Giovani

«I ritmi della società non corrispondono ai tempi dell’educazione»

Ilario Lodi (Pro Juventute) prova a comprendere i fatti di Bellinzona e a inquadrare «la difficoltà dei giovani di contestualizzare, oggi, le conseguenze di ciò che si fa»
© Keystone/Elia Bianchi
Paolo Galli
03.06.2024 21:30

«Sono situazioni sorprendenti, ma...». C’è subito un «ma» nelle parole di Ilario Lodi, responsabile per la Svizzera italiana di Pro Juventute. Sì, perché la sorpresa è «mitigata dalla contestualizzazione». E poi si spiega, chiamando in causa «l’incapacità, che hanno oggi i giovani, di contestualizzare ciò che stanno facendo, di mettersi nelle condizioni di immaginare le conseguenze di cosa stanno facendo. D’altronde sono sempre, costantemente, confrontati - ed è una questione globale, intendiamoci - a una fretta tale e a un’accelerazione tale, che non consentono loro di maturare un’esperienza che vada a cristallizzarsi all’interno delle loro coscienze. È come se tutto dovesse viaggiare sempre a velocità folli. Ma queste velocità non corrispondono ai ritmi e ai tempi dell’educazione. Ai ragazzi manca proprio il tempo per maturare esperienza, per prendere coscienza di quello che è successo e che sta succedendo, per mettere tutto ciò in una prospettiva temporale volta al futuro».

L’analisi di Lodi va oltre. «I genitori si sentono costantemente dire che “senza l’inglese sei fuori dai giochi”, che “se non saprà programmare non avrà futuro”, che “se non si formerà di continuo non avrà carte da giocare”. Sono quindi portati a credere che più offrono e chiedono ai ragazzi, meglio è. Oggi si parla allora di competitività, che in realtà a livello etimologico significa andare tutti nella stessa direzione. Ma che oggi è tradotto con mors tua vita mea». Manca insomma, per Lodi, la dimensione della collettività. «È come se fossimo dentro a un vortice. E ci sentiamo disorientati. Non sappiamo più quali siano i canoni di riferimento in ambito educativo».

Che fare quindi? «Dobbiamo tornare a considerare il concetto di collettività, prendendoci il tempo di offrire ai nostri figli esperienze in senso educativo, prima ancora che in senso formativo. Questo ci permetterebbe già di fare un passo in avanti, perché dimostreremmo loro che ci prendiamo del tempo per crescere con loro». Per vivere con loro. Ma torniamo a quel nichilismo di cui sopra. Proprio quello è legato a un’assenza. Lodi parafrasa Galimberti. «D’accordo, l’ospite è inquietante, ma dovremmo aver imparato a conoscerlo. Noi adulti non abbiamo creato, per i ragazzi, sufficienti possibilità per raggiungere questo tipo di sensibilità, che ti faccia pensare alle conseguenze di ciò che fai. Non è una problematica nuova, anzi, deriva ancora dalla rivoluzione industriale». Parlando con Lodi, pensiamo - evidentemente generalizzando - ai genitori di oggi e a come sia cambiato il loro rapporto con le istituzioni scolastiche, alla tendenza a colpevolizzare la scuola. Siamo fuori tema? «Non direi. Ritengo che i genitori debbano essere tenuti fuori dalla scuola. Ma la scuola - che deve far fronte a una grande complessità sociale - rimane l’istituzione preposta all’educazione dei nostri ragazzi nell’ambito extrafamiliare. I genitori la colpevolizzano quando si sentono espropriati del loro diritto di educare i figli. C’è una forte tendenza, oggi, a credere di dover delegare all’esterno la completa educazione e formazione dei figli. È una tendenza molto accentuata. Però le famiglie, in realtà, hanno tutti gli strumenti per potersi prendere cura dei propri ragazzi e della loro educazione, affidandosi alle istituzioni preposte per la formazione».

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