L'incontro

Finalmente il vertice tra Biden e Xi «per porre limiti alla competizione»

I presidenti di Stati Uniti e Cina si sono dati appuntamento per oggi a San Francisco nel quadro del summit dell’Apec - La stretta di mano tra i due potrebbe abbassare la tensione globale - Ne parliamo con il professore Matteo Dian, dell’Università di Bologna
© AP/Alex Brandon
Paolo Galli
15.11.2023 06:00

Ormai, ogni volta che il presidente statunitense incontra il suo omologo cinese, ci aspettiamo che il mondo possa cambiare direzione. Non è così, evidentemente. Non sarà così neppure in questo caso, oggi, quando Xi Jinping tornerà a stringere la mano di Joe Biden. Lo farà a San Francisco, nel quadro non di una visita di Stato, bensì del vertice Apec (Cooperazione economica Asia-Pacifico). Un appuntamento, comunque, a cui è logico guardare con interesse, e una certa apprensione. Negli ultimi mesi - da quando è scoppiata la guerra in Ucraina -, la tensione è stata descritta in continua crescita, con Taiwan al centro delle correnti. Con troppe incomprensioni, alcune delle quali al limite del grottesco.

Riassestare le relazioni

In vista di questo vertice, gran parte degli analisti parla di «politica dei piccoli passi». Insomma, bene che ci si parli faccia a faccia, ma senza aspettarsi la luna. È così, Matteo Dian? «Sì, va davvero sottolineato che non si tratta di una visita di Stato, ma di un incontro bilaterale a latere dell’Apec, un forum multilaterale nel quale l’enfasi viene posta in particolare sull’economia. Biden e Xi si erano incontrati, l’ultima volta a tu per tu, al G20 di Bali, un altro appuntamento multilaterale. In queste situazioni, è chiaro che i toni sono più bassi, e quindi anche le aspettative». Dian è professore associato di Relazioni internazionali dell’Asia Orientale all’Università di Bologna. «È già un risultato il fatto che entrambi ci siano e che si incontrino, che ci sia un bilaterale. Perché è importante cercare di riassestare le relazioni bilaterali dopo un anno piuttosto complicato». Dian ricorda la crisi legata al pallone aerostatico, ma anche una serie di momenti di tensione nel Mar Cinese Meridionale. «E inoltre si avvicinano le elezioni di Taiwan. Si cercherà, in questo senso, di mettere le mani avanti, cercando di ribadire - entrambi - la propria posizione. Una situazione molto complessa, perché la Cina considera Taiwan come una provincia, mentre gli Stati Uniti hanno la visione della One-China Policy. Gli Stati Uniti non appoggiano l’autonomia di Taiwan, ma si impegnano, comunque, a mantenere la pace tra i due lati dello Stretto. E l’incontro può allora prevenire una crisi legata anche all’esito delle elezioni, che si terranno il prossimo mese di gennaio».

Simili appuntamenti permettono alla Cina di sentirsi riconosciuta tra le altre potenze e di potersi esprimere su questioni globali

Quei due momenti decisivi

Elezioni in agenda a Taiwan. Elezioni in agenda anche negli Stati Uniti. Il tutto nel 2024, mentre la Cina vive un’economia interna sofferente. Biden e Xi sono quindi chiamati a mostrare, a Stati Uniti e Cina, a livello di politica interna, anche qualche risultato concreto. Una questione, allora, di equilibrio. Un equilibrismo diplomatico. «Entrambe le parti cercano una stabilizzazione della relazione. Entrambe cioè sono consapevoli della tendenza in corso verso la competizione, ma anche della necessità di gestire questa competizione. Citando una metafora più volte utilizzata dallo stesso Joe Biden, occorre un guardrail, ossia mettere limiti in modo che la competizione non sbandi, che non finisca in conflitto aperto. Sono relazioni da mettere in sicurezza, soprattutto dopo questa fase di crisi». Una crisi della quale si possono riconoscere due momenti decisivi, quello appunto legato al pallone aerostatico, forse esagerato ma sintomatico della tensione in essere, e soprattutto quello legato alla visita di Nancy Pelosi a Taiwan». All’epoca l’Occidente sembrava quasi sostenere l’ideale dietro quella visita. Oggi, con il senno del poi, che cosa ha significato? Per il professor Dian, quella visita non ha cambiato, di fatto, le coordinate della situazione. Era stato, più che altro, «un segnale». «La posizione degli Stati Uniti su Taiwan, come detto, è particolarmente complessa. Formalmente, Taiwan non è un alleato degli Stati Uniti, non viene neppure riconosciuto come Stato, ma Biden si oppone all’uso della forza da parte di Pechino». Gli Stati Uniti considerano un attacco a Taiwan una minaccia alla stabilità regionale, «e quindi agli interessi americani». In più, Taiwan è ormai una democrazia consolidata. «E gli Stati Uniti non possono ignorare questo fatto: c’è un rapporto di solidarietà tra le democrazie a livello globale».

Le altre partite aperte

Ci sono anche altre partite aperte, c’è la questione ucraina e c’è pure quella mediorientale. «Rispetto alla guerra in Ucraina, la Cina sostiene la Russia. Certo, non invia aiuti militari, ma dal profilo commerciale la relazione è intensa. La Cina è oggi un partner più importante, per Putin, di quanto non lo fosse prima della guerra. Gli Stati Uniti, anche qui, cercando di mettere delle linee rosse, delimitando il campo. Della serie: oltre queste linee, si scatenerebbe una serie di reazioni». Sulla questione israelo-palestinese, in cui gli Stati Uniti hanno un ruolo maggiore, la Cina non vanta un’influenza particolarmente forte, «ma cerca comunque una legittimità tra gli Stati dell’area. E quindi, in modo un po’ strumentale, cavalca la posizione filo-palestinese».

Riconoscere Pechino

Siamo abituati a osservare questi vertici da un punto di vista occidentale, ma come vengono vissuti in Oriente? Matteo Dian osserva: «Questi vertici riconoscono due cose. La prima è lo status della Cina, che ora si può presentare a simili appuntamenti alla pari degli Stati Uniti e può esprimersi su questioni globali di primissima importanza. La seconda, parlando di un forum economico, è essere parte del tavolo principale di discussione: un punto d’arrivo. Non era così dieci o quindici anni fa. La cosa importante, per molti dei partecipanti all’Apec, è che la rivalità tra le grandi potenze non disturbi il loro percorso di sviluppo. Qualsiasi conflitto, qualsiasi interruzione dei commerci e delle esportazioni, porterebbe a deviare quel percorso e quella crescita, e sarebbe un enorme problema. Questi incontri, anche in questo senso, possono portare a diminuire la tensione e i rischi».

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