Lugano

«I cittadini si facciano sentire per risolvere il problema della violenza giovanile»

Don Emanuele Di Marco sui recenti fatti di cronaca capitati in Città: «L'emergenza è reale e va affrontata al più presto per cercare soluzioni condivise tra abitanti e autorità»
L’ultima grave aggressione in centro è accaduta venerdì notte ai danni di un 19.enne. (FOTO GABRIELE PUTZU)
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
05.08.2025 06:00

È un don Emanuele Di Marco (per tutti semplicemente don Ema) preoccupato ma al tempo stesso speranzoso quello che commenta - da cittadino del centro e antenna del quartiere - i ripetuti fatti di violenza contro le cose e le persone che soprattutto al weekend - gli ultimi due episodi, una rissa alla pensilina dei bus che venerdì notte ha portato al ferimento di un 19.enne da parte di due 18.enni e di tre minorenni e un vandalismo perpetrato sabato notte a una statua al parco Ciani - stanno diventando la norma a Lugano. O meglio in una parte ben specifica della città, nella zona «tra via Cantonale, corso Pestalozzi, la pensilina dei bus e il quartiere Maghetti», precisa, lui che vive nel Centro San Giuseppe e gli è capitato più volte di assistere «a grandi situazioni di degrado». La lista è lunga. E come ha anticipato ieri Ticinonews si è «arricchita» anche di due altre risse avvenute sabato notte a Lugano Marittima. «Risse, muri imbrattati, vandalismi, lanci di bottiglie dentro ai cortili, feci e vomito negli spazi privati e pubblici…», tanto che don Ema ha ormai preso l’abitudine di staccare anche i campanelli dei citofoni per non essere svegliato inutilmente nel cuore della notte. «Gli abitanti del centro sono preoccupati e lo sono anche io», sottolinea, amaro. «Abito in centro da undici anni e negli ultimi c’è stato un declino abbastanza significativo, è innegabile», continua. «Chi si alza presto la domenica mattina, come capita a me, si rende subito conto che la situazione è da campo di battaglia».

Ormai, secondo il prete, questa è realtà dei fatti e come tale va affrontata. Come? «Sicuramente la presenza di qualcuno che garantisca la sicurezza potrebbe aiutare - risponde -. C’è però anche da chiedersi se la scelta strategica di avere certi locali così vicini con determinate attività che proseguono anche al momento e dopo della chiusura sia una scelta ideale». Ma non è tutto. «Penso che sia giusto che possa dire la sua e intervenire anche chi abita in centro, chi vuole bene al centro, chi ama Lugano davvero», specifica don Ema, che in questo senso mette una proposta sul tavolo: coinvolgere maggiormente i cittadini, ascoltare quello che hanno da dire e proporre. «Penso che innescare questa dinamica, che sembra da piccolo paese, può funzionare anche in una città grande come Lugano, perché, alla fine, la città è fatta dai cittadini e quindi i cittadini sono i primi che possono dare e dire qualcosa di buono».

Chi ha fatto tanto per i giovani e per l’oratorio di Lugano come don Ema, che dal prossimo 6 settembre condurrà il Seminario diocesano, immagina dunque un tavolo di discussione e di lavoro per affrontare e risolvere il degrado del centro cittadino prodotto soprattutto da «alcuni giovanissimi», che non inquieta solo gli abitanti del quartiere, ma anche chi dal centro ci deve passare, come chi prende il bus o vuole tornare a casa la sera. «Molte famiglie ormai sconsigliano ai loro figli di passare di notte da quelle zone -spiega - stessa cosa gli anziani: ormai non si sentono più sicuri e preferiscono prendere un taxi piuttosto che andare alla pensilina dei bus».

«È tempo di agire»

È tempo di agire, insomma. Ma agire subito. Don Ema è convinto. «Non si può più rinviare, il momento di riflettere su quali siano le soluzioni da mettere in campo è arrivato». Come dire, il limite è stato abbondantemente superato. «La sera del primo agosto all’interno del cortile del Centro San Giuseppe è stata lanciata una bottiglia piena di vino bianco. Non è la prima volta che accade. Ma mi chiedo: e se avesse colpito qualcuno? Magari una famiglia che stava andando a vedere i fuochi? Se si arriva a questo punto, vuol dire che siamo già con una febbre abbastanza alta».

Agire come comunità. È questa la risposta che vede don Ema. «Invito i cittadini del centro a farsi sentire, a trovarsi, a discutere tutti assieme, perché è anche così che si possono trovare soluzioni». Il prete non usa il plurale a caso. «Se siamo arrivati a questo punto, se non è più un episodio singolo, se bisogna staccare i campanelli, se non si può più stare in giardino, se devo spostare l’ape perché me la vandalizzano ogni volta, se tutto questo è diventata la normalità, allora bisogna chiedere a chi abita in centro se questa normalità è giusta, se è la normalità che si aspettavano, se è questa la normalità che corrispondeva alla città in cui hanno voluto vivere».

Partecipazione. Potrebbe essere anche questa una delle parole chiave. «Sulle forme esatte si può ovviamente riflettere. Non per forza occorre passare da delle assemblee. L’importante è che venga data dalla Città la possibilità di esprimersi, magari online o attraverso degli sportelli. Se venisse data questa possibilità alla popolazione penso che si otterrebbe un grande valore per la Città. La Città che ascolta i suoi cittadini è una delle espressioni più alte della partecipazione civile».

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