I follower della finanza

Il giornalismo economico-finanziario gode di buona salute, al contrario di tanti suoi cugini. E il ritorno all’utile del Gruppo Sole 24 Ore, dopo 14 anni, sembra confermarlo. Di sicuro i media centrati su questi temi sono fra i pochi ad essere percepiti come ‘necessari’, insieme a quelli che propongono notizie locali e ad alcuni di opinione. Ma chi è nel 2023 che legge il Sole 24 Ore ed in generale è interessato all’argomento?
Sole
Andando oltre i bollettini della vittoria, si può dire che il Sole 24 Ore nella testa di tutti, insomma il giornale cartaceo, sta andando male come del resto quasi tutti i giornali, se non si tiene conto della loro versione digitale o direttamente del sito. In gennaio, secondo le rilevazioni ADS, il Sole 24 Ore ha venduto 94.191 copie fra cartacee (23.506 in edicola e 11.935 in abbonamento, in totale circa 13.000 in meno rispetto al pre Covid, tre anni fa) e digitali. Dieci anni fa il totale era di 230.066, nel gennaio 2003 invece di 383.892: non andiamo più indietro perché negli anni Novanta internet non era certo un fenomeno di massa. Chiunque sia entrato all’epoca, intendiamo a inizio millennio, in una banca italiana ha un sospetto: che quelle vendite fossero trainate da abbonamenti che le banche in ogni loro filiale assicuravano, anche con 4 o 5 copie per filiale. Nel citato 2003 gli abbonamenti erano addirittura 162.545, il 42,3% del totale: un dato che in Italia, dove quasi nessuno si fa mandare i giornali per posta, è assurdo. Pubbliche relazioni? Chiamiamole così. Ma tornando al Sole di oggi, i 211,6 milioni di euro di ricavi annuali dipendono per 90,8 milioni dalla pubblicità (che riguarda anche il sito web e Radio 24, quella della Zanzara di Cruciani e Parenzo) e per 98,6 dall’attività editoriale propriamente detta. Insomma, senza le grandi e medie aziende la situazione sarebbe tragica: da ricordare che il 60% del gruppo è di proprietà di Confindustria, quindi tanti investimenti pubblicitari sono caldamente consigliati.
Motley Fool
Contestualizzata la situazione con questi dati, si può comunque dire che i media economico-finanziari stiano tenendo, visto che nel 2022 anche il più piccolo (79,65 milioni di ricavi) Class Editori, famoso per Milano Finanza, Capital (icona anni Ottanta, quando era della Rizzoli) e appunto Class, ha fatto registrare un utile. Se dalla lotta per lo scudetto passiamo alla Champions League i numeri ovviamente cambiano: il Wall Street Journal di Murdoch veleggia sui 4 milioni di copie, di cui 3 digitali, il Financial Times ora dei giapponesi vale circa la metà e il più grande di tutti è Bloomberg che fra le mille cose pubblica anche giornali ma che soprattutto è un’agenzia di informazioni per professionisti e pubblico evoluto, parliamo di 12 miliardi di dollari di fatturato annuale. Questa è per molti aspetti la vecchia informazione finanziaria, pur autorevole fra un endorsement sospetto e l’altro, mentre quella nuova viaggia esclusivamente sul web e nei casi di successi è un misto fra giornalismo, con post piuttosto sintetici e consigli da analista finanziario della porta accanto: dalla pandemia con tanto denaro facile è uscito ingigantito il ruolo di questi siti indipendenti, come Motley Fool, ma anche di singoli guru con il loro canali YouTube, Telegram, eccetera. Ma chi è che li segue?
