L'indagine

«Fra i palestinesi arrestati a Gaza sanitari, insegnanti e anche un'anziana con l'Alzheimer»

Un'inchiesta condotta dal Guardian in collaborazione con +972 Magazine e Local Call mostra come solo un detenuto su quattro sia identificato come combattente dalla stessa intelligence militare israeliana - Civili arrestati «senza accusa né processo»
Breaking The Silence via AP
Red. Online
04.09.2025 14:55

Solo un detenuto su quattro, fra i palestinesi arrestati dalle forze israeliane a Gaza, è stato identificato come combattente di Hamas o della Jihad islamica dalla stessa intelligence militare di Tel Aviv. È quanto emerge da un’inchiesta congiunta del Guardian, di +972 Magazine e di Local Call, che evidenzia come la grande maggioranza dei prigionieri sono civili incarcerati «senza accuse formali né processo», e spesso detenuti in condizioni di abuso.

Uno su quattro

L'intelligence militare israeliana conserva un database di più di 47.000 persone che classifica come combattenti di Hamas e della Jihad islamica palestinese, un dato considerato fra i più accurati che Israele possiede sulle forze nemiche, e continuamente aggiornato in base alle informazioni carpite sul terreno. Secondo i registri interni dell’esercito, ricostruisce l'inchiesta dei tre media, a maggio solo 1.450 nomi appartenenti a questa banca dati erano segnati come «arrestati». Eppure, a quel punto, Israele aveva detenuto 6.000 persone in base alla sua legislazione sui «combattenti illegali», che consente l'imprigionamento a tempo indeterminato senza accuse o processi. Uno su quattro, insomma, si trovava in stato di detenzione nonostante non fosse schedato come combattente. E i numeri a disposizione dimostrano come buona parte degli arrestati non sia mai stata rilasciata. Ad agosto, secondo i dati ottenuti da HaMoked - organizzazione israeliana per i diritti legali - si trovava un numero record di 2.662 palestinesi classificati come «combattenti illegali» nelle carceri israeliane, senza contare quelli rinchiusi nelle strutture militari. 

Dai sanitari ai malati di Alzheimer

Tra le persone imprigionate da Israele per lunghi periodi senza accuse o processo, si legge nell'inchiesta del quotidiano britannico, ci sono operatori sanitari, insegnanti, dipendenti pubblici, lavoratori dei media, scrittori, malati e disabili, bambini. Tra i casi più eclatanti figura, ad esempio, quello di Fahamiya al-Khalidi, una donna di 82 anni affetta da Alzheimer, rapita a dicembre 2023 insieme alla sua badante e trattenuta in Israele per sei settimane in base alla legge sui combattenti illegali, come dimostrano i documenti del carcere», spiega l'articolo. Era disorientata, non ricordava la sua età e pensava di essere ancora a Gaza, secondo un medico militare che l'ha curata nel centro di detenzione di Anatot. «Ricordo che zoppicava pesantemente verso la clinica. Ed è classificata come combattente illegale. Il modo in cui questa etichetta viene usata è folle», ha detto il medico. Le fotografie confermano la presenza dell'anziana ad Anatot in quel momento. È solo un esempio. A Sde Teiman, base militare divenuta tristemente nota per abusi, un soldato ha raccontato che i detenuti malati, disabili o anziani erano così numerosi da essere rinchiusi in un hangar ribattezzato «il recinto geriatrico».

Retorica

I politici, i militari e i media israeliani, sottolinea il giornale britannico, si riferiscono spesso a tutti i detenuti come «terroristi». Una retorica che colpevolizza immediatamente tutti gli arrestati, anche quelli trattenuti senza accuse o, palesemente, per errore. È il caso di Abeer Ghaban, 40 anni, fermata a un checkpoint con i suoi tre figli piccoli. Interrogata, era poi emerso come i soldati israeliani avessero confuso il marito da cui era separata, un contadino, con un omonimo militante di Hamas. Ma pur dopo aver riconosciuto lo scambio, era stata trattenuta altre sei settimane: al suo ritorno, i figli vivevano di elemosina.

Le associazioni per i diritti umani vedono in questo approccio un’estensione di una prassi già esistente ben prima del 7 ottobre: quella di trattenere i corpi di palestinesi uccisi e morti nelle carceri come «merce di scambio» invece di restituirli alle famiglie per la sepoltura. Secondo fonti militari, citate nell'inchiesta, molti soldati israeliani si sarebbero opposti al rilascio di civili senza legami con Hamas, sostenendo che dovevano essere usati come leva nei negoziati per gli ostaggi. Una logica ribadita da alcuni politici israeliani, che avevano sollevato un polverone quando fu liberato Mohammed Abu Salmiya, medico e direttore dell’ospedale di Shifa, «senza uno scambio di ostaggi».