Finanza

Wirecard, a processo il caso che imbarazzò la Germania

È iniziato a Monaco di Baviera il dibattimento per una delle truffe finanziarie più gravi dal 1945 a oggi – Sul banco degli imputati c’è il fondatore Markus Braun, definito lo «Steve Jobs tedesco» – Azionisti danneggiati per oltre tre miliardi di euro dai vertici di una delle società quotate nel ristretto club del DAX
Al centro Markus Braun, CEO e ispiratore della società fallita.
Generoso Chiaradonna
08.12.2022 20:30

Doveva essere la risposta europea ai giganti tecnologici della Silicon Valley; invece si dimostrò uno di fallimenti aziendali più spettacolari della storia tedesca raccontato magistralmente in un documentario Netflix di successo dal titolo emblematico: Skandal! Il crollo di Wirecard. Sempre su Netflix a metà di quest’anno è uscita una serie intitolata King of stonks - È l’economia, idiota dove si ripercorre in chiave satirica (ma neanche tanto) l’ascesa e il crollo di una società - «CableCash AG» - che somiglia in tutto e per tutto al caso Wirecard. Oggi, dopo due e mezzo dal fallimento della società finanziaria, è iniziato il processo penale per quello che si ritiene il più grande caso di frode in Germania dal 1945.

Il dibattimento, presieduto dal giudice Markus Födisch e che vede quali imputati principali l’ex amministratore delegato Markus Braun e altri due ex dirigenti, si è aperto oggi presso il primo Tribunale Regionale di Monaco. Il processoè iniziato con tre quarti d’ora di ritardo a causa della grande folla di persone e media accorsi. Il pubblico ministero accusa Braun di aver formato una banda criminale che ha truffato migliaia di azionisti e investitori. Il danno ammonterebbe a 3,1 miliardi di euro (circa 3 miliardi di franchi). Il clamore mediatico suscitato non è però per l’importo, pur notevole, ma per il fatto che Wirecard fosse entrata nel club delle società quotate al DAX, il listino principale della borsa tedesca. Mai prima d'ora i vertici di una società Dax era stato accusato di aver agito come una banda organizzata di truffatori.

Sul banco degli imputati siede anche Oliver Bellenhaus, già responsabile della filiale Wirecard a Dubai. L’accusa ipotizza che la «banda Wirecard» fosse molto più ampia: tra gli indagati anche l’ex direttore finanziario che ha lasciato il gruppo prima del crollo; il direttore commerciale Jan Marsalek, latitante dal 2020 e diversi altri complici all'estero. Sono previsti più di 100 giorni di dibattimento nell’aula bunker allestita vicino alla penitenziario di Stadelheim. Il verdetto a dell’intricato caso si saprà non prima del 2024. Braun, in detenzione preventiva da due anni, nega le accuse e si considera vittima di macchinazioni criminali. Il testimone chiave dell'accusa è proprio l’ex responsabile di Dubai, Oliver Bellenhaus anch’esso in detenzione preventiva.

Quello strano sviluppo in Asia

Wirecard fu fondata nel 1999 ad Aschheim, vicino a Monaco di Baviera. Per capire che genere di servizi erogasse, bisogna sapere che i suoi diretti concorrenti erano PayPal e Western Union: Wirecard faceva infatti parte del cosiddetto settore «fintech». In pratic forniva la tecnologia che supporta i pagamenti online. Fino al 2000 si occupava di fare da interfaccia tra i circuiti delle carte di pagamento e i siti internet pornografici e di scommesse online, allora tenuti a distanza da banche e società emittenti. Tra il 2011 e il 2014 la società ha raccolto investimenti per 500 milioni di euro da vari azionisti, iniziando un’espansione internazionale che la portò ad acquistare piccole società in tutta l’Asia, ad attirare sempre più investitori e a lavorare con compagnie aeree, società di calcio e istituti bancari. Wirecard diceva di avere oltre 300 mila aziende come clienti in tutto il mondo, sedi in più di 20 paesi e circa 6 mila dipendenti. Nel giugno del 2020, il gruppo è crollato assieme al castello di carta (finta) e debiti (veri).

I dubbi sulla rapida evoluzione di Wirecard erano cominciati a circolare già nel 2008, quando alcuni analisti e operatori finanziari avevano detto di aver notato cose poco chiare nelle società acquisite da Wirecard – per centinaia di milioni di euro – a Singapore, in Indonesia, Malesia o a Dubai: società piccole che nel giro di un anno cominciavano a raccogliere grandi quantità di denaro generando buona parte dei profitti di Wirecard.

Nel corso 2019 anche il Financial Times (FT) aveva iniziato a interessarsi della questione, ipotizzando presunte irregolarità contabili nella divisione di Wirecard di Singapore. Invece di indagare, il Bafin, l’autorità di Borsa, criticò duramente e poi denunciò i due giornalisti del Financial Times che si erano occupati di Wirecard. Nel febbraio del 2019 il Bafin vietò per due mesi le vendite allo scoperto sul titolo Wirecard, per evitare speculazioni a seguito delle notizie riportate dal FT. A difesa della decisione, si schierò Olaf Scholz, allora ministro delle Finanze, oggi Cancelliere federale.