Lo studio

Frontalieri al contrario, ma solo per poco tempo

L’Ufficio cantonale di statistica ha analizzato i flussi degli ultimi anni tra frontalieri e residenti - Tra coloro che arrivano in Ticino, un quinto vi rimane a lungo - Gli svizzeri che si spostano oltre confine tendono, al contrario, a fare ritorno in patria entro qualche anno
© CdT/Gabriele Putzu
Martina Salvini
28.02.2024 06:00

È sempre più marcato il fenomeno dei ticinesi che decidono di andare a vivere in Italia, pur mantenendo il lavoro qui. L’aumento delle partenze, tuttavia, non è stato compensato da un incremento degli arrivi. Nell’ultimo decennio, infatti, è diminuito il numero di chi, da frontaliere, ha deciso di varcare il confine per stabilirsi in Ticino. Ad analizzare il fenomeno è uno studio dell’Ufficio cantonale di statistica (USTAT), che parla di una «tendenza ormai decennale» che vede «sempre meno frontalieri diventare residenti e, al contrario, sempre più residenti diventare frontalieri». Il periodo preso in considerazione dai ricercatori va dal 2013 al 2020. Proprio osservando il 2020, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati, i residenti divenuti frontalieri sono stati 836, il 42,4 % in più rispetto al 2013. Al contrario, i frontalieri divenuti residenti sono stati 869, il 43,8 % in meno rispetto al 2013. Addirittura, nel 2019 (come si vede nel grafico) si è assistito per la prima volta a un ribaltone: i residenti in Ticino divenuti frontalieri sono stati più numerosi dei frontalieri divenuti residenti.

L’analisi

Nel suo ultimo studio, pubblicato ieri, l’USTAT però fa un passo avanti, concentrandosi sulla durata degli spostamenti. E dai risultati, emerge una sostanziale differenza: se per i frontalieri il trasferimento in Ticino è una scelta duratura, per i residenti che si spostano oltreconfine «si nota un maggiore dinamismo». Detto altrimenti: solo un terzo rimane in maniera permanente in Italia. I ricercatori, nella loro analisi, hanno osservato il comportamento di tutte le persone che si sono spostate dal 2013, seguendole nei tre anni successivi. Dai risultati è emerso che solo una persona su cinque, tra chi si era trasferito in Ticino, è tornata a casa. Andando più nel dettaglio, l’USTAT ha identificato alcuni «gruppi di traiettorie». Chi, una volta in Ticino, vi rimane stabilmente nei tre anni successivi rappresenta il 77%. «Questo gruppo - osservano i ricercatori - è caratterizzato da una sovrarappresentazione di svizzeri, donne e persone con più di 35 anni». Una parte minore (il 3%) dopo essersi stabilita in Ticino prosegue la migrazione verso altri cantoni svizzeri. In questa categoria, si trovano soprattutto svizzeri e giovani (tra i 15 e 34 anni). Infine, un’altra piccola parte, dopo qualche anno in Ticino, decide di fare rientro in Italia, tornando a fare il frontaliere: l’1,8% lo fa già dopo un anno dal trasferimento e il 4,6% nei due anni seguenti. In entrambi i casi, si tratta di giovani fino ai 34 anni.

Discorso diverso per i residenti in Ticino che si spostano in Italia. Solo un terzo (il 33,2%) di chi lascia il nostro cantone per diventare frontaliere mantiene questo status nei tre anni successivi, e sono soprattutto persone tra 35 e i 54 anni. Il 20% dopo il trasferimento decide anche di lasciare in tempi brevi il lavoro in Svizzera, mentre l’8% lo fa dopo due anni. In questa categoria rientrano soprattutto le persone con almeno 55 anni, più vicine, quindi, all’età pensionabile. Il 18%, invece, decide di rientrare in Ticino quasi subito e il 6% negli anni successivi. Infine, il 5,7% ritorna, ma per trasferirsi in un altro cantone svizzero. Insomma, praticamente quasi un terzo di chi si sposta in Italia poi cambia idea e torna in Ticino, o comunque in Svizzera. In questa categoria si trovano soprattutto persone svizzere e giovani.

Perché ci si sposta?

