«Era l'unica scelta per dare una chance al partito democratico»

Se si
considerano i sondaggi che davano il presidente USA sempre più lontano da
Trump, la notizia del ritiro di Biden era quasi scontata. Per i democratici era
l’unica scelta?
«Credo di sì e i
sondaggi in questa scelta sono stati decisivi. La strada per un secondo mandato
era sempre più impervia se non impossibile. Una larga maggioranza di elettori
chiedeva che si facesse da parte. Si sono mobilitati anche gli apparati del
partito, i leader di Camera e Senato, oltre a Nancy Pelosi, che rimane una
figura influente, e Barack Obama», spiega Mario Del Pero, ordinario di Storia
internazionale a SciencesPo a Parigi. Sulla falsariga Raffaella Baritono,
storica degli Stati Uniti all’Università di Bologna: «Oltre ai sondaggi, le
fragilità evidenti di Biden lo hanno costretto alla scelta. Il fatto che Biden
abbia deciso di accogliere le pressioni dei vertici, significa che è arrivato
anche lui alla medesima conclusione: per dare una chance al partito
democratico, doveva farsi da parte».
Sarà Kamala Harris
la candidata democratica, oppure, come vorrebbero molti leader del partito, ci
sarà una convention aperta che potrebbe portare un volto nuovo?
«L’endorsement
esplicito di Biden per Kamala Harris rafforza la sua candidatura», spiega
Baritono. «Questo è un elemento molto importante e il partito difficilmente
potrà sconfessare il presidente che ha fatto un passo indietro. Detto questo,
si dovrà vedere come verrà formalizzata la candidatura di Harris. Con un invito
ai delegati (che erano stati scelti sulla base delle primarie vinte da Biden)
di spostare il voto su Harris; oppure, come auspicato da Nancy Pelosi, si andrà
verso delle primarie sui generis, con lo scopo di rafforzare la figura
della vicepresidente? Secondo Pelosi, così facendo, la sua investitura sarebbe
più grande». Anche secondo Del Pero, l’endorsement
di Biden mette una piccola ipoteca sul nome di Harris: «Per quanto i delegati
di Biden alla convention siano ora liberati dal vincolo di voto, il suo endorsement
peserà. Attualmente, l’ipotesi più plausibile è che Harris sia la candidata
dem, ma non è sicuro. I democratici potrebbero anche organizzare delle
miniprimarie, con il rischio però di mettere in evidenza figure più preparate e
quindi lacerare il partito. Una
soluzione ideale non c’è, ma è responsabilità dei democratici essere arrivati a
questo punto».
Oggi Trump può
ancora essere battuto? Oppure, viste le circostanze del cambiamento in corsa,
l’esito della contesa è chiuso?
«Trump oggi è
favorito. Questo mese ha rimescolato le carte. Rimane tuttavia un uomo molto
impopolare, una figura che preoccupa e spaventa un pezzo di America che
potrebbe essere chiamata a fare la differenza. Tutto, poi, si gioca in un
numero limitato di Stati. Sembra che il sud e il sud-ovest, dove Biden s’impose
nel 2020, sarà difficilmente contendibile per i democratici. Rimane il
Midwest», osserva Del Pero per il quale la partita è ancora aperta. «Trump è un
candidato battibile», conferma Baritono. «I sondaggi negli Stati in bilico, che
devono essere mantenuti dal partito democratico, indicano che lo scarto è
contenuto. Quattro mesi di campagna sono lunghi e possono fare la differenza».
Quali sono gli
elementi a favore di Kamala Harris e quali, invece, le criticità?
«È certamente una figura riconosciuta a livello
internazionale, cosa che non si può dire per gli altri candidati dem, per
quanto più forti e solidi. Harris, inoltre, si è spesa a favore di temi cari al
partito, come i diritti delle donne e le minoranze. Sono elementi che
potrebbero mobilitare componenti significative dell’elettorato. D’altro canto -
spiega Baritono - nella prima fase della vicepresidenza, Harris non ha
brillato. Ha fatto molti errori di comunicazione e le è stata rinfacciata anche
una gestione piuttosto disordinata. Certo che il suo ruolo attuale la rende una
candidata spendibile. Non direi però la migliore scelta che il partito possa
offrire in questo momento».