Fumata nera nel primo giorno del conclave

Fumata nera. Ma era ampiamente previsto. Il primo giorno del conclave si è chiuso come tutti si attendevano. I 133 cardinali hanno messo nell’urna la loro prima scheda, ma nessuno ha raggiunto il quorum di 89 voti necessario per essere eletto Papa.
Era scontato. Si può facilmente immaginare che dallo scrutinio siano emersi più nomi. E che su alcuni di essi, già da domani mattina, possa concentrarsi l’attenzione di un numero maggiore di porporati.
San Pietro, questa sera, si è riempita comunque di fedeli e curiosi, giunti in piazza per veder sbucare il fumo dal comignolo della Sistina. Il rito dell’attesa è ad alta concentrazione di adrenalina, anche quando si è consapevoli che nulla può realmente accadere. Chi sosta sul sagrato della Basilica con lo sguardo rivolto verso il tetto del Palazzo apostolico sa di poter entrare, in qualche modo, anche se soltanto per brevi istanti, dentro la storia. Ed è lecito immaginare che già da domani all’interno del colonnato del Bernini la folla cresca di numero. In orari un po’ più tardi, visti i tempi più lunghi del previsto.
D’altronde, nessuno sa davvero che cosa accada sotto le volte dipinte da Michelangelo. L’unica certezza è che i cardinali sono chiamati a votare due volte al mattino e due volte nel pomeriggio. E che, comunque, il conclave non durerà troppo a lungo. La costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, promulgata da papa Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996, stabilisce infatti (al nr. 75) che dopo 33 voti nulli si proceda con il ballottaggio tra i due cardinali più votati nell’ultimo scrutinio. E in questo caso, peraltro, entrambi i papabili non avrebbero diritto di voto.
Negli ultimi 150 anni, l’elezione del Papa è stato un processo tutto sommato veloce: il più lungo, per Pio XI nel 1922, durò 5 giorni. Nel 2013, Francesco fu eletto il secondo giorno, dopo cinque scrutini. Allo stesso modo, due giorni bastarono per Benedetto XVI, asceso al trono petrino nel 2025 dopo quattro turni, così come Giovanni Paolo I nel 1978. Servirono tre giorni e otto votazioni, ai cardinali, per eleggere Giovanni Paolo II, sempre nel 1978; quattro giorni e 11 votazioni, nel 1958, per Giovanni XXIII, in un conclave nel quale sedevano soltanto 51 porporati. Papa Pacelli, invece, divenne Pio XII dopo soli tre turni. Ma era il marzo 1939. Nubi nerissime si addensavano sull’Europa e sul mondo.
Le congregazioni generali
Nessuno, al momento, crede insomma che il conclave possa prolungarsi oltre i due o tre giorni al massimo. I cardinali, sia gli elettori sia i non elettori, si sono riuniti ben 12 volte in congregazione generale prima dell’extra omnes. Le riflessioni dei singoli sono state moltissime, e hanno toccato punti diversi. E le parole di alcuni presuli potrebbero aver fatto breccia tra gli indecisi.
Stando a quanto riferito dal direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, anche nell’ultima congregazione, martedì mattina, si è parlato ad esempio delle riforme di papa Francesco, «che hanno bisogno di essere portate avanti nel tempo a venire», della legislazione sugli abusi, di economia, di curia, di solidarietà e lavoro, di pace e ambiente, la «cura del creato», argomenti questi ultimi al centro di due delle quattro lettere encicliche di Francesco: Laudato si’ (del maggio 2015) e Fratelli tutti (dell’ottobre 2020).
Dagli interventi, ha detto Bruni parlando ai giornalisti, è scaturito l’identikit di «un Papa che possa essere pontefice, cioè creatore di ponti, e pastore, maestro di umanità, volto di una Chiesa samaritana», soprattutto «in tempi di guerra, violenza e profonda secolarizzazione». Anche il tema del diritto canonico è tornato negli interventi cardinalizi, così come quello delle divisioni e del «modo di essere cardinali nella Chiesa».
Nella Sistina, però, al contrario che nell’aula del sinodo, non ci sarà dibattito. Prevarrà, ha scritto il cardinale francese Jean-Marc Aveline - 66.enne arcivescovo di Marsiglia considerato da alcuni tra i papabili - «grande silenzio interiore».
Gli elettori, ha detto il decano del sacro Collegio Giovanni Battista Re nell’omelia della messa Pro eligendo pontefice, «esprimeranno il loro voto nella Cappella Sistina, dove - come dice la costituzione apostolica Universi Dominici Gregis - “tutto concorre ad alimentare la consapevolezza della presenza di Dio, al cui cospetto ciascuno dovrà presentarsi un giorno per essere giudicato”. Nel trittico romano, papa Giovanni Paolo II auspicava che, nelle ore della grande decisione mediante il voto, l’incombente immagine michelangiolesca di Gesù giudice ricordasse a ciascuno la grandezza della responsabilità di porre le “somme chiavi” (Dante) nelle mani giuste».
I richiami del decano
Proprio l’omelia del cardinale Re può essere considerata alla stregua di una meditazione finale del sacro Collegio prima del voto nella Sistina. Un discorso, quello del 91.enne porporato bresciano, non di maniera. Se si vuole, un discorso in qualche passaggio persino sorprendente.
«L’elezione del nuovo Papa non è un semplice avvicendarsi di persone - ha detto Re - ma è sempre l’apostolo Pietro che ritorna». E «fra i compiti di ogni successore di Pietro vi è quello di far crescere la comunione: comunione di tutti i cristiani con Cristo; comunione dei vescovi con il Papa; comunione dei vescovi fra loro. Non una comunione autoreferenziale, ma tutta tesa alla comunione fra le persone, i popoli e le culture, avendo a cuore che la Chiesa sia sempre “casa e scuola di comunione”. È inoltre forte il richiamo a mantenere l’unità della Chiesa nel solco tracciato da Cristo agli apostoli. L’unità della Chiesa è voluta da Cristo; un’unità che non significa uniformità, ma salda e profonda comunione nelle diversità, purché si rimanga nella piena fedeltà al Vangelo».
Non ha negato le differenze, quindi, il cardinale Re. Consapevole che nella Chiesa universale convivono in questo momento idee e modi di agire distanti tra loro. Visioni del mondo che, in alcuni casi, potrebbero persino sembrare inconciliabili. Ma ha chiesto ugualmente «unità» e concordia «nell’elezione del Papa di cui ha bisogno il nostro tempo». Il mondo di oggi, ha insistito il decano, «attende molto dalla Chiesa per la salvaguardia di quei valori fondamentali, umani e spirituali, senza i quali la convivenza umana non sarà migliore né portatrice di bene per le generazioni future». Per questo serve un pontefice che «meglio sappia risvegliare le coscienze di tutti e le energie morali e spirituali nella società odierna, caratterizzata da grande progresso tecnologico, ma che tende a dimenticare Dio». Un Papa come Francesco.
Il peso che grava sui singoli elettori, ha insistito Re, è gigantesco. E non giustifica protagonismi. «I cardinali elettori si preparano a un atto di massima responsabilità umana ed ecclesiale e a una scelta di eccezionale importanza; un atto umano per il quale si deve lasciar cadere ogni considerazione personale».