Il caso

Foto e commenti sessisti online, in Ticino ancora nessuna denuncia

Alla Polizia cantonale e al Ministero pubblico finora non sono giunte querele da parte di donne finite sul sito Phica.net e «non è prevista l’apertura di un’inchiesta d’ufficio» - L’avvocata Michela Ferrati: «Viene punito anche chi ha condiviso il materiale, non solo chi lo ha pubblicato»
© CdT/Gabriele Putzu
Martina Salvini
01.09.2025 19:00

Aveva anche una sezione interamente dedicata al Ticino, il forum Phica.net, portale sul quale migliaia di utenti pubblicavano immagini di donne con commenti sessisti e degradanti. Il caso, che potrebbe coinvolgere moltissime donne e ragazze del nostro cantone, ha allarmato anche la politica cantonale, che ha chiesto di fare piena luce sulla vicenda. Ad ora, però, non risultano ancora denunce o querele. Stando infatti a quanto ci ha fatto sapere la Polizia cantonale, «allo stato delle attuali verifiche effettuate non ci risultano querele o denunce, sia a livello di Polizia cantonale sia a livello di Ministero pubblico». In Svizzera, precisa comunque la Polizia, «l’utilizzo di foto trovate sui social media senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore (ossia l’autore della foto) e delle persone ritratte è una violazione del diritto svizzero, sia civile che penale. Questo include il diritto d’autore, il diritto alla personalità (diritto all’immagine e alla privacy) nonché, se del caso, la condivisione indebita di contenuti sessuali non pubblici».

Chi utilizza una foto senza permesso rischia quindi azioni legali, come richieste di risarcimento danni, e possibili sanzioni a livello penale. Ma corrono grossi guai anche coloro che commentano le immagini: «I commenti denigratori e offensivi sulle foto pubblicate in rete possono costituire il reato di diffamazione, che è punibile penalmente in base alla legislazione del Paese in cui si trova la vittima», chiarisce la Polizia.

Per difendersi, viene spiegato che «è consigliabile innanzitutto essere particolarmente prudenti nel divulgare le proprie immagini. Ricordiamo infatti che una volta che le immagini sono pubblicate, ne viene perso il controllo». Nel caso in cui, malgrado tutti gli accorgimenti, si verificasse una simile situazione, il consiglio delle autorità è di «raccogliere prove, richiedere la rimozione dei contenuti denigratori, e in caso la situazione non si risolva, rivolgersi alla Polizia cantonale o al Ministero pubblico per inoltrare una querela». Per contro, viene precisato che «non si tratta di reati per cui è prevista l’apertura di un’inchiesta d’ufficio ma serve una querela di parte». Insomma, se la vittima non si fa avanti, la Polizia e il Ministero pubblico hanno le mani legate.

Da giovedì, dopo le denunce pubbliche da parte di molte donne italiane, il sito è stato bloccato. A chi prova ad accedervi compaiono una scritta con cui viene comunicato che il forum è stato chiuso e un messaggio nel quale si invitano le persone coinvolte a contattare gli amministratori, in modo che possano provvedere a rimuovere il link che le riguarda. Di conseguenza, chi teme di essere finito sul sito, non può averne conferma, come rileva la Polizia: «Al momento, non vi è possibilità di accertamento poiché l’amministratore ha chiuso il forum».

Quali reati si profilano?

In questo caso, i reati ipotizzabili sono diversi, spiega l’avvocata Michela Ferrati, vicepresidente dell’associazione Ti Rispetto. «Il primo paradigma è la foto condivisa senza consenso, reato punito dall’articolo 179 quater del Codice penale (CP) che recita «Chiunque, con un apparecchio da presa, osserva o fissa su un supporto d’immagini un fatto rientrante nella sfera segreta oppure un fatto, non osservabile senz’altro da ognuno, rientrante nella sfera privata d’una persona, senza l’assenso di quest’ultima (…) è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria». Viceversa, se il consenso alla registrazione esiste ma la diffusione avviene all’insaputa il responsabile è chiamato a rispondere del reato previsto e punito dall’art. 179 novies del Codice penale che recita: ‘‘Chi sottrae dati personali degni di particolare protezione che non sono accessibili a chiunque è punito, a querela di parte, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria’’. Si tratta di reati collocati sistematicamente nel titolo quarto del nostro codice, che tutelano la sfera segreta e privata delle persone».

