Gaza, una guerra lunga 600 giorni e una pace sempre più lontana

Seicento giorni di guerra. E quasi nessuna speranza di pace. Mercoledì saranno trascorsi 600 giorni dall’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 nel quale i miliziani di Hamas uccisero 1.200 persone e ne rapirono altre 251. Da quel giorno, nulla è stato più come prima. La risposta militare di Israele è stata durissima, senza precedenti. L’intero gruppo dirigente di Hamas è stato spazzato via, ma nella guerra all’interno della Striscia hanno perso la vita anche 50 mila, forse 60 mila palestinesi.
Lo scontro, ormai, è senza quartiere. Ancora oggi, almeno 36 persone sono morte a causa di un attacco aereo israeliano contro una scuola che ospitava famiglie sfollate nel quartiere di Al-Daraj, a Gaza. Secondo fonti locali citate dall’agenzia di stampa palestinese Wafa, tra le vittime ci sarebbero state anche molte donne e bambini. Ma Israele nega. La scuola bombardata, hanno scritto in un comunicato stampa le forze armate dello Stato ebraico (IDF), era «un centro di controllo e di comando utilizzato dai terroristi per pianificare e raccogliere intelligence allo scopo di eseguire attacchi terroristici contro civili e truppe israeliane». L’IDF ha assicurato di aver «adottato numerose misure, prime dell’attacco, per mitigare il rischio di colpire i civili, tra cui l’utilizzo di munizioni di precisione e sorveglianza aerea».
Nessuno riesce più a contenere gli animi. Gli appelli alla pace cadono nel vuoto. Le menti e i cuori sono inariditi. Mentre le operazioni militari proseguono a ritmo serrato.
Sono state un vero e proprio shock le immagini di alcune decine di giovanissimi israeliani di destra che oggi, in occasione della Giornata di Gerusalemme, hanno marciato tra le viuzze del suq - il mercato della Città vecchia - prendendo a calci le porte di negozi, urlando insulti razzisti, sputando sui passanti e cantando cori d’odio: «Possa il tuo villaggio bruciare» e «morte agli arabi».
Il presidente dei Democratici israeliani, l’ex generale Yair Golan, già vicecapo di Stato maggiore dell’IDF e oggi alla guida degli eredi del Partito laburista, ha parlato di «violenza scioccante, prodotto di un governo antisionista, non ebreo, incitante e razzista. Questo non è amore per Gerusalemme - ha detto Golan - Questo non è il nostro ebraismo. Questo non è il sionismo in cui crediamo. Gerusalemme appartiene a tutti coloro che la amano, lotteremo per essa e la riporteremo ad essere una città per tutti noi».
L’ordine di evacuazione
Ma, come detto, la guerra non si ferma. Il portavoce dell’IDF in lingua araba, Avichay Adraee, ha annunciato questa mattina che l’Esercito ha avviato un’operazione militare «senza precedenti» contro le capacità dei gruppi armati che continuano a lanciare razzi su Israele dall’area di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. L’IDF ha ordinato l’evacuazione immediata dei residenti dei quartieri di al-Qarara, Bani Suheila e Abasan verso la zona di al-Mawasi, a ovest. Gli ospedali Nasser e al-Amal sono stati esclusi dall’ordine di evacuazione, ma la loro funzionalità è ormai ridottissima. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la maggior parte delle attrezzature mediche è infatti esaurita a Gaza e il 42% dei medicinali di base, compresi gli antidolorifici, sono terminati. «Siamo a zero scorte di attrezzature mediche, farmaci e vaccini essenziali», ha detto ai giornalisti, a Ginevra, Hanan Balkhy, direttore regionale dell’OMS per il Mediterraneo orientale.
Negoziati complessi
Oggi si è anche spento molto rapidamente lo spiraglio di luce che, nel primo pomeriggio, sembrava filtrare da una dichiarazione di Hamas sul possibile accoglimento della proposta di tregua mediata da Steve Witkoff, inviato USA in Medio Oriente. Secondo quanto riferito da una fonte governativa israeliana al quotidiano Haaretz, non c’è stato alcun progresso «nei negoziati per il cessate il fuoco e il rilascio di ostaggi tra Israele e Hamas». Le due parti, al contrario, «si stanno trincerando nelle rispettive posizioni originali. Hamas chiede garanzie che il cessate il fuoco porti a una fine della guerra. Al contrario, Israele chiede che l’organizzazione palestinese si disarmi, che i suoi leader siano esiliati dalla Striscia di Gaza e che nessun suo esponente sia coinvolto nella futura amministrazione dell’enclave». Insomma, un dialogo tra sordi.
Il primo a smorzare ogni ottimismo per una eventuale tregua è stato lo stesso Witkoff, il quale ha definito la risposta di Hamas alla sua offerta «deludente e del tutto inaccettabile». Mentre la fonte governativa sentita da Haaretz ha spiegato che «nessun governo responsabile potrebbe accettare un tale accordo».
Secondo quanto riportato dal canale televisivo satellitare libanese Al Mayadeen, inoltre, Israele avrebbe anche respinto una nuova proposta per un cessate il fuoco e il rilascio di ostaggi presentata dal palestinese-americano Bishara Bahbah, il mediatore dei colloqui per il rilascio del soldato israelo-americano dell’IDF Edan Alexander. I colloqui si sarebbero incentrati su due binari principali: l’impegno di Hamas ad astenersi dal riarmare o condurre operazioni militari contro Israele e le discussioni sul futuro di Gaza, compresa l’istituzione di un governo tecnico per amministrare il territorio e guidarne la ricostruzione.
«Alti funzionari israeliani hanno detto che c’è ancora la possibilità che le parti possano raggiungere un’intesa ha scritto Haaretz - per tre motivi: la minaccia di una grande operazione militare israeliana, le cui basi sono già state gettate; la crescente pressione internazionale su Israele; e gli sforzi in corso degli Stati Uniti per mediare un accordo per porre fine alla guerra».