Sanità

EOC: ridurre i costi della salute puntando sull'ambulatoriale

Il modello proposto dagli assicuratori di HSK è quello dell’Ospedale di Bienne - Dal Cantone un sostegno per compensare la perdita di ricavi - Bianchi: «Giusto precorrere i tempi in vista dell’entrata in vigore di EFAS» - Lurà: «Una via per alleggerire la pressione su tutto il sistema»
© CdT/Gabriele Putzu
Paolo Galli
12.12.2025 06:00

L’associazione nazionale degli ospedali H+ lo aveva ricordato non più tardi di due settimane fa: «Lo status quo non è un’opzione». E suggeriva, per far fronte alla crisi del sistema, tre misure, tra cui la promozione dell’assistenza ambulatoriale. Ed eccoci qui. Quella del Cantone e dell’EOC sembra quasi una risposta a quella riflessione, a quel ritardo cronico maturato dalla Svizzera rispetto al resto dell’Europa, in particolare ai Paesi nordici. Quale risposta? «HSK, EOC e Cantone Ticino insieme per una sanità ambulatoriale, efficiente e orientata al futuro». Questo è il tema.

Trasferire le cure

Sì, l’Ente Ospedaliero Cantonale e la Comunità di acquisti HSK SA - che rappresenta gli assicuratori Helsana, Sanitas e KPT -, con il sostegno del Cantone Ticino, hanno concordato l’avvio di un progetto pilota innovativo per favorire le cure ambulatoriali in ambito chirurgico. Questo progetto - leggiamo nel comunicato - mira a promuovere trattamenti ambulatoriali più efficaci, appropriati e di alta qualità, riducendo gli attuali incentivi errati e favorendo una maggiore presa in carico dei pazienti in regime ambulatoriale». Il progetto rientra in un discorso di avvicinamento all’introduzione del finanziamento uniforme delle cure ambulatoriali e stazionarie (EFAS), previsto per il 2028. I partner sono infatti unanimi nel sottolineare che «l’adozione di questo modello richiederà un’azione coordinata già dal 2026». Il nuovo modello di finanziamento, che avrà effetto durante il biennio 2026-2027, si basa su un approccio già adottato tra l’Ospedale di Bienne, il Cantone di Berna e HSK, e ha quale obiettivo principale il promovimento del trasferimento delle cure dall’ambito stazionario a quello ambulatoriale, garantendo al contempo elevati standard di qualità. Ma anche, è evidente, una riduzione dei costi della salute. E questo è il nodo della questione. Come ci ricorda il comunicato, «i trattamenti in regime ambulatoriale, benché generalmente meno costosi di quelli in regime stazionario, gravano di regola maggiormente sui costi a carico dell’assicurazione obbligatoria, in quanto i loro costi sono integralmente a carico degli assicuratori mentre per quelli stazionari, i costi sono presi a carico dai Cantoni per almeno il 55%». Il sostegno finanziario del Cantone - che risparmierà comunque rispetto ai contributi sugli interventi in stazionario - andrà a compensare la perdita di ricavi dell’EOC legata al passaggio dal regime stazionario a quello ambulatoriale e fungerà da incentivo.

I vantaggi per il paziente

Paolo Bianchi, direttore della Divisione della salute pubblica, ci aiuta a capire il senso del progetto, ricordando che «le prestazioni nel settore stazionario ospedaliero rappresentano in Ticino il 17% dei costi a carico dell’assicurazione malattia, quindi dei premi pagati dai cittadini». Quindi riflette: «Se EFAS fosse già oggi in vigore, questa proporzione salirebbe al 30% circa. Le prestazioni erogate a pazienti degenti sono più care rispetto all’esecuzione delle medesime prestazioni in regime ambulatoriale. L’obiettivo è quindi di contribuire attivamente alla creazione di un circolo virtuoso volto a incentivare l’effettivo trasferimento delle prestazioni ospedaliere, laddove medicalmente indicato, dalla degenza al settore ambulatoriale. I vantaggi per il paziente, a breve termine, sono principalmente legati a un ritorno a casa più veloce, con un seguito e un supporto sanitario garantito. A medio e lungo termine, si auspica un effetto positivo sui costi della sanità, proprio per via del costo minore delle prestazioni ambulatoriali in confronto a quelle stazionarie». Insomma, la Svizzera vuole recuperare un po’ di terreno rispetto ad altri Paesi europei, vuole cancellare quel ritardo accumulato, un ritardo che, secondo Bianchi, non è peculiare al nostro cantone. «La propensione del paziente a richiedere la cura in degenza è certamente un elemento spesso evocato anche dagli operatori; probabilmente il recupero post-operatorio in un ambito clinico piuttosto che a domicilio è percepito come più sicuro. I professionisti sono invece sempre più disponibili a operare in regime ambulatoriale, anche grazie alle nuove tecniche sanitarie, che consentono già oggi una degenza molto più corta rispetto a qualche anno fa. Inoltre, vi è certamente una questione finanziaria: ad oggi, gli ospedali rilevano che le tariffe ambulatoriali - che dal 2026 si baseranno sul nuovo sistema TARDOC/forfait - non coprono i costi delle prestazioni, contrariamente alle tariffe nel settore stazionario».

