Guerra fra gli ultimi nel duro teatro a cavallo del confine

Percorrendo i sentieri che si snodano a cavallo della frontiera fra Ticino e Italia, specialmente quelli in montagna, spesso seguiamo i passi dei contrabbandieri di un tempo. Magari non ce ne rendiamo conto, ma se le pietre che calpestiamo potessero parlare, ci racconterebbero di persone dedite a intensi traffici di frodo per poter mettere in tasca qualche soldo in più per sbarcare il lunario, faticando di notte per ore e ore come muli e mettendo in pericolo la loro vita.
A introdurci nel mondo dei contrabbandieri e dei loro antagonisti d’antan è Adriano Bazzocco, storico che l’anno scorso ha presentato una tesi di dottorato all’Università di Zurigo il cui tema è la storia del contrabbando fra la Svizzera e il territorio italiano dall’Unità d’Italia alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Bazzocco è un momò di quelli che fin da piccoli hanno respirato aria e vissuto atmosfere transfrontaliere in tutta naturalezza, come se un confine fra il nostro cantone e l’Italia non ci fosse proprio. Lasciamoci allora condurre dal nostro storico, alle cui parole – la nota è doverosa – dobbiamo anche ciò che potete leggere nel Da sapere qui a lato.


Iniziamo dalla fine
«Il contrabbando classico, per intenderci quello degli spalloni e delle merci trasportate di frodo in Italia a spalla, di notte, lungo i sentieri, è andato scemando, fino a morire, a metà degli anni Settanta del secolo scorso. Il nostro franco – spiega Adriano Bazzocco scendendo nei dettagli – si era apprezzato molto nei confronti della lira italiana e quindi per i contrabbandieri le merci svizzere erano diventate troppo care e i margini di guadagno si erano erosi. Il contrabbando fino ad allora era stato esercitato su larga scala e aveva avuto ingenti ricadute economiche. L’Italia aveva una pesante fiscalità e alcune merci, penso in particolare a tabacco, zucchero oppure al caffè, erano gravate da tasse molto alte o era assoggettate al Monopolio di Stato, al contrario di quanto accadeva in Svizzera, dove potevano essere acquistate a un prezzo molto inferiore. Ecco quindi che il contrabbando è fiorito, addirittura esploso, fra il nostro Paese e l’Italia. Un fenomeno che ha riguardato l’intera fascia di confine, dal Vallese al Grigioni e raggiungendo in Ticino, Bregaglia e Val Poschiavo livelli quasi industriali».

Chi faceva cosa
«I contrabbandieri erano tutti italiani. Gli svizzeri, infatti, si limitavano a vendere agli spalloni le merci da contrabbandare. Per le autorità elvetiche questi traffici non erano illeciti. Anzi, costituivano a tutti gli effetti un ulteriore, lucrativo sbocco commerciale e pertanto erano ampiamente tollerati. Su suolo svizzero gli spalloni si muovevano perciò liberamente, senza dover temere nulla».
Finisce la tolleranza svizzera
«A un certo punto la Svizzera ha però posto fine alla tradizionale tolleranza. È accaduto durante la Seconda guerra mondiale, quando nell’ambito dell’economia di guerra è stato introdotto il razionamento delle merci e le esportazioni e importazioni sono state poste sotto il controllo dello Stato. In quegli anni le nostre guardie di confine ricevettero l’ordine di contrastare con la massima severità qualsiasi traffico di merci, anche sparando se gli spalloni non si fermavano all’ordine “Alt! Guardia svizzera, mani in alto!”. E difatti decine di spalloni furono feriti o uccisi».

Fiumi di riso
«Eppure, benché perseguito anche sul versante svizzero, durate la guerra il contrabbando ha conosciuto una fase del tutto straordinaria sia per l’intensità enorme con cui era esercitato, sia per l’inversione della direzione di marcia delle merci, poiché si contrabbandava dall’Italia verso la Svizzera. Soltanto nel 1945 le guardie svizzere sequestrano in Ticino e Mesolcina 115’319 chili di riso, 1’550 di salumi, 300 di formaggio e innumerevoli altri beni, fra scarpe, suole di gomma, copertoni, camere d’aria, calze, lana, seta... A dominare è stato appunto il riso, perché questo bene d’importazione era quasi scomparso dalle tavole ticinesi, sulle quali a farla da padrone era la patata. L’Italia settentrionale da parte sua era occupata dalla Wehrmacht, sotto i bombardamenti alleati, con un’economia allo sfascio. Le genti italiane di confine, ridotte allo stremo, trovarono nel contrabbando verso la Svizzera di che campare».
Il contrasto della Finanza
«Per contro – prosegue Adriano Bazzocco – il contrasto del contrabbando e la caccia agli spalloni da parte degli uomini della Guardia di finanza italiana sostanzialmente non hanno mai conosciuto soste. La Guardia di finanza non ha esitato a mettere in campo un piccolo esercito, tanto che nella seconda metà dell’Ottocento, a presidiare il confine fra Italia e Ticino, c’erano circa 1’500 finanzieri contro uno sparuto gruppetto di una cinquantina di guardie svizzere».