Nel caso in cui poi queste immagini abbiano un contenuto pornografico, «l’articolo di riferimento è il 197 del Codice penale, che disciplina la condivisione indebita di contenuti sessuali non pubblici». Ma sul sito comparivano anche scatti trovati sui social o in rete che venivano poi modificati con l’Intelligenza artificiale per denudare le vittime. «Qui siamo di fronte - spiega l’avvocata - a una modalità moderna e più subdola, perché viene addirittura distorta un’immagine. A mio avviso, questa casistica rientra comunque nella sfera dell’articolo 179, novies del Codice penale, ma ad oggi non c’è giurisprudenza sul tema. È una materia talmente nuova che non abbiamo ancora avuto modo di vedere sentenze in merito».

Come un ago in un pagliaio

Come sottolineato anche dalla Polizia, le potenziali vittime potrebbero non scoprire mai di essere state immortalate a loro insaputa e di essere finite sul forum. «Se non vengono informate da qualcuno - un utente o un’altra vittima - è come cercare un ago in un pagliaio». Oltretutto, non esiste alcun obbligo giuridico, dice l’avvocata, di intervenire, avvisando un’altra potenziale vittima poiché «il Codice di procedura penale svizzero non impone un generale obbligo in capo ai cittadini di denunciare reati, salvo specifiche ipotesi in cui per esempio l’immagine pubblicata abbia ad oggetto pornografia infantile». Per chiunque si fosse riconosciuto in uno scatto rubato, il consiglio è di sporgere denuncia. «Solo così, infatti, la Polizia potrà rintracciare il colpevole. Nel caso in cui la persona che ha condiviso la foto fosse il marito e il compagno - qualcuno con cui viviamo o dormiamo - la questione diventa poi particolarmente delicata, con un risvolto psicologico importante». Per sostenere le vittime, la Confederazione ha messo a punto alcuni strumenti specifici. «Per chi denuncia, c’è la possibilità di essere tutelati dalla Legge federale sull’aiuto alle vittime di reati (LAV), che offre consulenza gratuita, sostegno psicologico, accompagnamento legale e aiuti finanziari. Le vittime possono anche ricevere contributi per cure mediche o psicologiche».

Le foto circolano per sempre

In tutti i casi, il forum Phica.net e la scoperta del gruppo Facebook «Mia moglie» rischiano di essere solo la punta dell’iceberg. Per questo, dice l’avvocata Ferrati, occorre lavorare sulla prevenzione, ma anche sulla cultura e l’educazione dei giovani. «La soglia di attenzione deve essere alzata, anche in Ticino, dove al momento non esistono campagne di sensibilizzazione ad hoc. Troppo spesso, infatti, queste materie vengono trattate con eccessiva superficialità».

Anche perché l’immagine, malgrado il sito sia stato chiuso, potrebbe continuare a circolare: «Gli utenti di quel sito potrebbero aver scaricato l’immagine di una donna, divulgandola un numero infinito di volte. È come tentare di bloccare un fluido, è un’operazione complicatissima. Ed è questo a rendere così insidiosi i reati perpetrati attraverso l’utilizzo dei social media».

Bisogna pagare?

Non solo. «Gli autori, troppo spesso, sono anche poco consapevoli della gravità di quanto commesso». È bene però sapere, dice Ferrati, che a pagare non è solo chi pubblica l’immagine, ma anche chi la fa circolare: «Secondo l’articolo 179novies del Codice penale, anche chi non ha caricato il contenuto ma lo diffonde può essere punito, e questo è importante per responsabilizzare ed evitare che l’immagine continui a diffondersi». Infine, sottolinea l’avvocata, non bisogna in alcun modo cedere alle richieste di pagamento per poter ottenere la cancellazione di un contenuto che ci riguarda: «La legge parla chiaro: la persona coinvolta può chiederne la rimozione in qualsiasi momento, e non è legittimo, né legale chiedere di essere pagati per farlo».