Ghiacciai, un’agonia silenziosa e inarrestabile

Giovanni Kappenberger usa una parola. Una sola. «Agonizzanti». La fotografia fatta dal noto glaciologo ai ghiacciai svizzeri è cruda, quasi violenta. Senza speranza. «Perché sì, stanno morendo». Goccia dopo goccia, stagione dopo stagione, metro dopo metro. Quei giganti bianchi, lassù, incastonati sotto le cime delle nostre Alpi, hanno un termine. Una data oltre la quale non rimarrà più nulla, se non pietre e il ricordo di quel silenzioso movimento che sembrava eterno ma che invece non lo è. Non lo è più. E l’esempio di questo processo arriva direttamente dal simbolo della catena alpina, l’Aletsch. Una lingua di ghiaccio e neve che si estende fra il Vallese e il canton Berna. «Ho fatto un’escursione di studio un mese fa proprio in quell’area, assieme ad altri esperti» prosegue Kappenberger. «Il capo spedizione ha riassunto il ritiro del ghiaccio tramite alcuni numeri molto significativi. Dal 1880 al 1930 l’Aletsch ha perso 2 chilometri cubi di ghiaccio. La stessa massa scomparsa nei successivi cinquant’anni. Poi dal 1980 al 2000 è stata notata un’accelerazione: in 20 anni, se n’è andato un chilometro cubo di ghiaccio. E ancora, dal 2000 al 2010 un altro chilometro cubo. La stessa quantità persa nei successivi 7 anni, ovvero fino al 2017. Se prima il ghiacciaio scompariva a un ritmo di un chilometro cubo ogni quarto di secolo, ora il ritmo è drammaticamente più elevato». Avanti di questo passo, a fine secolo sulle Alpi rimarrà solo qualche macchia bianca ad altissima quota. Un ricordo, appunto.

La pelle d’oca
«‘‘Vedete questa lingua di ghiaccio? Faccio fatica a dirvelo, ma in futuro non esiste rà più. Questione di 30 anni’’. Così ha detto, commosso, Matthias Huss, uno dei maggiori glaciologi a livello svizzero durante la visita sull’Aletsch» dice Kappenberger. Il problema è che nessuno potrà evitarlo. «Anche se facessimo i bravi, se smettessimo oggi di produrre CO2, non servirebbe a nulla. I ghiacciai non sono in equilibrio col clima, non vanno di pari passo, ma reagiscono con una certa inerzia ai cambiamenti climatici. E le temperature sono già molto più alte di quelle che questi giganti potrebbero sopportare. Anche solo nel raccontarvi il destino dell’Aletsch, ho la pelle d’oca. I famosi teli di protezione? Sono solamente dei piccolissimi cerotti. I benefici sono minimi». Le masse più famose sono segnate, sì. Ma che dire di quelle più piccole? Kappenberger è sicuro: «Del ghiacciaio del Basodino non ci sarà più traccia nel giro di 10-20 anni. Tutto dipenderà dagli inverni: se saranno molto nevosi, allora la sua morte si sposterà un po’ più avanti. Dieci anni fa lo spessore del Basodino era di 27 metri, pochi giorni fa aveva una media di 15 metri. Una riduzione di un metro all’anno».
L’estate e il picco
Sotto accusa ci sono i mesi caldi dell’anno, agosto in particolare. Anche se l’innevamento invernale è abbondante e lo strato di neve che ricopre il ghiaccio riesce a riflettere fino a primavera inoltrata buona parte dei raggi solari, la fase dello scioglimento è talmente intensa e repentina da rendere inutile anche la più storica delle nevicate. «Quest’anno le previsioni sul Basodino, ghiacciaio che misuro da decenni, dicono che siamo in bilancio negativo di circa mezzo metro di spessore» commenta il glaciologo. Morene vuote, grigie, ghiacciai che si ritirano inesorabilmente più in su, in alto, quasi come se volessero cercare rifugio da quella calura che li sta spezzando, che li sta liquefacendo. E le conseguenze sul territorio cominciano a farsi sentire anche – e forse soprattutto – in Svizzera. «La situazione sta cambiando rapidamente» spiega Kappenberger. «In Ticino la perdita di volume di ghiaccio è molto ridotta rispetto ai quantitativi di precipitazioni annui. Ad esempio le Officine idroelettriche della Maggia continueranno ad avere afflussi simili. Tuttavia nei periodi estivi, o di siccità, verrà a mancare l’acqua fossile. Ma sarà il Vallese a subire le conseguenze maggiori. Potrebbero verificarsi importanti modifiche nel regime idrologico della regione». Il cambiamento è già in atto. È già cominciato. Come testimoniano i recenti crolli di parti di montagna, proprio in Vallese. «Se ad alte quote le temperature sono troppo elevate, il permafrost si scioglie e la roccia si riscalda» sintetizza il nostro interlocutore. «Io, da qualche anno, non vado più in alta montagna d’estate. È cambiata troppo, è molto instabile e pericolosa».
Domenica si celebrerà il funerale del ghiacciaio Pizol, nella Svizzera orientale
Un funerale per un ghiacciaio. È stato fatto, in Islanda, e sarà fatto ancora. Domenica, dalle 13, una cerimonia di questo tipo sarà dedicata al ghiacciaio turgoviese del Pizol. «Non lo chiameremo funerale, perché un ghiacciaio non è una persona. Non sarà quindi un rito religioso, sarà più che altro una cerimonia per ricordare il ghiacciaio, per omaggiarlo. Il Pizol non è che un simbolo di una situazione più complessa, di ciò che accade oggi a causa del cambiamento climatico, di ciò che accade anche nella nostra zona. Il Pizol è il primo ghiacciaio che non è più un ghiacciaio. Ora è solo un pezzo di ghiaccio. La cerimonia è insomma un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica, per ricordarci che abbiamo delle responsabilità, che il problema è globale e che riguarda tutti noi, le nostre vite e le nostre scelte».

