Fabregas ci ricorda che sì, il calcio è vita

Premessa: non posso dirvi dove sono stato. È vero, non scrivo da parecchio. Ma come diceva sempre mia mamma (anche a mo' di rimprovero) quando non mi facevo sentire da un po': nessuna notizia, buona notizia. Vale anche nel mio caso. E nel caso del Como. Da qualche settimana c'è poco da dire, perché tutto si è allineato.
Ma funziona sempre così, quando a monte di una squadra c'è un progetto. In questo caso anche una visione.
Quella della società, condivisa da Cesc Fabregas. Lo so per certo, il mister potrebbe presto partire, direzione Leverkusen. Non è soltanto una voce di passaggio. E dalle sue parole emerge una malinconia rara, una sorta di "L'estate sta finendo" espressa a suon di dichiarazioni da dopo-partita. Parole, solo parole. Ma l'impressione è quella di essere alla fine di qualcosa. Un vero peccato, considerando che non eravamo che all'inizio.
Oggi sono tornato in Svizzera, qui a cavallo del confine, con vista sul Sinigaglia, prima di ripartire - per il calcio, perché il calcio è vita, sì, caro il mio Dani Rojas -, proprio per scrivere di lui, di Cesc, del suo impatto, dell'importanza che ha avuto nel corso di questa stagione lariana.
Poi potrà partire, e al suo posto arrivare un altro tecnico giovane - ché la filosofia non cambierà - ma la sua impronta sul Como e su Como è destinata comunque a restare.
Cesc ha portato qualcosa di magico, qualcosa che molto ha a che vedere con il mito del calcio, del calcio come gioco. Ha liberato i propri giocatori nel modo migliore affinché si esprimessero oltre le rispettive possibilità. Ognuno ha dato il massimo per la causa comune, ci ha creduto, ha partecipato a un progetto per nulla estemporaneo. Al punto che questo Como, con Fabregas in panchina, ci era sembrato eterno. Non facevamo i conti con le dinamiche del mercato. Ma ci sta, ci sta la partenza prematura dello spagnolo. È che, molto semplicemente, non siamo pronti ad affrontarla.
Sin dalle prime giornate, sin dalla sconfitta con la Juventus - una doccia gelata -, avevamo potuto leggere altro, qualcosa di speciale, di unico, in questo Como. Ci ho fatto caso, anche quando le cose andavano male, ma mi è bastato seguire le telecronache in tv: quando c'era il Como di mezzo, anche i telecronisti sembravano stare dalla parte di Fabregas e dei suoi. Perché? Proprio perché traspiravano calcio. Lo ripeto: sin da subito.
Facile, da un certo punto di vista, quando dalla tua parte hai Nico Paz. E ci arriverò. Ma il tocco di Fabregas lo si è visto anche sugli altri giocatori, quelli che si potevano considerare più "normali". Uno su tutti: Da Cunha. Partito come esterno d'attacco, il francese è stato portato a metà per necessità. Ma lì è rimasto, diventando un giocatore da nazionale (Deschamps si guardi dall'insidia del Portogallo), da grande squadra. Centrocampista a tutto campo, efficace nei contrasti come negli inserimenti. Per me l'MVP della stagione del Como. Lo ripeto: era un giocatore normale. Oggi è qualcosa di più.
Al di là dei singoli, la mano di Fabregas ha saputo plasmare il collettivo, al punto che tutti oggi sanno che il Como gioca in quel modo lì. Tutti sanno che il Como gioca a calcio. E lo ha fatto anche quando aveva il fiato sul collo delle ultime della classe, quando non si vedeva traccia di continuità, men che meno di maturità, anche quando mancava mezza squadra e l'altra mezza non sembrava degna di sostituirla. Lui è andato avanti per la sua strada, con una coerenza che qualcuno ha scambiato per incoscienza. Non si è mai lasciato corrompere dalla paura. E qui torniamo alla società: nessuno, all'interno del Como, ha mai dubitato. Nessuno ha mai messo in discussione Fabregas. Nessuno gli ha mai chiesto di rendere conto della sua coerenza.
Non so se altrove troverà questa fiducia cieca nei suoi confronti, nelle sue capacità ancora acerbe, eppure così illuminanti. Non la troverebbe in una big italiana. Forse a Leverkusen sì. Ma lo stesso Bayer esce da un ciclo ricco di soddisfazioni ed è chiamato a ripartire, con gli occhi ancora gonfi di lacrime per l'addio di Xabi Alonso (che andrà al Real, come ormai noto), e a farlo con risultati immediati. Già abbiamo l'acquolina alla bocca, immaginando quale sarà l'impatto su Xhaka. Per Fabregas sarà, o sarebbe vah, una nuova ripartenza. Le ambizioni non gli mancano, le idee neppure.
Non mancano neppure al Como, e non mancheranno neppure quando Fabregas se ne andrà, che sia la prossima estate o più in là.
Speriamo solo che Nico Paz possa rimanere un anno ancora. E che possa trovare sulla sua strada un altro allenatore capace, così come lo è stato Fabregas, di assecondarlo, di dargli libertà e fiducia, senza farlo sentire giovane eppure sulla graticola, consentendogli di sbagliare, di crescere. Nico Paz può diventare ancora più grande. È un talento senza limiti.
Ciò può valere anche per Fabregas. Lo abbiamo visto. Siamo fortunati ad averlo visto così da vicino.