per rafforzare ulteriormente la sua capacità di risanamento e di liquidazione (resolvability). Ma vogliamo anche disporre di più opzioni per le diverse situazioni, qualora si dovesse arrivare a una liquidazione. In particolare, nel caso in cui l’istituto, la sua reputazione e la fiducia nel suo modello d’affari siano danneggiati in modo sostanziale, non sia più possibile semplicemente ricapitalizzare e mantenere l’attività operativa, bensì sia necessario chiudere l’istituto e i suoi settori di attività. Oppure la possibilità di vendere l’istituto. Ma queste ulteriori opzioni richiedono innanzitutto adeguamenti della legislazione. In tutte queste opzioni la liquidità necessaria per una liquidazione efficace deve essere garantita in via preventiva attraverso un Public Liquidity Backstop e non deve dipendere dalla tempestiva attuazione del diritto di necessità in una situazione di crisi in rapido deterioramento».

Tra le varie critiche sulla vicenda Credit Suisse, vi è quella - non nuova - secondo cui la Finma agisce con forza sui deboli e con debolezza sui forti. Quale «osservatore», non coinvolto quindi con il caso in questione, come giudica questa critica?

«Devo chiaramente dissentire da questa critica di disparità di trattamento degli istituti più piccoli rispetto a quelli più grandi. La Finma esercita sui grandi istituti bancari (categorie 1 e 2) una vigilanza notevolmente più serrata e con un maggiore impiego di risorse rispetto agli istituti più piccoli (categorie 4 e 5). Per i quattro istituti delle categorie 1 e 2 arriviamo fino a circa venti controlli in loco all’anno, mentre per i piccoli istituti, che sono più o meno 220, ad appena circa 15 all’anno. Per un piccolo istituto può dunque essere effettuato un unico controllo in loco da parte della Finma sull’arco di più di dieci anni. E se si considerano le misure derivanti dai controlli e dalla vigilanza, emerge che il 20% dei procedimenti di enforcement riguarda gli istituti delle categorie 1 e 2, ovvero solo il 2% delle banche. L’intensità della vigilanza è dunque chiaramente proporzionale alle dimensioni e alla complessità. Le risorse e i conseguenti interventi di enforcement della Finma sono concentrati sui grandi istituti proprio perché è da questi che provengono i maggiori rischi per la stabilità del sistema finanziario».

Per concludere, una domanda sulle cripto: la Finma si preoccupa del rischio di riciclaggio di denari tramite le stablecoin?

«Adottiamo un approccio neutrale nei confronti dell’innovazione e delle tecnologie e ciò riguarda anche l’ambito delle stablecoin, secondo il principio “same risks, same business, same rules”. Indipendentemente che si tratti di istituti tradizionali o di istituti operanti in ambito fintech, quindi, a essere decisivi per la vigilanza sono i rischi, non la tecnologia».

La vigilanza della Finma è la «seconda linea di difesa»

All’incontro annuale tra la Finma e gli operatori della piazza finanziaria ticinese, lo scorso 25 novembre al Centro studi Villa Negroni a Vezia, è stato presentato il rapporto «Monitoraggio dei rischi 2024» dell’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari.

Nel suo intervento introduttivo, il direttore Stefan Walter ha sottolineato, tra le altre cose, che «spetta in primo luogo agli istituti sottoposti a vigilanza identificare i rischi e, se del caso, intervenire. La vigilanza sui mercati finanziari (effettuata dalla Finma, ndr) è la “seconda linea di difesa”».

Il rapporto della Finma identifica nove rischi principali relativi a: il mercato immobiliare (valutazioni e ipoteche), il credito in relazione agli altri crediti (es. quelli Lombard), il mercato (spread creditizio), la liquidità e il rifinanziamento, l’accesso al mercato, il riciclaggio di denaro, le sanzioni, l’esternalizzazione (outsourcing) e, non da ultimo, i rischi informatici (cyber risk).

Nell’elenco non figura invece quello relativo ai tassi, la cui probabilità di uno shock- scrive la Finma - è diminuita grazie all’attuale livello dei tassi d’interesse e il calo dell’inflazione.

Riguardo in particolare al riciclaggio di denaro, Walter ha affermato che «le criptovalute non sono utilizzate solo nei ciberattacchi, ma anche come mezzo di pagamento per il commercio illegale sul dark web. Quest’ultimo aspetto è probabilmente rilevante anche per il Canton Ticino, che sta vivendo una crescita nei settori fintech, blockchain e criptovalute, che deve essere mitigata attraverso quadri di controllo del rischio rafforzati».