«Per trovare la verità»
A Eric Petrini, teologo, amante della montagna, domenica, in cima al Pizol, spetterà un ruolo importante, a lui infatti verrà chiesto di toccare i temi più spirituali. «In quasi tutte le culture, la montagna è vista come un simbolo divino. Forse semplicemente perché è più alta di dove vive l’uomo. Perché l’uomo, per arrivare in cima, deve raccogliere tutte le sue forze, tutta la sua volontà, e poi deve iniziare a camminare. Una lunga ascesa. L’uomo è chiamato a trascendere se stesso, nell’affrontarla. È ciò che più ci avvicina all’idea di Dio. Non è che, arrivando in cima, l’uomo troverà un Dio, ma è vero che molti lo credono, credono che Dio viva nella montagna. Io, quando cammino in montagna, non trovo Dio, ma il silenzio, la meditazione, la sensazione del nulla, oltre che la possibilità di vedere il mondo da un altro punto di vista. C’è un modo di dire secondo cui, per trovare la verità divina, occorre osservare le cose sia dal basso che dall’alto. Quando io mi trovo nel fondovalle, osservo le cose dal basso, quando salgo in cima alla montagna, le osservo dall’alto: solo così troverò la verità divina, la spiritualità».
«Sono dei miracoli»
A proposito di spirito, più i ghiacciai sono grandi e più numerose sono le leggende che li riguardano. Leggende che chiamano in ballo demoni, draghi e giganti, folletti. Nel ghiacciaio dell’Aletsch, stando a una leggenda vallesana, sarebbero intrappolate anime di peccatori, costrette a espiare lì, nel ghiaccio, i propri peccati. Sempre l’Aletsch, già dal diciassettesimo secolo, raccoglie le preghiere dei fedeli di Fiesch e di Fieschertal. «Sino a pochi anni fa si pregava affinché il ghiacciaio non avanzasse, insidiando le comunità. Ma dal 2011, ottenuto il nulla osta papale, si prega affinché il ghiacciaio non scompaia. In Svizzera quindi abbiamo due tipi di tradizione: da un lato si prega Dio affinché ci protegga dalla natura, dall’altro affinché protegga la natura stessa. In fondo preghiamo per noi stessi, in modo che capiamo quale regalo sia la natura. Perché non possiamo pregare per la natura, perché la natura è molto più forte di noi. Preghiamo per essere un tutt’uno con essa». Spiriti o demoni dei ghiacciai. «Ogni ghiacciaio è un miracolo, nell’immaginario dell’uomo, perché i ghiacciai vivono, si muovono, sono pericolosi e affascinanti al contempo. E dove c’è un miracolo, l’uomo ha due possibilità: credere che venga da Dio o che venga dal diavolo».
Svizzera turismo: "È importante educare per permettere a tutti di vedere più lontano"
All’interno del sito di Svizzera turismo, i ghiacciai hanno uno spazio di prestigio. La portavoce, Véronique Kanel: «Il ruolo turistico dei ghiacciai è legato a quello delle montagne, le quali rappresentano il nostro paesaggio tipico. La maggior parte dei turisti visita i ghiacciai con delle escursioni, organizzate proprio per ammirarli. Il più visitato? Difficile dirlo, ma l’Aletsch è molto celebre e spettacolare. Non si parla comunque di turismo di massa, di overtourism. E poi l’accesso al ghiacciaio va meritato, non è per tutti». Svizzera turismo tiene d’occhio il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai. «Ma è una preoccupazione dell’intera società, non solo di chi lavora nel turismo. L’impatto della sparizione dei ghiacciai riguarda tutti. Dove si scioglieranno i ghiacciai rimarrà la roccia. Non è detto che con il perdurare del fenomeno del riscaldamento globale non possano aumentare i numeri del turismo in montagna. La gente forse la cercherà ancor di più, d’estate. Poi il turismo si adatta al paesaggio. Importante sarà eventualmente approfittare di ciò che accade per educare e avvertire i turisti delle conseguenze di tali fenomeni. Bisogna permettere a tutti di vedere più lontano».