Ma quali sono le ragioni alla base dei flussi da e verso il Ticino? In un precedente studio, del novembre del 2022, l’USTAT provava ad avanzare qualche ipotesi. Tra i fattori che rendono interessante lo statuto di frontaliere «vanno sicuramente citati il costo della vita, da un lato, e i livelli salariali dall’altro», scrivono i ricercatori. «Ciò fa sì che un salario svizzero e la residenza in Italia garantiscano un maggior potere di acquisto rispetto a una residenza in Svizzera, facilitando l’accesso a beni e servizi importanti come il mercato immobiliare o i servizi legati alla salute». A questo si sommano «l’evoluzione del tasso di cambio euro-franco e l’attrattività fiscale e finanziaria dello statuto attuale di frontaliere». Il trasferimento in Italia, però, implica anche «un investimento per adeguarsi alle differenti pratiche amministrative e burocratiche, e questo potrebbe disincentivare il cambiamento di residenza, in particolar modo per chi non conosce il sistema italiano». Al contrario, chi sceglie di rimanere (o di arrivare) in Ticino può contare su una serie di vantaggi: «La stabilità del contesto socio-economico elvetico, la maggiore sensazione d’integrazione nell’essere residenti invece che frontalieri o i minori costi, in termini monetari e di tempo, del pendolarismo».

Chi sono?

Interessante, infine, è l’identikit dei due gruppi tracciato dall’USTAT. Per quanto riguarda i frontalieri che spostano il domicilio, la metà degli arrivi è composta da persone tra i 20 e i 39 anni, gli uomini sono all’incirca il 60% e il 55-60% è single. Per quanto riguarda la nazionalità, tra chi passa da residente a frontaliere «vi è una marcata preponderanza di stranieri». Il fatto che siano soprattutto gli stranieri a spostarsi, viene fatto notare, «fa pensare che a partire siano soprattutto italiani che, oltre ad avere legami con la loro nazione di origine, potrebbero essere già abituati al sistema italiano». Ma chi si sposta in Ticino, dove va? Dallo studio emerge che circa 7 persone su 10 si stabiliscono nel Sottoceneri (il 50% nel Luganese e il 20% nel Mendrisiotto). Per contro, chi ha fatto il percorso inverso, traslocando in Italia, è partito soprattutto dal Mendrisiotto. Un risultato che - dicono - non stupisce: «La sua vicinanza al confine diminuisce il costo, non solo in termini finanziari ma anche culturali e affettivi, di trasferimento rendendo di fatto facile uno spostamento». Per quel che riguarda il sesso e lo stato civile, il 55-60% è rappresentato da uomini celibi. Mentre si nota qualche cambiamento nel corso degli anni in relazione all’età, con una diminuzione della proporzione di giovani: «La quota di chi ha tra i 20 e 39 anni è passata dal 57% nel 2013 (433) al 43% nel 2019 (535), mentre gli over 40 sono passati dal 32% al 46%, in pratica raddoppiando il loro numero dal 2013 al 2019».

«Fiscalità rivista, ma dubito ci sarà una corsa ai permessi B»

«I cambiamenti legislativi in atto, come quelli legati alla fiscalità dei frontalieri, porteranno anche a nuove dinamiche sulla scelta di residenza». Secondo i ricercatori dell’USTAT, insomma, nei prossimi anni il monitoraggio dei flussi tra residenti e frontalieri potrebbe riservare qualche sorpresa. In particolare, l’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale potrebbe spingere un numero maggiore di «nuovi frontalieri» a trasferirsi in Ticino, in modo da evitare la doppia imposizione. «L’ipotesi può essere interessante per un nuovo frontaliere che, spostando la residenza fiscale in Svizzera, pagherebbe le imposte unicamente nella Confederazione», commenta Samuele Vorpe, responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI. Fare le valigie, evidenzia, garantirebbe un risparmio considerevole: «In Italia, infatti, a partire da 50 mila euro si applicano aliquote marginali del 43%. Per contro, in Svizzera, il 40% si raggiunge superando il milione di franchi. Il vantaggio fiscale, quindi, è indubbio». Tuttavia, non possono essere dimenticate altre voci di spesa che impatterebbero su un eventuale trasferimento. «Chi si sposta dovrebbe pagare l’affitto e anche la cassa malati, oltre a dover considerare il costo della vita più alto. Insomma, andrebbe fatta una valutazione a tutto tondo per capire se convenga effettivamente lasciare l’Italia». Senza dimenticare, dice, che si tratta «di un vero e proprio cambio di vita». Ma Vorpe mette in guardia anche su un altro aspetto: «Bisogna essere sicuri di fare le cose per bene, perché se si prende un permesso di dimora unicamente per una questione di comodo, si può incorrere in pesanti sanzioni in caso di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate». Chi si sposta in Svizzera, sottolinea quindi il fiscalista, «non deve tenere l’abitazione in Italia e il centro dei suoi interessi vitali (la sua famiglia, ndr) non deve essere in Italia. Il rischio, altrimenti, è quello di essere chiamato a pagare comunque le tasse lì».