«Ho dovuto lasciare i miei studi di teologia per arruolarmi nell’esercito»

Editorialista ucraino, blogger politico, ex caporedattore di Petr e Mazepa. Ma anche co-fondatore di un partito-milizia ultranazionalista e filoeuropeo, Demokratychna Sokyra, «ascia democratica» volendo tradurre alla lettera, che a suo tempo era andato muso contro muso con il governo Zelensky. Victor Tregubov, da una settimana e oltre, sta vivendo sotto il peso delle bombe e dell’invasione russa. Resiste, come tutti. E spera che la guerra, questa maledetta guerra, finisca. Lo abbiamo intervistato.
Innanzitutto, la domanda più scontata: come sta la popolazione? Immaginiamo quanto possa essere impaurita. Ed esausta, prigioniera com’è degli attacchi russi. Allo stesso tempo, però, nessuno è disposto a cedere.
«La popolazione mi rende davvero orgoglioso. Sta mostrando lo stesso atteggiamento di Maidan. Gli ucraini sono inclini alle liti interne, ma possono fare miracoli nei periodi di crisi. E fare dell’auto-organizzazione un’arte. A Kiev, dove mi trovo, ognuno conosce il suo posto nel piano di difesa e sa esattamente cosa deve fare. Non stiamo solo tenendo duro. Stiamo anche combattendo».
È opinione comune, in Occidente, che l’Ucraina sia divisa in due e che il fiume Dnepr faccia da barriera interna. Da una parte i filorussi, dall’altra chi guarda all’Unione Europea. Quanto è semplicistica questa visione, considerando ad esempio che il presidente Zelensky è cresciuto nell’est del Paese parlando russo?
«Tutti i nostri presidenti, e quando dico tutti intendo letteralmente tutti, erano russofoni nei primi anni. La maggior parte di loro, poi, proveniva dalle regioni orientali. Solo Yanukovich, però, varò una politica filorussa. Non fu comunque una decisione facile per lui. La divisione applicata dall’Occidente, ad ogni modo, è troppo semplicistica. Innanzitutto, è più un discorso nord-ovest contro sud-est. In secondo luogo, ci sono alcune sfumature in alcune province. Infine, le simpatie filorusse erano in diminuzione già prima della guerra. Non solo, le differenze nel popolo ucraino erano e sono legate all’età, più che alla provenienza geografica. Tutto ciò, adesso, è quasi scomparso. La guerra ha cambiato orizzonti e priorità. Come recita il proverbio, una pallottola può cambiare la testa anche se colpisce un’altra parte del corpo».
In generale, i riflettori sull’Ucraina si accesero nel 2014 con l’annessione della Crimea da parte della Russia e la guerra in Donbass. Da allora, tuttavia, quasi nessuno ha più parlato del conflitto. Come mai? O meglio: ci voleva un’invasione russa affinché l’Unione Europea e gli Stati Uniti si interessassero alla causa ucraina?
«Dovreste chiederlo ai politici europei e americani. A suo tempo, rimanemmo tutti sotto shock. Avevamo una guerra in casa, nel nostro Paese, mentre i russi sostenevano che non c’era nessun conflitto e che non erano nelle regioni contestate. E l’Occidente, beh, disse che non bisognava saltare troppo presto alle conclusioni. Da una parte, insomma, c’era la propaganda russa ma dall’altra, ecco, molti politici europei scelsero di ignorare la realtà. E lo hanno fatto fino all’ultima linea rossa. Ancora oggi, da qui, è divertente sentire i giornalisti stranieri dire: oh, è triste che sia scoppiata la guerra. Per l’amor del cielo, siamo in guerra dal 2014. Ho perso la casa di mio nonno in Crimea, molti miei amici sono diventati rifugiati nel mio stesso Paese, ho dovuto lasciare la mia carriera e i miei studi di teologia per arruolarmi nell’esercito e, dopo otto anni, questi falchi si sono accorti che c’è una guerra. Meglio tardi che mai, per carità. Ora però mi aspetto sanzioni rapide dall’UE e dagli Stati Uniti. Almeno lo spero».


