«Gli ostacoli si possono eliminare»

Nella duttile lingua di Twitter, diremmo che l’accordo quadro è tra le tendenze del momento. Non c’è in effetti tema più rovente dell’intesa che – a detta dei fautori – assicura il proseguimento della via bilaterale con Bruxelles. Nel dicembre scorso il Consiglio federale ha dato il via alla consultazione, che dovrebbe concludersi verso aprile. Tra i punti dolenti dell’accordo (e non è una novità), le misure accompagnatorie alla libera circolazione delle persone, oggetto di contestazione tra le parti negozianti. E se è vero che negli ultimi tempi la regola degli otto giorni è stata l’indiscussa protagonista dei dibattiti, è d’altra parte innegabile che sono diversi i punti su cui è necessario chinarsi per fare chiarezza. Parola dell’Unione svizzera degli imprenditori (USI), che, assieme a Economiesuisse, rientra nella cerchia delle parti sociali consultate. E che, al contrario e a complemento di essa, focalizza la sua attenzione sulle misure d’accompagnamento. Daniella Lützelschwab, responsabile Mercato del lavoro e Diritto del lavoro, dichiara che «ci siamo chiesti: cosa succederebbe se dovessimo applicare la direttiva di applicazione (la «Durchsetzungsrichtlinie» che regola tutto ciò che riguarda l'aspetto organizzativo del controllo delle condizioni lavorative)?». In Svizzera ci sono da un lato i settori che hanno un contratto collettivo di lavoro dichiarato d'obbligatorietà generale con dei salari minimi. In questi casi – prosegue la nostra interlocutrice – il controllo avviene da parte delle commissioni paritetiche, che sono organi privati: viene creata una fondazione, vige un regolamento, si applicano misure e si emanano sanzioni. «Questo è un tipico elemento del nostro sistema esecutivo duale».
Emergono dubbi
Dall'altro lato ci sono i settori in cui non c'è un contratto collettivo o mancano regole sui salari minimi: ecco quindi l’entrata in azione delle commissioni tripartite, in cui è presente anche un elemento statale. Ciò rende queste procedure più vicine al modo di operare nella Comunità europea, dove l'organo di controllo è di regola un organo statale. «Il dubbio che ci viene leggendo questa direttiva di applicazione è: queste strutture potranno essere mantenute?», si chiede Lützelschwab. Altrove è scritto che le parti sociali sono importanti ma possono operare solo in casi eccezionali. Sinora, così il membro dell’USI, non si è parlato di questo punto nella proposta ricevuta, in cui si è discusso delle prime tre misure accompagnatorie (termine di preavviso, cauzione e documenti per gli indipendenti). «Siamo convinti che con le precisazioni in tal senso, l'attuale protezione dei lavoratori in Svizzera possa essere preservata, e allo stesso tempo resa conforme alle norme dell'UE», afferma. Un secondo punto riguarda la cauzione: la proposta dell'UE prevede una cauzione solo nel caso in cui ci sia già stata una violazione delle condizioni di lavoro, e inoltre solo in un settore a rischio. Per l’USI non ha senso attendere il ritorno della ditta che ha violato le regole e se n'è andata senza pagare prima di poter avere il diritto di chiedere la cauzione. «Il nostro augurio è che si possa mantenere l'attuale modo di operare». Inoltre, la controparte vuole concentrare i controlli sui settori a rischio. Sinora è la Svizzera che definisce quali sono tali settori; l’USI vuole fare chiarezza, di modo che anche in futuro questo rimanga di competenza svizzera. L'ultimo aspetto da chiarire concerne tutti gli strumenti di esecuzione che nascono dai contratti collettivi e dal sistema esecutivo duale delle commissioni paritetiche menzionato in precedenza da Lützelschwab. «Dovrebbero continuare ad essere autorizzati e, se giustificati, anche completati, a condizione che siano proporzionati», dichiara. Beninteso, quelle dell’USI sono domande, richieste di precisazioni. «Non vogliamo riaprire le trattative. In questo modo vogliamo dare il nostro contributo per arrivare ad una soluzione accettabile e sopportabile per l'economia e che sia nell'ottica dell'accordo istituzionale. Siamo convinti che gli ostacoli legati alle misure d'accompagnamento possono essere eliminati», conclude la nostra interlocutrice.