In campo i meridionali
«I finanzieri schierati a guardia dei confini e chiamati a reprimere il contrabbando erano scelti dai loro comandi perlopiù fra i meridionali. Si volevano infatti evitare collusioni con le genti del posto. La popolazione locale detestava i finanzieri, che erano considerati un’emanazione dell’odiato Stato centrale. Quest’ultimo era percepito come un esattore rapace, che rubava uomini per il suo esercito ed era totalmente insensibile ai problemi locali. Per questa ragione il contrabbando non è mai stato considerato dalla popolazione di confine un’attività moralmente riprovevole. Il contrabbando si compenetrava con la società civile e gli spalloni vivevano totalmente protetti da una cortina di omertà».
La «ramina»
«Nei ricordi di noi ticinesi il simbolo per eccellenza della frontiera è la “ramina”. A differenza di quanto si possa credere, questo manufatto non è stato però costruito per delimitare il confine. Quest’ultimo è demarcato dai classici cippi in pietra conficcati nel terreno. La ramina è un manufatto italiano, quindi totalmente su territorio italiano, che è stato costruito dalla Guardia di finanza a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento per contrastare il viavai dei cani contrabbandieri e degli spalloni. La “ramina”, fra l’altro, era dotata di campanelli che si mettevano a suonare non appena veniva toccata. Un accorgimento decisamente utile, visto che i contrabbandieri agivano di notte e quindi era difficile individuarli nel buio».

Vincitori e vinti
Avviandoci alla conclusione dell’intervista con Adriano Bazzocco ci chiediamo chi siano stati i vincitori e i vinti nella storia del contrabbando... «Dal punto di vista strettamente economico, considerando quanto sono stati rilevanti i commerci di frodo, i grandi sconfitti sono stati senz’ombra di dubbio lo Stato centrale italiano e il suo erario. Fra i vincitori metterei innanzitutto coloro che da parte svizzera hanno fornito le merci ai contrabbandieri, poiché hanno trovato uno sbocco commerciale alquanto redditizio. Come ad esempio è stato per le numerose torrefazioni di caffè sorte in Val Poschiavo (vedi il Da Sapere, ndr) o le manifatture ticinesi che si dedicavano alla lavorazione del tabacco, non a caso sorte nella seconda metà dell’Ottocento a poca distanza dalla frontiera con l’Italia».

E gli uomini su fronti opposti?
«Quanto ai contrabbandieri, magari si sono arricchiti coloro che tenevano le redini dei traffici ma di sicuro non gli spalloni, che anzi rischiavano la vita a ogni viaggio. Non solo per le fucilate di finanzieri e guardie di confine, ma perché percorrevano di notte e al buio sentieri impervi e discosti, con carichi molto pesanti e il rischio di mettere un piede in fallo a ogni passo, con conseguenze fatali. Aggiungendo a ciò la vita grama dei finanzieri meridionali (malpagati, costretti a turni massacranti, osteggiati dalla popolazione) e i morti che ci sono stati sia da una parte sia dall’altra, concludendo possiamo dire se da un lato ha perso lo Stato centrale italiano e dall’altro ha vinto sotto diversi punti di vista l’economia svizzera, nel mezzo i militi della Guardia di finanza e gli spalloni hanno combattuto una dura guerra tra ultimi della società, per guadagnarsi di che vivere».
Simboli, personaggi, fatti e grandi numeri
La bricolla
Il simbolo del contrabbando è la bricolla. Era una sorta di zaino in tela di sacco. Con il carico pesava circa 25-35 chili e conteneva le merci da trasportare. L’equipaggiamento del contrabbandiere comprendeva inoltre i peduli e la roncola. I peduli erano particolari calzature di tela di sacco cucita con spago grosso ed erano utilizzati per attutire il rumore dei passi e non lasciare tracce. Dopo ogni operazione andavano sostituiti perché si consumavano rapidamente. La roncola, tenuta sempre a portata di mano, serviva invece per recidere rapidamente gli spallacci della bricolla, abbandonare il carico e darsi alla fuga se intercettati dagli agenti doganali.

