Territorio

I produttori pensano al dopo LATI: «Un caseificio a misura del Ticino»

Le priorità del settore dopo la chiusura dell’azienda di Sant’Antonino - A corto termine, il latte in eccesso continuerà a essere trasferito oltre San Gottardo - A lungo termine, invece, si vorrebbe riportare la trasformazione in Ticino - Avviato uno studio di fattibilità
©Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
13.02.2024 06:00

Tre settimane fa, l’annuncio della chiusura della LATI. «Nel frattempo abbiamo avuto una serie di incontri, anche con il Cantone, per capire come muoverci e organizzarci». Andrea Bizzozzero è vicepresidente della Federazione ticinese produttori di latte. «Ci sono priorità a corto termine e progetti futuri, che però non vedranno la luce tanto velocemente».

Il colpo assestato al settore è di quelli pesanti. Entro metà 2024, la LATI chiuderà i battenti. Poi, i produttori ticinesi di latte dovranno trovare soluzioni alternative. «Non vogliamo ripetere gli errori del passato. Ora dobbiamo capire che cosa è realmente sostenibile», commenta Bizzozzero. «Stiamo lavorando, ma per i grandi progetti si dovrà attendere».

La soluzione più semplice

Come noto, su un totale di circa 6 milioni di litri di latte ticinese, una metà già oggi viene trasferita nella Svizzera centrale, mentre l’altra metà viene lavorata dalla LATI. Con la chiusura dell’azienda di Sant’Antonino a giugno 2024, rimane un grosso interrogativo: che ne sarà di questi 3 milioni di litri di latte? Una parte - circa 1,6 milioni di litri - verrà riassorbita dal Caseificio del Gottardo, che rileverà la produzione dei formaggi semiduri. «L’incognita riguarda gli altri 1,4 milioni di litri». Una soluzione va trovata al più presto, e questa, inevitabilmente, dovrà tenere conto dei costi di trasporto. «Un’azienda di medie dimensioni che produce 20.000 litri di latte al mese, in Svizzera interna, spende circa 300 franchi di trasporto; in Ticino ne spende 2.000. Troppi». Con il latte a 60 centesimi al litro, i margini si riducono drasticamente, commenta Bizzozzero che non nasconde una certa preoccupazione. Al momento, l’opzione del trasferimento del latte oltre San Gottardo rimane la pista più sicura: «La Federazione sta riflettendo su come gestire la parte di latte in eccesso». Spiega ancora Bizzozzero: «Se un giorno abbiamo 27 mila litri di latte da consegnare in Svizzera interna, ma il camion è limitato a 24 mila litri, per contenere i costi di trasporto dovremo distribuire la parte eccedente di latte coinvolgendo i piccoli trasformatori sul territorio cantonale».

Niente stoccaggio alla Fela

«L’idea di un centro di stoccaggio intermedio del latte alla Fela di Cadenazzo è tramontata», spiega ancora Bizzozzero. «Per avviare l’attività servirebbe un capitale iniziale che oggi manca». Inoltre, dal profilo tecnico, l’operazione dovrebbe superare una serie di ostacoli. La presenza di concimi e prodotti fitosanitari, oltre alla presenza nell’aria di polveri di cereale, renderebbero lo stoccaggio del latte, all’interno del centro Fela, problematico. Inoltre, spiega Bizzozzero, la gestione di un centro di stoccaggio intermedio in Ticino andrebbe a incidere ulteriormente sui costi del latte a carico dei produttori. «Meglio mandare il latte in Svizzera interna».

