Il ricordo

Guido Locarnini, uomo e direttore aperto sul mondo

Il suo Corriere seppe aumentare costantemente la tiratura e gli introiti - Si è spento un maestro, legato ai principi di un giornalismo moderato, diretto e mai offensivo
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Enrico Morresi
Enrico Morresi
16.11.2019 06:00

Nato nel 1919, «maturato» al liceo dei Benedettini di Ascona, Guido Locarnini era rimasto lontano dal Ticino per tutto il tempo dei suoi studi di lettere e di diritto. La guerra l’aveva costretto nel 1939 a lasciare Heidelberg, a Berna aveva conseguito il dottorato, si era sposato e aveva lavorato per quasi quindici anni negli uffici della Corrispondenza politica svizzera, l’agenzia del padronato. Pochissimi intuirono che quel ticinese «d’in denta» era fatto di un’altra pasta dei baslottai luganesi - come «Libera Stampa» definiva il milieu sociale ed economico cittadino - e che, per essere stato vicino alla parte più illuminata della borghesia svizzera, coltivava idee politiche ed economiche avanti di vent’anni rispetto alla mentalità locale. Ma di lui ebbero fiducia Matilde Bonetti Soldati - che aveva ereditato da poco la presidenza della Fondazione per il Corriere del Ticino - e Amilcare Berra, che all’UBS si apprestava a diventare uno dei più dinamici protagonisti del boom economico ticinese. Nei primi anni Sessanta a Locarnini fu affidato il compito di preparare il «nuovo» Corriere del Ticino, dotato di strutture autonome per la redazione e la stampa, e nel 1969 gli fu affidata la direzione del giornale.

La fiducia

Alla redazione da lui guidata la Fondazione garantì un credito quasi illimitato, almeno fino alla crisi degli anni Ottanta (mi è così penoso ricordarla che mi permetto di rinviare il lettore al secondo volume della mia storia: «Giornalismo nella Svizzera italiana», da pagina 15 a pagina 22). La redazione la ripagò con un aumento costante della tiratura e degli introiti pubblicitari. Circa i rapporti di Locarnini con la Fondazione, so che le sue carte sono state riordinate da Giò Rezzonico alla sede del giornale, io non ho avuto ancora la possibilità di consultarle. Ma è probabile che l’eco delle vivaci contestazioni che la sua direzione riscuoteva nei circoli più retrivi (ma economicamente forti!) della piazza luganese trovasse un’eco durante le sedute cui solo il direttore era invitato. Di fatto, a noi, se temporali ci furono (ma non credo fosse mai grandine!), non ne piovve sulla testa che qualche spruzzo.

Il concetto di democrazia

La responsabilità era sua, e di alcuni episodi egli ci riferiva solo a cose fatte. Come quando una delegazione di svizzeri del Cile venne in Svizzera per convincere i giornali che Augusto Pinochet era molto meglio di Salvador Allende per gli interessi loro, di svizzeri del Cile (i quali con ogni probabilità in quel Paese non facevano i magütt). Ho detto loro - riferì Locarnini - che in Svizzera abbiamo un altro concetto della democrazia.

I brindisi al giornalismo

Il suo commiato dal giornale fu malinconico. Noi che eravamo stati i suoi «boys» continuammo ad andarlo a trovare nel suo bell’appartamento di via Berna, tutto ricoperto di scansie strabordanti di libri. Non di sola attualità, per altro: ricordo che molto si parlò di letteratura tedesca, anche di poesia. E anche del Corriere, come gli piacesse e forse di più gli dispiacesse. Si rendeva conto che la sua salute declinava ma superò di slancio il traguardo dei cento anni: i «suoi» di allora gli fecero una festa che lo lasciò quasi tramortito. Ci metteva a parte dei suoi piccoli segreti. La sua badante gli aveva proibito di accedere a un certo armadio sul fondo del quale nascondeva una bottiglietta di nocino. Si brindava al giornalismo sperando di non essere sorpresi, fino a un giorno in cui - si dice che il diavolo faccia le pentole ma non i coperchi - a me cadde un bicchiere per terra e la badante trovò il resto dei cocci che non eravamo riusciti a spazzare.

Gli insegnamenti

Caro Locarnini, ci hai insegnato a tenere la schiena diritta, a scrivere perché si capisse, argomentando senza offendere. «Signor Morresi - mi raccomandava - ai suoi articoli farebbe bene se tagliasse l’ultima frase», quella che a noi pareva tanto importante per chiudere convincendo. Parole sante, ovviamente mai rispettate. Il suo «boy» di allora - divenuto un vecchio sentenzioso, come capita quasi a tutti - oggi ricorda tutto questo con riconoscenza e commozione.