L’apogeo
L’apogeo dei traffici di frodo al confine tra Italia e Svizzera si ebbe nel 1971 in Val Poschiavo. In quell’anno gli spalloni, ossia i portatori, trasportarono in Valtellina attraverso le montagne la bellezza di 8’917 tonnellate di merce, equivalenti a una media di 24 tonnellate e mezzo al giorno. La Val Poschiavo si specializzò nel contrabbando di caffè: nel 1971 questo bene rappresentava il 95% delle merci esportate di frodo (8’503 tonnellate). A Brusio erano attive addirittura una decina di torrefazioni di caffè e i fumi della lavorazione talvolta avvolgevano il villaggio in una nebbia bluastra. Nel secondo dopoguerra in Ticino si contrabbandò in quantità industriali soprattutto il tabacco, in quella che è passata alla storia come la «tratta delle bionde».
Spalloni a quattro zampe
Verso il 1880 fecero la loro apparizione i cani contrabbandieri. I migliori amici dell’uomo erano addestrati a compiere un determinato tragitto tra la Svizzera e l’Italia con in groppa un piccolo basto del peso variabile tra i 5 e i 10 kg. Le guardie di finanza italiane avevano l’ordine di far fuoco sulle povere bestie e ne abbatterono a centinaia.

Il Duca della montagna
Negli anni Trenta del secolo scorso uno spallone dell’alta Valle d’Intelvi si illustrò per la sua spavalderia e inafferrabilità. Si chiamava Clemente Malacrida ed era noto come Duca della montagna. Tra le sue gesta più audaci vi fu il tentativo di sconfinamento da Arogno del 3 gennaio 1934, al comando di una banda di ben 131 spalloni. La colonna fu messa in fuga dai finanzieri. Dopo varie peripezie il Duca della montagna fu arrestato in patria. Nel maggio del 1936, durante un tentativo di evasione, venne ucciso dagli agenti italiani in circostanze rimaste oscure. L’alone di mistero sulla sua morte ne alimentò ulteriormente il mito.
Per approfondire
Se abbiamo solleticato la vostra curiosità, per approfondire ulteriormente lo sguardo sulla storia del contrabbando vi consigliamo il libro Contrabbandieri – Uomini e bricolle tra Ossola, Ticino e Vallese, scritto da Erminio Ferrari e pubblicato dalla Tararà Edizioni di Verbania nel 1997, con poi una seconda edizione ampliata data alle stampe nel 2000.
Lo scrigno della memoria in riva al lago
Sul filo dei 70 chilometri orari di velocità il viaggio è breve, fra il debarcadero principale di Lugano e le Cantine di Gandria. Merito dei 740 cavalli sprigionati dai due motori dell’Aurora, il pattugliatore dell’Amministrazione federale delle dogane che solca le acque del Ceresio veloce come il vento. L’attracco è al Museo svizzero delle dogane, l’unico del suo genere nel nostro Paese e dove a riceverci e a fare gli onori di casa è la direttrice Maria Moser-Menna: ci accoglie insieme alle guardie di confine che a turno, alternando il ruolo di custodi a quello operativo vero e proprio, sono chiamate a vegliare su questo bene storico.

«Sono responsabile del museo da dodici anni – spiega Maria Moser-Menna – e prima di accettare la carica di direttrice, ho voluto visitarlo e conoscerlo per bene. Per me è stato un amore a prima vista, perché qui si respirano la storia, la vita vera della gente che abita sulla sponda svizzera e quella italiana del lago di Lugano. L’edificio che lo ospita per quasi un secolo è stato un posto di confine a tutti gli effetti. È stato costruito nel 1904 e già nel 1935 Angelo Gianola, che era un ufficiale delle nostre guardie di confine, ebbe l’idea di trasformare alcuni locali rimasti inutilizzati in spazi dove raccogliere oggetti che testimoniassero le vicende legate al contrabbando e al passaggio delle genti attraverso il confine fra Svizzera e Italia, nonché la vita delle guardie stesse».

