La diretta

Hamas: «Preparavamo l'attacco da due anni»

I Paesi «alleati» sarebbero stati informati solo dopo l'inizio delle azioni militari
Red. Online
12.10.2023 16:30

Due anni di preparazione per l'attacco di Hamas a Israele con modalità top secret e con la data di inizio dell'operazione a conoscenza di pochissimi tra i vertici del gruppo islamico.

Lo rivela a Russia Today tv un dirigente di Hamas, Ali Baraka, secondo il quale anche i Paesi 'alleati' sono stati informati solo dopo l'inizio delle azioni militari.

In un'intervista diffusa dall'emittente l'8 ottobre, Baraka rivela che «si poteva contare sulle dita di una mano» il numero di dirigenti che sapeva con precisione il momento di inizio dell'attacco e che era assai ristretto anche il numero di coloro che sapevano dell'operazione.

Negli ultimi «due anni Hamas ha adottato un approccio razionale» in quanto «non è stato coinvolto in alcuna guerra e non si è unito alla Jihad islamica nelle sue recenti battaglie» e «tutto ciò è stato parte della strategia di Hamas nella preparazione di questo attacco», ha spiegato Baraka. La strategia, nelle parole del dirigente, è stata quella più in generale della disinformazia, di far credere che Hamas «fosse impegnato a governare Gaza» e che «avesse abbandonato del tutto la resistenza».

Totale riservatezza anche per gli amici di Hamas all'estero e per le altre fazioni palestinesi che «non conoscevano l'ora zero». Dagli Hezbollah libanesi all'Iran, dalla Turchia alla Russia, tutti sono stati informati a invasione iniziata, ha affermato Baraka. Dopo una mezzora «tutte le fazioni della resistenza palestinese sono state contattate come pure i nostri alleati Hezbollah e in Iran, sono stati avvertiti i turchi. Tre ore dopo, alle 9 si è tenuto un meeting con loro». Baraka sostiene che «abbiamo aggiornato chiunque ci abbia contattato. Anche i russi hanno mandato un messaggio e sono stati aggiornati sulla situazione e sugli obiettivi della guerra».

Il dirigente di Hamas ha parlato anche di eventuali scambi di prigionieri, riferendosi a detenuti palestinesi anche fuori da Israele, nei Paesi europei e negli Usa. «Ci sono prigionieri negli Stati Uniti. Li vogliamo. Naturalmente».

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