GameStop
Ad un consistente numero di operatori finanziari tradizionali, quelli che una scorsa al Wall Street Journal la danno sempre, si affianca il popolo dei trader fai-da-te, presi in giro dai media tradizionali ma che non sono peggio del medio consulente finanziario: in un mercato rialzista tutti guadagnano, in uno ribassista o incerto no. La vicenda GameStop è stata la grande battaglia di questi pesci piccoli contro la finanza tradizionale ed ha segnato anche un punto di non ritorno per l’informazione finanziaria. In sintesi: ci sono milioni di investitori che ritengono che le banche non facciano i loro interessi e che i media «vecchi» li ingannino, così ognuno di loro ha una serie di fonti di cui fidarsi, ma non il giornale autorevole di una volta. Un trader nemmeno troppo creativo legge le analisi di Morningstar, le quotazioni ufficiali, qualche sito americano più o meno pay, e poi ha i suoi opinionisti di riferimento. Senza fare i soliti esempi di oltre oceano, per i trader di lingua italiana sono nomi conosciuti quelli di Alfio Bardolla (finanza in generale), Enrico Malverti (più centrato sull’analisi tecnica), Giuseppe Gatti (per chi punta sull’immobiliare), Lixi Invest (sulla finanza in senso stretto, con Luca Lixi come frontman), Gabriele Bellelli (centrato sugli ETF) e non più di una decina di altri. Tutti a loro modo sono personaggi, tutti partono da un presupposto giusto: la banca fa gli interessi della banca stessa. È una cosa ovvia ma la sudditanza psicologica del cliente finanziario è materia ben nota agli addetti ai lavori. Sì, ma i consigli? Vale la regola della nonna: nessuno che conosce il segreto per arricchirsi te lo rivela. Però analisi centrate possono aiutare a prendere decisioni con la propria testa.
Follower
Chi è oggi il lettore di giornali e siti di informazione finanziaria? Di sicuro un investitore fuori dal giro delle notizie in anteprima ed esclusiva, cioè dell’insider trading, un investitore che al tempo stesso è leader (ha il mito dell’indipendenza e della libertà) e follower, perché anche i siti di nicchia forniscono una informazione unidirezionale. E anche le chat di ultranicchia non sono meglio, visto che nella maggior parte dei casi ci si limita a citare le strategie e le analisi di quelli «veri». Buy, Sell, Hold. Ecco, a proposito di quelli veri, Warren Buffett nei suoi 70 anni da investitore ha avuto un rendimento medio del 15%, una cosa eccezionale se paragonata all’inflazione, ma molti trader improvvisati il 15% lo vogliono fare in un giorno, addirittura con il mitologico scalping, l’apertura e chiusura di posizioni in pochissimo tempo sfruttando alcune tendenze. Come in tanti altri settori, l’intelligenza artificiale spazzerà via tanta incompetenza.
Cripto
Se il trading tradizionale è aperto a tutte le persone che abbiano tempo, soldi e qualche minima nozione di matematica, non altrettanto di può dire di chi opera nel mondo delle criptovalute. Qui il profilo tracciato dalla Consob dopo un sondaggio è molto preciso: uomo, nell’84% dei casi, con una elevata propensione al rischio (50% contro il 26 di chi investe in normali azioni), con una costante sopravvalutazione (nel 35% dei casi) delle proprie competenze, quella overconfidence che porta alla rovina più dell’ignoranza. Uscendo dal mondo cripto, l’investitore tipo di area italiana (insomma, quello cresciuto con il mito del Sole 24 Ore) è ancora più definito: di sesso maschile nell’87% dei casi, con un’età di 36 anni, con una media di 17 transazioni all’anno (un po’ poche per definirsi trader) e una scelta che va di solito a parare sui titoli di cui si parla di più: Meta fra quelli stranieri e Telecom fra quelli italiani. Interessante è che negli ultimi tre anni il numero dei trader sia aumentato di quasi il 30%. A tutti è comunque chiaro che più che le competenze servano le notizie, quelle che possono battere il trading algoritmico. Più facile arricchirsi con le conoscenze giuste che perdendo la vista su un grafico, discutendo in chat di supporti e resistenze.