Dopo le chiusure imposte dalla pandemia da COVID-19, il Museo delle dogane ha riaperto le sue porte ai visitatori lo scorso 4 aprile e per la pausa invernale le chiuderà il prossimo 17 ottobre. C’è quindi tempo per godersi le due nuove mostre che vi sono state allestite, intitolate Un confine tra povertà e persecuzioni e Stra-Ordinario. La prima, curata dagli storici momò Adriano Bazzocco e Stefania Bianchi, riguarda l’ultimo, turbolento periodo della Seconda guerra mondiale e focalizza l’attenzione sul contrabbando fra la Svizzera e l’Italia e sui profughi che chiedevano asilo nel nostro Paese. La seconda esposizione, prevalentemente interattiva, è dedicata all’esperienza del tutto straordinaria – da qui il titolo – vissuta dal corpo delle guardie di confine nei mesi in cui ha imperversato il nuovo, famigerato coronavirus. Le storie raccontate sono 17 e fra i protagonisti ci sono anche clienti dell’Amministrazione federale delle dogane, dei pendolari e una coppia con nazionalità differenti costretta a una separazione forzata a causa della chiusura dei confini tra la Svizzera e le nazioni che la circondano.

Fra queste storie spicca sicuramente quella di Selina Gasparin, l’engadinese specialista del biathlon (la disciplina abbina lo sci di fondo al tiro al bersaglio con carabina e l’ha vista cogliere un argento alle Olimpiadi del 2014 a Sochi, nonché vittorie e podi in Coppa del mondo). Selina Gasparin, nella sua veste di guardia di confine, in men che non si dica è infatti passata dalle gare ai turni di servizio al posto di confine di Campocologno, in Val Poschiavo.
Le due mostre temporanee affiancano quella permanente del Museo delle dogane e quindi non mancano gli spunti per una visita (è aperto da martedì a domenica dalle 12.00 alle 17.00, l’entrata è gratuita). Abbinandola magari a un bel giro panoramico su uno dei battelli della Società di navigazione del Lago di Lugano. La sola cosa di cui non potrete godere, caso, mai è la muscolare velocità del pattugliatore Aurora.
Presente e futuro dell'AFD
Di cosa si occupa l’Amministrazione federale delle dogane? Quante persone impiega e quali servizi offre? Ecco un sintetico ritratto dell’AFD, il cui portale internet è dogana.admin.ch che ogni anno viene visitato in media da 5,7 milioni di persone.
La missione
L’AFD, che dipende dal Dipartimento federale delle finanze, garantisce la sicurezza globale al confine a favore di popolazione, economia e Stato. Tra i suoi compiti principali rientrano l’imposizione delle merci commerciabili, la gestione del traffico turistico e gli ambiti della migrazione e della sicurezza. Dispone di una propria autorità inquirente per il perseguimento penale dei reati commessi nell’ambito delle sue competenze.

I collaboratori
In seno all’AFD i posti di lavoro a tempo pieno nel 2020 hanno raggiunto la quota di 4’519, in crescita rispetto ai 4’481 del 2019 e i 4’479 del 2018. La quota complessiva delle donne ammontava al 25,5%. Da notare che 33 collaboratori sono stati impegnati all’estero in missioni legate alla sicurezza o alla formazione. L’anno scorso oltre 120 aspiranti hanno iniziato la loro carriera professionale presso l’Amministrazione federale delle dogane.
La ripartizione linguistica
Quanto alla ripartizione linguistica dei collaboratori, stando ai dati del 2020 il tedesco guida sempre e nettamente la classifica con il 59,2%, davanti a francese (26,1%), italiano (14,1%) e romancio (0,7%). Queste percentuali sono sostanzialmente stabili nel tempo, paragonandole a quelle dei due anni precedenti.
Centrale d’informazione
L’AFD ha una centrale d’informazione per il pubblico che può essere contattata via telefono componendo il numero 058-467.15.15 oppure via email utilizzando il modulo di contatto disponibile sul portale dogana.admin.ch. Nel 2020 la centrale d’informazione dell’AFD ha risposto a 48’274 email e a 242’653 chiamate telefoniche. Queste ultime in media sono state 882 al giorno e sono durate 3 minuti circa.
In trasformazione
Con il programma di trasformazione denominato DaziT l’AFD si appresta a diventare l’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC). Il nuovo orientamento consentirà all’AFD di adeguarsi alle esigenze del futuro (come l’aumento del traffico e del commercio) e di sfruttare nel contempo le opportunità offerte dalla digitalizzazione per continuare a svolgere adeguatamente i suoi compiti.