«Il passato è sempre la matrice del presente»

Il primo editoriale

Sull’edizione del 2 gennaio del 1969, il primo «Saluto» di Guido Locarnini quale direttore del CdT. Scriveva: «Tra qualche mese, redazione e tipografia, finalmente riunite, potranno sempre più strettamente collaborare in una nuova sede propria, valendosi di moderne attrezzature tecniche. Potranno così essere in grado di meglio rispondere alle nuove esigenze che il travolgente evolvere dei tempi moderni pone in termini sempre più perentori ai giornali, come a tutte le istituzioni pubbliche e private». Continuava: «Sono chiamato a operare su solide basi. Sono inoltre cosciente che qualsiasi mio disegno per l’avvenire che volessi oggi azzardare mi sarebbe impossibile senza il travaglio di chi mi precedette: il passato è sempre e ovunque la matrice del presente; senza la collaborazione di chi m’attornia: il presente è il futuro di ieri e il passato di domani». E concludeva: «Sono perciò sempre più per la condanna di ogni sorta di violenza, di ogni fanatismo, sciovinismo, o, peggio, personalismo polemico; per la condanna di ogni dottrinarismo che fatalmente svisa la realtà. Sono per il senso della misura, della relatività di fronte a ogni «causa», ad ogni «verità» che nella nostra professione ci è dato di incontrare».

Il commiato

Guido Locarnini scrisse il suo commiato venerdì 31 dicembre 1982. «Per un giornale, il consuntivo non è traducibile in termini essenzialmente quantitativi, in valori concreti, come lo è invece per un’azienda economica, un istituto bancario, o una finanziaria. La sostanza e il prodotto di un giornale sono infatti valutabili soltanto, o prevalentemente, in valori astratti: come le idee, le opinioni. Per un giornale indipendente, come vuol essere il Corriere, sono però le risultanze del loro confronto e della loro verifica a determinarne l’indirizzo politico: un’equazione imperniata sullo spirito di tolleranza e sul gioco libero e democratico della dialettica dei contrari che rinnovano e sostanziano la democrazia». Aggiungeva: «Sorretto da radicati e collaudati convincimenti, in un continuo impegno di lealtà, equilibrio e responsabilità di fronte ai lettori, ossia al «paese reale» e, ovviamente, all’editore che mi aveva concesso la sua fiducia, il giornale non ha esitato a denunciare, laddove l’interesse della comunità lo imponeva, preconcetti egoismi, manipolazioni ed abusi, privati o pubblici, che, se non portati alla luce del sole, se tollerati, fatalmente sviliscono le istituzioni e corrodono il viver civile». La chiusura: «Possa il nostro Corriere continuare a dare il suo piccolo contributo all’edificazione del mondo ideale di domani: quello cui da secoli l’uomo aspira, quello impostato sulla libertà degli individui e dei popoli, sulla tutela del diritto e della giustizia sociale, nel sogno irenico di ogni generazione: l’eliminazione della guerra e l’organizzazione della pace».

Il presidente

Fabio Soldati, presidente del Corriere del Ticino, ricorda così la figura dell’ex direttore della testata: «Di Guido Locarnini, al di là di quanto da lui fatto e ottenuto nei suoi anni di direzione, mi ha sempre impressionato la grande lucidità che traspariva anche in occasione degli scambi natalizi negli ultimissimi anni. Malgrado l’età ormai avanzata, rispondeva alle mie lettere con degli scritti di suo pugno, caratterizzati da un testo ancora impeccabile».

La storia

Le origini

Originario di Monte Carasso, nato a Bellinzona il 16 gennaio del 1919, Guido Locarnini studiò germanistica ad Heidelberg, prima di tornare in Svizzera nel 1939 e completare il dottorato a Berna. Ben presto cominciò ad occuparsi di carta stampata, dirigendo tra il 1950 e il 1960 la redazione di lingua italiana della «Corrispondenza politica svizzera». Fu tra i principali promotori dell’AITI. Giunse al Corriere nel 1966, chiamato negli uffici amministrativi per studiare e attuare una nuova struttura editoriale e tecnica; ne divenne quindi direttore nel gennaio del 1969, rimanendo in carica fino al 1982.

Oggi su La2

La RSI, questa mattina alle 11.30 su La2, diffonderà un ritratto di Guido Locarnini nella serie «Memorie del presente». Nell’intervista, curata da Maurizio Canetta, si ripercorreranno i suoi passi lavorativi e umani. Molti i temi trattati: l’infanzia, l’influenza della nonna tedesca, gli studi in Germania e poi il ritorno in Svizzera, con una prestigiosa carriera giornalistica.