L’investimento del Cantone

Come si diceva, il Cantone sostiene il progetto pilota. Fornirà un sostegno anche economico e fungerà, in qualche modo, da garante. Paolo Bianchi ricorda che il Cantone pagherà, per caso, un importo inferiore a quanto avrebbe dovuto erogare se le prestazioni in questione continuassero a essere fornite in regime stazionario. E aggiunge, guardando più avanti: «Al momento dell’entrata in vigore di EFAS, la partecipazione finanziaria di Cantoni e assicuratori malattia non cambierà più in funzione del trattamento in regime stazionario piuttosto che ambulatoriale. È quindi nell’interesse di tutti precorrere i tempi e favorire il passaggio a modalità che hanno un costo inferiore per il sistema, continuando a garantire la qualità delle cure». Un sistema di monitoraggio dell’effettivo trasferimento delle prestazioni sarà implementato con i partner assicurativi e l’EOC, dice il direttore della Divisione della salute pubblica. «Il monitoraggio è principalmente di competenza dell’assicuratore malattie, ma il Cantone avrà accesso ai dati statistici e potrà richiedere informazioni. Il risultato del progetto verrà valutato in funzione dell’aumento delle prestazioni ambulatoriali - e una diminuzione per lo stesso volume di casi nel settore stazionario - in confronto allo stato attuale. In questo modo, mantenendo tuttavia un sistema di monitoraggio il più snello possibile, sarà possibile misurare gli effetti del progetto in maniera effettiva ed efficiente».

La sfida organizzativa

L’EOC, dal canto suo, sarà chiamato ad affrontare una nuova sfida logistica e organizzativa. In tutte le sue sedi è d’altronde già possibile eseguire interventi ambulatoriali attraverso flussi dedicati. Nell’ambito del progetto pilota, l’Ente prevede di trasferire annualmente da 900 a 1.300 casi da trattamenti stazionari ad ambulatoriali, includendo interventi selezionati nei reparti di neurochirurgia, ginecologia, ortopedia, oftalmologia, urologia, chirurgia viscerale, cardiologia e otorinolaringoiatria. Quanto proposto verrà applicato «a persone in buona salute, senza altre malattie importanti, adulti e ragazzi di età superiore ai 12 anni per interventi che già oggi richiedono al massimo 2-3 giorni di ricovero». Così recita la nota. Pierluigi Lurà, direttore dell’OBV ma anche responsabile del progetto in questione, va oltre: «La sfida principale è proprio logistica, ma anche di risorse. Senza dimenticare l’elemento culturale. Perché la nostra cultura identifica l’ospedale con il posto letto, meno - invece - con il trattamento ambulatoriale. La sfida, quindi, è quella di convertire parte delle strutture di degenza in strutture per la presa in carico di pazienti ambulatoriali. Il che coinvolge anche figure differenti a livello di personale sanitario, specificatamente formate. Un intervento ambulatoriale va preparato bene e va comunicato bene al paziente, in particolare per quello che è il “post-operazione”». Insomma, il paziente va istruito al meglio in caso di dolori o disagi una volta rientrato a casa, magari con il coinvolgimento del medico di famiglia. «A livello organizzativo, per noi, tutto si gioca nell’organizzazione dei flussi. Sempre più si andrà verso flussi dedicati anche in sala operatoria, magari con sale ad hoc, dedicate esclusivamente all’ambulatoriale, oppure dividendo le giornate». Sì, mattino per l’ambulatoriale, e pomeriggio per lo stazionario. L’EOC è chiamato a ripensare all’uso del tempo, delle risorse umane e delle sale. Già a partire dal 1. gennaio. E sarà un’operazione che coinvolgerà (e ha già coinvolto) tutte le specializzazioni. «Per ora abbiamo considerato solo gli interventi elettivi e non urgenti. Ma l’intenzione è che quel numero (900-1.300, ndr) possa crescere ulteriormente». La tendenza è segnata. E, come osserva lo stesso Lurà, «potrebbe consentire di alleggerire la pressione sul sistema», garantendo «una maggiore appropriatezza clinica».

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