Flavio Cotti è stato prezioso per la Svizzera e per il Ticino

Lo spessore di un uomo di Stato va misurato con il distacco che solo il tempo permette di avere. E guardato con questo distacco, direi che la statura di Flavio Cotti esce rafforzata rispetto a quella che negli anni successivi al suo ritiro dal Consiglio federale gli venne riconosciuta. Trent’anni fa, a Baden, davanti ai delegati del PDC svizzero il consigliere federale Cotti contestato anche nel suo partito per il ruolo determinante della politica ambientale nel suo dipartimento, tenne un discorso forte: «Il rapporto dell’uomo moderno con la natura è degenerato in disordine permanente. L’uomo fa un uso smodato, spesso abusivo della natura che intralcia e riduce lo sviluppo... I problemi ambientali, di capitale importanza per il destino della nostra specie, implicano ormai una collaborazione globale fra tutti i popoli e tutti gli Stati. E il fatto di essere un piccolo Paese non riduce la nostra responsabilità».
La linea che egli perseguì in seno al suo dipartimento doveva tener conto di forti opposizioni, cionondimeno, con il pragmatismo che gli era diventato congeniale con l’accesso alle cariche esecutive cantonali e federali, era chiaramente quella di riconciliare economia ed ecologia. Oggi quasi un’ovvietà, ma che a quei tempi occorreva coraggio per propugnare e attuare nel concreto della politica energetica o della protezione delle acque. Ma Cotti aveva avuto una formazione al rispetto del creato che gli veniva dalla sua sensibilità all’insegnamento sociale cristiano.
Insegnamento sociale cristiano che oggi abbraccia pienamente - con le recenti encicliche di Papa Francesco – umanesimo e salvaguardia del creato. Ad indicare quanto le posizioni di Cotti fossero per molti versi anticipatrici, basterebbe accennare anche alla questione femminile. A costo di inimicarsi le frange più conservatrici del suo stesso partito e di essere sconfessato dal verdetto popolare, Flavio Cotti fu infatti fin da giovanissimo un ardente difensore del suffragio femminile.
Ci voleva coraggio e in diverse battaglie che gli stavano a cuore, Cotti fu coraggioso. Prendiamo le celebrazioni per il Settimo centenario della Confederazione oppure la questione spinosissima dei Fondi ebraici. Festeggiare il Settecentesimo in piena crisi per la Svizzera – dopo gli scandali delle cosiddette schedature di innocui cittadini svizzeri e con buona parte dell’intellighentsia svizzera contraria – non fu facile. Ma Cotti sapeva che il momento richiedeva un momento di unità per il Paese, un momento che permettesse di rimettersi in questione aprendosi al mondo, ma nel contempo di riaffermare l’identità del Paese. A Bellinzona, sotto la tenda di Botta, il 10 dicembre 1990 Flavio Cotti lanciò un monito agli Svizzeri: «Dobbiamo svestirci delle antiche presunzioni. Se qualcuno di noi oggi si sentisse più democratico, pacifico o più laborioso o addirittura più solidale degli altri ebbene costui scenda dalle nuvole. Molto diverrebbe più sopportabile se l’amor di patria non fosse confuso con l’autocompiacemento».
Un monito che tuttavia invitava il Paese a non cedere al disfattismo: « Nel momento in cui le antiche presunzioni saranno scomparse dovremo evitare di abbandonarci ad ingiustificati complessi di inferiorità o autocensure masochiste o tentazioni addirittura suicide». L’europeista profondo che era esortava gli Svizzeri a non guardare dall’alto in basso l’Europa che aveva decretato la fine delle guerre e il dialogo e l’unione del continente nella pace.
Della Svizzera lo svizzero italiano Flavio Cotti amava profondamente le sue diversità (e questo malgrado la sua ammirazione per la Francia di Mitterrand e la Germania di Helmut Kohl). A Poschiavo, in un discorso memorabile, aveva spezzato una lancia a favore del plurilinguismo, che durante il suo mandato in Consiglio federale promosse ardentemente. Dopo aver indicato i principali pericoli per il plurilinguismo elvetico nelle sue diverse regioni, osò porre con bella determinazione una questione essenziale per il futuro dell’italofonia e la Svizzera italiana: «Taluno afferma che l’assenza di un centro universitario si rivela in un certo senso benefica poiché obbliga i giovani svizzero italiani ad un utile contatto con le altre regioni del Paese. Ciò è vero ma d’altra parte l’assenza di un tele centro priva la Svizzera italiana di una irradiazione culturale e prima ancora di una sorgente di cultura che sono necessarie». Fu un fondamentale incoraggiamento per la futura nascita dell’Università della Svizzera italiana. Come fu importante la sua chiara volontà di cercare la verità sulle ombre del comportamento elvetico durante la seconda guerra mondiale e sui cosiddetti fondi ebraici. Ci voleva coraggio per guardare in faccia le ombre del nostro passato. Flavio Cotti ebbe anche le sue incertezze in tempi sempre più incerti, ma fu prezioso per il nostro Paese.