Sindacati sulle barricate
Ma le premesse per un accordo semplice e indolore tra le parti sociali non sembrano essere particolarmente incoraggianti. In un comunicato stampa, l’Unione sindacale svizzera (USS) dice di opporsi ad ogni tentativo di smantellamento delle misure accompagnatorie e parla di come l’UE smonti completamente i tentativi di abbellimento del consigliere federale Ignazio Cassis sulla tematica dell’accordo quadro. I ministri dell’UE, nelle proprie «conclusioni» sulle relazioni con Berna, esigono un abbassamento della protezione dei salari svizzera. La Confederazione deve revocare le misure d’accompagnamento o adattarle di maniera tale che siano «in sintonia con i principi dell’UE di proporzionalità e non discriminazione», si legge nella nota. Morale della favola secondo l’USS: approvando l’intesa con Bruxelles, la tutela dei salari elvetica verrebbe messa sotto pressione in maniera importante. «La ripresa delle basi giuridiche dell’UE, prevista nell’accordo, e la subordinazione delle misure d’accompagnamento alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea non porterebbero soltanto all’abolizione obbligata di una parte delle misure accompagnatorie. Anche le ditte o le autorità dell’UE potrebbero sporgere denuncia con successo contro parti delle misure d’accompagnamento svizzere», prosegue l’Unione. Questo stride chiaramente con i tentativi di abbellimento «fuorvianti» del Dipartimento guidato da Cassis e della Segreteria di Stato dell’economia, che a detta dell’USS hanno tentato di «raddrizzare» lo smantellamento delle misure d’accompagnamento imminente parlando di uguale «livello di protezione». Le dichiarazioni dei ministri dell’UE confuterebbero inoltre le valutazioni dell’USI, che afferma che una soluzione solida è possibile con alcune precisazioni concernenti le misure d’accompagnamento. «In Svizzera devono essere pagati salari svizzeri. Le misure d’accompagnamento devono restare una linea rossa nelle trattative sull’accordo quadro», si legge ancora nel comunicato dell’Unione sindacale.
Il sostegno delle imprese vodesi
Le imprese vodesi, da parte loro, dicono un sì molto chiaro all’accordo istituzionale. È quanto si legge in un comunicato del Centre Patronal, che si basa su un sondaggio rappresentativo da esso condotto. Più nel dettaglio, l’85% delle aziende interpellate si dice favorevole o piuttosto favorevole. «L’accesso al mercato europeo è considerato molto importante per l’economia svizzera», si legge nella nota. «Inoltre, le imprese vodesi sono profondamente legate alla via bilaterale». Per quanto concerne i punti principali dell’intesa, i partecipanti all’indagine sono favorevoli (con oltre l’80%) al meccanismo del tribunale arbitrale. Il 60% di questi sostengono la ripresa dinamica del diritto europeo. Una maggioranza del 60% circa reputa inoltre sufficiente un termine d’annuncio di quattro giorni per i lavoratori distaccati in Svizzera da parte di un’azienda con sede nell’Unione europea. La stessa quota è del parere che un ammorbidimento del diritto all’aiuto sociale non costituisca un ostacolo di maggiori dimensioni. Il 90%, si legge infine nel comunicato, rigetta un’adesione all’UE. Anche Commercio Svizzera manifesta il proprio sostegno all’accordo, e invoca una sua rapida sottoscrizione. «Altrimenti – si legge in un comunicato – decine di migliaia di posti di lavoro sarebbero messi a repentaglio in maniera importante». Oltre il 50% della prosperità elvetica dipende da buone relazioni commerciali con l’UE. Senza queste ultime, la discussione sulla protezione dei salari e i termini di annuncio sarebbe obsoleta, non ci sarebbe alcun aggiornamento degli accordi esistenti e si verificherebbe un blocco in diversi dossier, ad esempio quello sul mercato dell’energia o sullo scambio di servizi.