Giornalismo

I media sono sotto attacco, e la Svizzera non fa eccezione

La riflessione in vista della Giornata internazionale della libertà di stampa, in programma sabato - Frediani: «Importante regolare l’IA» - Di Salvo: «Nel settore serve maggiore consapevolezza»
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Paolo Galli
30.04.2025 06:00

«C’è una spia in redazione». È il titolo dell’incontro andato in scena ieri sera all’USI in vista della Giornata internazionale della libertà di stampa, prevista per il 3 maggio. Ospiti per l’occasione erano Carola Frediani, esperta di sorveglianza e cibercrimine, e Philip Di Salvo, docente all’Università di San Gallo. A margine dell’incontro, abbiamo intervistato entrambi i relatori. «Oggi la sorveglianza è facilitata da una quantità di strumenti tecnologici che sono usati prevalentemente dai governi, ma in alcuni casi anche da gruppi privati che offrono come servizio la rivendita di informazioni confidenziali», spiega Carola Frediani. «Questo mette a rischio i media e i giornalisti soprattutto in Paesi non democratici e illiberali. Purtroppo però negli ultimi anni abbiamo visto emergere casi di abuso di alcuni di questi strumenti - come gli spyware - contro politici, attivisti e giornalisti in Paesi democratici, Europa inclusa». E la Svizzera non è esclusa dal fenomeno. «Il “rischio spionaggio” - da Stati o da privati - è piuttosto diffuso per i media e chiunque maneggi informazioni riservate d’interesse. Per quanto riguarda la Svizzera non sappiamo molto dell’uso di spyware, anche se i tentativi di accedere a informazioni al riguardo sono stati bloccati. Va detto che esiste un uso investigativo di questi strumenti per indagare su reati gravi, e anzi, di solito, è questa la motivazione per cui gli Stati acquistano, da società private, spesso estere, spyware e altre tecnologie di indagine. Il problema è la mancanza di trasparenza e di controllo su come vengono usati e su possibili abusi».

La disinformazione

A proposito di rischi, c’è anche quello legato alla disinformazione. I media oggi sono esposti anche a questo. Carola Frediani argomenta: «Sì, oggi i media sono in difficoltà anche perché convivono con un ecosistema informativo saturo e polarizzato, in cui l’obiettivo è catturare l’attenzione degli utenti. In più, a questo si sovrappone la diffusione di disinformazione e propaganda da parte di molteplici attori. Secondo me il problema principale non sono le cosiddette fake news, ma come questo ecosistema generi un senso di sfiducia e incredulità che investe anche la buona informazione. Lavorare sul rapporto di fiducia coi lettori è una priorità». E all’orizzonte c’è l’intelligenza artificiale. Un’insidia o piuttosto un’arma di difesa in più? «L’IA è un tema vastissimo che tocca ambiti diversi. In estrema sintesi, penso che il concetto sia che va regolamentata. Non può essere lasciata al mercato e alla grancassa dei suoi venditori, proprio perché questi sistemi vanno a toccare il pieno godimento dei nostri diritti. Bene ha fatto l’Unione europea a fare un regolamento per valutare i rischi dell’AI e gestirli».

I dubbi e le preoccupazioni

Philip Di Salvo ripone l’accento sugli attacchi informatici contro le testate giornalistiche e i giornalisti, «che possono avere finalità diverse, a seconda di chi li sferra. In linea generale, però, si tratta di attacchi intimidatori - spiega il professore dell’Università di San Gallo -, volti a spaventare, silenziare o interrompere le attività giornalistiche. In molti casi, l’obiettivo è risalire direttamente alle fonti dei giornalisti, specialmente quando ci si trova di fronte a inchieste. Gli impatti possono essere molto seri in termini di libertà di espressione, specialmente in contesti dove le libertà democratiche e dei media non sono garantite. Dalla mia ricerca è emerso come vi sia anche una componente psicologica importante: le tecnologie di sorveglianza più avanzate agiscono senza lasciare traccia della loro presenza e questo genera dubbi e preoccupazioni, lasciando ai giornalisti il dubbio di essere stati compromessi o no». Le difese variano a secondo del modello di rischio dei singoli giornalisti. Chiaramente, chi si occupa di inchieste che riguardano la sicurezza nazionale, fa notare ancora Di Salvo, è esposto a rischi differenti rispetto a chi si occupa di cronaca locale o arte. «I potenziali “avversarsi” cambiano, così come anche i mezzi a loro disposizione. Non tutti i giornalisti e le giornaliste devono comportarsi allo stesso modo, ma vi sono minimi accorgimenti di sicurezza che possono mitigare i rischi, come il tenere i dispositivi elettronici sempre aggiornati o compartimentalizzare questi ultimi. Il telefono che si usa per parlare con le fonti più confidenziali dovrebbe essere usato solo per quello, così da non collegarlo ad altre attività online, riducendone anche l’esposizione».

Che cosa chiedere alla politica?

È lecito aspettarsi determinate azioni anche da parte della politica. Azioni di difesa congiunte, diciamo così. «I media devono chiedere interventi di regolamentazione sul mercato della sorveglianza, che al momento è molto poco normato e lasciato libero di operare senza grandi controlli. Allo stesso modo, i governi devono essere trasparenti per quanto riguarda il loro stesso utilizzo delle tecnologie di sorveglianza. In Italia, ad esempio, a mesi dall’esplosione dello scandalo Paragon, non si è ancora fatta chiarezza su chi sia stato a mettere sotto sorveglianza il telefono di un giornalista. Questo, in democrazia, non è accettabile. Mi permetto di dire che serve ancora molta più consapevolezza nel settore giornalistico stesso, perché la maggior parte dei professionisti non ha una preparazione nemmeno minima di fronte a questi rischi. Servirebbe, come sempre, anche più solidarietà di categoria quando questi scandali vengono alla luce». C’è anche la minaccia derivante da troppa informazione, da troppe comunicazioni. Il riferimento, naturalmente, è in special modo a Donald Trump, alla pioggia di comunicati, conferenze stampa, post, tweet: una vera e propria strategia di caos informativo. «Il caos informativo è una forma di propaganda politica e certamente serve a dirottare l’attenzione dei media e a tenerla sempre sotto scacco. Io credo che la difesa migliore di cui dispone il giornalismo in questo senso sia dare il giusto nome alle cose: chiamare l’autoritarianismo per quello che è, senza imbarazzi né tentennamenti. La libera stampa è sotto pressione anche in Europa e le nuove destre non hanno mai nascosto i loro sentimenti anti-giornalismo, ne hanno anzi fatto uno dei loro maggiori cavalli di battaglia».

Pluralismo sotto attacco

Ieri la sezione europea della ONG Liberties ha presentato il nuovo rapporto su libertà di stampa e pluralismo dei media. Valori considerati «in forte declino in tutta l’Unione europea». Insieme alle deboli norme sulla trasparenza della proprietà, alla crescente influenza del governo sui media pubblici e alle minacce contro i giornalisti, la libertà e il pluralismo dei media sono «sotto attacco in tutta l’UE e, in alcuni casi, in una battaglia esistenziale».