Pochi giorni fa ha pubblicato un articolo sul Kyiv Independent nel quale spiegava agli stranieri «cosa bisogna fare per aiutare l’Ucraina». Ha pure messo in guardia l’Occidente circa la disinformazione russa. Quanto la spaventa questa cosiddetta guerra ibrida?
«La situazione era complicata, quasi impossibile, nel 2014. Il problema erano i media: la Russia, per il pubblico straniero, aveva una serie di canali dal budget annuale paragonabile a quello di una piccola nazione; noi invece avevamo poco o nulla. Paradossalmente, adesso va molto meglio. Le risorse di soft power della Russia sono state screditate mentre la nostra voce, finalmente, può essere ascoltata. Alcuni problemi persistono: i russi, ad esempio, ci definiscono razzisti. Non è vero».
L’Ucraina, in effetti, sta vincendo la guerra sul fronte dell’informazione e dei social. E non è solo merito di Zelensky.
«Il potere di Mosca in questo campo è sceso notevolmente. Anche se analizziamo la copertura della guerra sui vari social, compresi quelli russi, sembrerebbe che l’Ucraina abbia già vinto la guerra dell’informazione. Giorni fa la Russia ha lanciato l’hashtag #Z per promuovere gli sforzi bellici dell’esercito. Ma gli ucraini lo hanno usato per riempire le pagine russe con questo hashtag con foto e video che ritraevano soldati russi morti o fatti prigionieri. Eppure, la Russia aveva un potere formidabile. Possibile si sia fatta fregare così? Suppongo che il degrado generale dei sistemi statali russi potrebbe avere giocato la sua parte».
L’Ucraina insiste anche sul piano semantico e linguistico: bisognerebbe scrivere Kyiv e non Kiev. Giusto?
«Oh, sì. Kyiv è come si pronuncia in ucraino. Kiev è come si pronuncia in russo. Troviamo un po’ scortese quando gli stranieri usano la versione non ucraina”.


Lei ha co-fondato un partito ultranazionalista, considerato di estrema destra se non eversivo. Tant’è che Zelensky, prima della guerra, aveva apertamente parlato di un vostro tentativo di far cadere il governo. Il conflitto vi ha riavvicinati?
«Né io né il mio partito siamo mai stati suoi grandi fan, ad essere sinceri. Ma in questi giorni il presidente sta usando il suo talento al massimo, e sta andando alla grande. Ispira non solo gli ucraini, ma anche gli stranieri, ed è questo che ammiro».
Venendo alla costellazione politica ucraina, quanto è unita – verso l’UE – l’attuale classe politica? C’è ancora qualcuno che, nonostante l’invasione, guarda verso Mosca?
«Anche i russofili più ferventi hanno condannato l’invasione. La posizione più vicina a Mosca che puoi avere, oggi, è più o meno questa: in caso di negoziazioni serie, siamo pronti a un compromesso. Quando ti trovi sotto il fuoco dei missili, non puoi simpatizzare per l’invasore».
Sarà possibile, un giorno, tagliare ogni legame commerciale con Mosca?
«Non vedo grossi problemi al riguardo. In parte, era stato fatto già prima di questa escalation. Spero che i legami rimanenti verranno tagliati. Come politico, mi impegnerò per accelerare questo processo».
Se si tappa le orecchie per non sentire le bombe e, soprattutto, chiude gli occhi come si immagina l’Ucraina del futuro? Sarà libera o sotto l’ala di Mosca?
«Sarà libera. E di nuovo unita. Io potrò finalmente visitare e ricostruire la casa di mio nonno a Donetsk. I miei amici potranno tornare a Donetsk e Gorlivka. Sarà un’Ucraina pacifica. E farà parte della famiglia europea, oltreché della cintura di sicurezza della NATO. Infine, non dovrà più preoccuparsi di qualche pazzo al potere in uno dei Paesi confinanti».

