Assassinio a Venezia

Hercule Poirot si smarrisce in una notte horror in laguna

Nonostante l'ambientazione e l'ottimo cast, convince meno dei precedenti, il terzo capitolo della serie che vede Kenneth Branagh vestire i panni del celebre detective
© 20th Century Studios (Rob Youngson)
Antonio Mariotti
25.09.2023 06:00

Hallowe’en Party (titolo italiano: Poirot e la strage degli innocenti) è uno degli ultimi romanzi di Agatha Christie, pubblicato nel 1969 (quando la grande scrittrice inglese aveva 79 anni) e che non è considerato dai critici tra le sue opere migliori. Al momento dell’uscita le recensioni furono generalmente negative: sia la vicenda narrata che il personaggio di Hercule Poirot furono percepiti come «stanchi» e ci fu chi insinuò che il libro fosse il frutto della trascrizione pura e semplice di un testo registrati con un dittafono, tecnica effettivamente utilizzata dalla Christie alla fine della sua carriera. Viene quindi da chiedersi come mai - dopo gli ottimi risultati, coronati da grande successo, di Assassinio sull’Orient-Express (2017) e Assassinio sul Nilo (2022) - il regista-produttore-protagonista Kenneth Branagh e il suo sceneggiatore di fiducia Michael Green abbiano deciso, per la loro terza collaborazione, di adattare per lo schermo proprio questo romanzo «minore». Il motivo ufficiale è la volontà di esplorare la dimensione soprannaturale - non certo trascurabile - dell’opera di Agatha Christie, ma scavando un po’ più a fondo si ha l’impressione che, trattandosi di un testo relativamente poco conosciuto, ciò abbia permesso a Green, con il consenso del pronipote della scrittrice che è tra i produttori del film, di mettere pesantemente mano alla storia originale.

Innumerevoli cambiamenti

Rispetto al romanzo da cui è tratto, Assassinio a Venezia comporta infatti numerosi e importanti variazioni. Prima fra tutte l’ambientazione: Hallowe’en Party si svolge nella campagna inglese mentre il film punta sul fascino decadente della città dei Dogi. Anche dal punto di vista temporale le cose cambiano radicalmente: il film insiste sul fatto che siamo nel 1947 e che quindi, le drammatiche memorie di quanto accaduto nel corso della Seconda guerra mondiale sono ancora vivissime nella mente di alcuni personaggi. Questo giustifica, almeno in parte, un’altra novità riguardante il protagonista: Hercule Poirot si sarebbe infatti autoesiliato in laguna e avrebbe deciso di abbandonare la sua attività di detective proprio a causa del disgusto che il conflitto gli avrebbe suscitato nei confronti della natura del genere umano. Michael Green ha inoltre eliminato alcune figure presenti nel libro, ne ha trasformate altre e ha preso in prestito personaggi e situazioni da altre opere della Christie rendendo così la trama del film una creazione quasi del tutto originale. Perché no? Ci si potrebbe chiedere. Dopo due trasposizioni molto fedeli, il duo Branagh-Green aveva voglia di maggior creatività, si sentiva sufficientemente rodato per prendersi delle licenze poetiche di non poco conto.

Fantasmi e apparizioni

Tutto lecito per carità: tra letteratura e cinema i rapporti sono sempre stati molto intensi ma anche molto movimentati. Peccato che questo «ibrido» si riveli meno efficace di un classico firmato Agatha Christie. E ciò nonostante la grande qualità del cast che Branagh ha come sempre riunito attorno a sé e nonostante la sua maestria nel gestire una vicenda che (altra differenza rispetto al romanzo) si svolge nel corso di un’unica notte, ovviamente di tempesta, all’interno di un palazzo storico veneziano ricostruito in studio, dove fantasmi e apparizioni non mancano all’appello La dimensione horror è quindi uno dei cardini di Assassinio a Venezia, con tanto di effetti sonori e visivi tipici del genere, ma proprio questo aspetto (che ha una sua precisa motivazione che non è il caso di svelare) finisce con il confondere le carte, appannando le consuete chiarissime deduzioni logiche di Poirot. Lo spettatore si trova dunque un po’ spiazzato, poiché fa fatica ad elaborare una propria teoria riguardo alla serie di misteriosi omicidi che sono al centro della vicenda, per poi confrontarla con le conclusioni del celebre detective. Un peccato perché così viene a mancare uno dei fondamentali meccanismi narrativi del giallo. Non sappiamo se l’eclettico Branagh abbia l’intenzione di proseguire su questa strada, ma se così fosse non resta che consigliargli di tornare ad essere fedele allo spirito di Agatha Christie. Non è un caso che sia ancora oggi la scrittrice di maggior successo di tutti i tempi.