Turchia

Erdogan ora vuole stravincere

Tutto pronto per il secondo turno delle presidenziali — Il favorito domani sarà l'attuale capo di Stato — Il rivale Kilicdaroglu sembra lontano — Il «Reis» cerca una rivincita rispetto a chi già lo dava per finito o in crisi
©ERDEM SAHIN
Marta Ottaviani
27.05.2023 06:00

La Turchia domani torna al voto per eleggere al secondo turno il presidente della Repubblica, ma per molti è la cronaca di una vittoria annunciata. Lo stesso diretto interessato, l’attuale capo di Stato Recep Tayyip Erdogan, ha detto ai suoi sostenitori di prepararsi a festeggiare domani sera. Il punto, ora, è vedere con quale scarto vincerà e quanti si recheranno alle urne dopo l’85% del primo turno, lo scorso 14 maggio. Il voto all’estero ha registrato un incremento di partecipanti, ma questo, più che una buona notizia per il candidato dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, potrebbe rivelarsi un regalo proprio per Erdogan. Il presidente, questa volta, vuole stravincere, umiliare l’avversario e tutti quelli che lo davano per finito o leader in crisi dopo oltre 20 anni di potere da padrone sostanzialmente assoluto nel Paese.

«In qualsiasi elezione – spiega al Corriere del Ticino il politologo Cengiz Aktar – non ci sono mai certezze. Però possiamo dire che la rielezione di Erdogan è ampiamente probabile. E per lui necessaria. Non è più un leader politico da molto tempo, ma un tiranno che ha preso molte decisioni contrarie alla nozione di Stato di diritto e che, se avesse perso, probabilmente avrebbe pagato il prezzo delle sue scelte in tribunale».

L’elettorato è cambiato

Pericolo scampato, dunque, in una Turchia che sembra sempre più lontana dalla strada della democrazia, ma dove questo aspetto non interessa certo chi ha votato per Erdogan due settimane fa ed è pronto a farlo anche domani. Dopo qualche giorno in cui sembrava essersi concesso una tregua dalla campagna elettorale, il Capo di Stato nell’ultima settimana è tornato a calcare le scene con decisione. I comizi finali li ha tenuti nelle principali città del Paese. Fra queste c’è anche Smirne, terza località della Turchia con i suoi oltre tre milioni di abitanti e roccaforte per eccellenza dell’elettorato laico. Anche qui, ad accogliere il capo di Stato, c’è stata una folla oceanica, probabilmente fatta arrivare dalla potente macchina della propaganda dalle province vicine, soprattutto Manisa, con un intento molto chiaro: trasmettere, simbolicamente, il messaggio che Erdogan è pronto a mettere le mani su tutto quello che resta della Turchia fondata da Mustafa Kemal Atatürk e che proprio il prossimo 29 ottobre si appresta a festeggiare il primo secolo di vita.

«Questa Turchia di Erdogan – spiega ancora il Professor Aktar – non si può più definire islamo-nazionalista. Sono due componenti ideologiche importanti che vanno a caratterizzare il Paese nella sua identità, ma il modo di gestire il potere e anche quello con cui si comporta una parte dell’elettorato è quello di una nazione che sembra assumere sempre più i connotati di un regime di tipo fascista». Non è solo una questione di come si comanda, insomma, ma anche di chi è comandato. E, nel corso degli anni, l’elettorato di Erdogan è cambiato progressivamente, diventando sempre meno eterogeneo e sempre più radicalizzato. Per loro, il presidente non è una figura istituzionale, ma una vera e propria guida spirituale, un Padre della Patria che ha dato vita a una Turchia in grado di contrapporsi all’Occidente e di camminare con le sue gambe dal punto di vista economico e della politica estera. È importante considerare come l’aspetto della contrapposizione sia stato fondamentale nell’ascesa e nel consolidamento del potere di Recep Tayyip Erdogan. Il leader all’inizio era considerato islamico-moderato, con un programma economico liberista e di apertura ai mercati stranieri e liberale nei costumi, dove sarebbero state garantite le libertà di tutti. Ma l’apertura ai mercati stranieri era condizionata dal poter assorbire parte del know-how di determinati Paesi, in settori che l’allora primo ministro considerava prioritari, in primis l’industria di difesa. La cosiddetta liberalità nei costumi, invece, è servita a fare entrare sempre più figure appartenenti agli ambienti religiosi ai posti di comando della burocrazia statale, in precedenza sotto lo stretto controllo dell’élite laica dello Stato. Erdogan, in breve, è stato in grado di portare al centro della scena politica milioni di persone e interi strati della società i cui bisogni erano stati ignorarti per decenni. Il Reis, come lo chiamano nel suo partito, ha ricostruito interamente molte città dell’Anatolia, donando alla popolazione che vi abitava gli stessi agi e possibilità prima riservati solo a chi abitava nella burocratica Ankara, l’ultralaica Smirne o l’irraggiungibile Istanbul, da sempre, nonostante tutte le sue contraddizioni considerata più Occidente che Anatolia. In cambio, ne ha ricavato una gratitudine pressoché illimitata e imperitura.

L’incapacità dell’opposizione

Dall’altra parte, l’opposizione, dopo oltre 20 anni, non ha ancora saputo trovare un modo efficace per contrapporsi a questo leader che sembra diventare sempre più invincibile, ma che è anche accusato di aver giocato molto sporco. La campagna elettorale, infatti, si chiude con accuse pesanti e la minaccia di fare intervenire la magistratura. Kilicdaroglu e il Chp, il Partito repubblicano del Popolo, maggiore formazione politica dell’opposizione, hanno accusato il presidente di aver fatto diffondere, sui social, video falsi in cui il candidato alla presidenza della Repubblica della minoranza parlava con esponenti del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. Parole pesanti, che però sono giunte solo a una minima parte della popolazione, un po’ perché tutti i grandi network nazionali e i giornali sono a servizio del presidente e un po’ perché l’elettorato di Erdogan crede solo alla sua guida suprema, che però ha un grosso problema da risolvere: l’economia.

«Erdogan – conclude Cengiz Aktar – deve trovare il modo di riempire le casse dello Stato per mantenere tutte le promesse che ha fatto in campagna elettorale. La Turchia rischia il collasso economico e la valuta nazionale è fuori controllo. Ma abbiamo già visto come questo motivo di preoccupazione per la popolazione non sia sufficiente per mettere in discussione la leadership del presidente».