Due segmenti di mercato

Guardando al futuro, invece, le riflessioni su un possibile ritorno della filiera del latte in Ticino sono già avviate: «Non vogliamo correre. Il progetto deve essere finanziariamente solido e con prospettive di mercato certe», commenta Bizzozzero. Alcuni punti, già oggi, sono imprescindibili: «La struttura dovrà essere molto più agile e avere costi di gestione inferiori all’attuale LATI. Serve un caseificio a misura del Ticino, con un casaro e al massimo altre due o tre persone». Tendenzialmente potrebbero trasformare 1,5 milioni di litri di latte all’anno, ossia quel volume per il quale oggi occorre trovare soluzioni alternative. Soprattutto si dovrà riflettere sulla tipologia di prodotti da portare sugli scaffali della grande distribuzione. «Il territorio ticinese è geograficamente limitato. Non possiamo pensare a un’economia di scala. Né possiamo limitarci a un prodotto di nicchia, tendenzialmente caro». La maggior parte delle persone vuole un prodotto genuino ma che costi poco, commenta Bizzozzero. Da una prima analisi di mercato, i prodotti che potrebbero garantire la sostenibilità finanziaria, a certe condizioni, sono il latte pastorizzato e il formaggio fresco a lunga scadenza.

Progetto di fattibilità

«Per essere distribuito nella rete della grande distribuzione, il formaggio fresco deve avere una conservabilità di almeno 15 - 20 giorni». Serve quindi un impianto di trasformazione adatto. «Con il Cantone abbiamo avviato una verifica della sostenibilità economica del progetto», osserva Bizzozzero.

L’altro prodotto su cui la Federazione intende puntare, come detto, è il latte pastorizzato. «Anche in questo caso, però, non possiamo improvvisarci dall’oggi al domani». La distribuzione del latte pastorizzato ticinese non sarà quindi né per questo anno, né per l’anno prossimo. «Impianti di pastorizzazione che non costano molto sul mercato esistono, ma non sono adatti per una produzione che guarda alla grande distribuzione». Insomma, è meglio attendere e presentare un progetto solido che possa attrarre investitori. Una cosa è certa: la Federazione dei produttori di latte, da sola, non potrà sostenere l’onere finanziario. «Non possiamo costruire da soli il caseificio. Semplicemente non abbiamo la forza finanziaria. Servono soldi. Servono investitori. Siamo interessati a partecipare, ma sarà necessario coinvolgere altri partner».

Oggi, insomma, è il momento delle discussioni e del confronto, consapevoli che «sarà difficile che si concretizzi qualcosa prima di 3 - 5 anni». Del resto, il mercato del latte, soprattutto in Ticino, non perdona. «Occorre muoversi con piedi ben saldi».

«Siamo interessati a sostenere iniziative simili»

«La richiesta da parte del consumatore per prodotti regionali c’è ed è in aumento. Pertanto siamo naturalmente interessati a sostenere iniziative volte a riportare la trasformazione del latte in Ticino». Così il portavoce di Migros Ticino Luca Corti, sollecitato dal CdT. «Anche in futuro saremo pronti a offrire uno smercio di prodotti ex LATI, così come del latte pastorizzato nostrano». Un interesse manifestato anche da Coop: «La domanda di prodotti regionali è notevolmente aumentata. Pertanto, in linea di principio, potremmo considerare l’inclusione del latte ticinese nel nostro assortimento», osserva la portavoce Francesca Destefani. In ottica futura sarà tuttavia fondamentale mantenere al centro di ogni strategia commerciale la domanda del consumatore, sottolinea, dal canto suo, Corti: «Sarebbe un errore produrre solo quello che, senza conoscere il mercato reale, si spera illusoriamente di vendere». Nel concreto, c’è dunque spazio, sugli scaffali della grande distribuzione ticinese, per il latte pastorizzato nostrano e il formaggio a pasta molle? «Assolutamente sì», chiosa Corti. «La gamma proposta da LATI nel passato aveva la sua ragione di essere; e la scomparsa di LATI ha un effetto sgradevole anche per Migros Ticino, che non potrà più offrire nell’immediato prodotti che negli anni hanno visto aumentare la domanda». Ma a quali condizioni prodotti simili potranno tornare ad avere un mercato in Ticino? Secondo Corti è necessario imparare dagli errori passati. Pertanto, il sito di trasformazione dovrà essere «su misura e flessibile» in modo da contenere i costi e, soprattutto, dovrà tenere conto della fluttuazione dei volumi di latte tra la produzione estiva e quella invernale. Il messaggio ai produttori è chiaro: «Anche in estate, il caseificio dovrà ricevere una sufficiente quantità di latte dagli alpeggi per produrre con costanza formaggi molli, iogurt e latte pastorizzato». 

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