La scienza

I robot alla SUPSI ora imparano a facilitarti la vita

Esoscheletri, telecomandi a puntamento, computer che capiscono e rispondono: il Dipartimento tecnologie innovative guarda alle rivoluzioni all'orizzonte
Da sinistra a destra, Alessandro Giusti, Massimo Coluzzi, Milena Properzi (direttrice Dipartimento tecnologie innovative SUPSI) e Loris Roveda
Jona Mantovan
08.12.2022 09:57

Un esoscheletro che rende meno faticoso sollevare e muovere oggetti. Un portiere d'albergo virtuale che risponde in quattro lingue via messaggio (e capisce quel che gli stiamo chiedendo). Un telecomando 'magico' che permette di interagire con le macchine puntandolo verso di loro. Queste sono solo alcune delle rivoluzioni che ben presto scenderanno in campo per assisterci nella vita quotidiana. Robot e programmi stanno 'imparando' a rendersi utili con l'addestramento degli scienziati che lavorano sotto il 'tetto' del Dipartimento tecnologie innovative della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana. Sei istituti di ricerca che spaziano dalla meccanica all'elettronica, dall'informatica all'intelligenza artificiale, passando per la scienza dei dati in campo medico. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a una fioritura di progetti che riguardano la collaborazione tra uomo e macchina», sottolinea la direttrice del dipartimento SUPSI, Milena Properzi. «La maggior parte di questi è sviluppata in collaborazione con le aziende. Sono loro a chiederci di elaborare soluzioni a determinati problemi. La crescita in questo particolare settore, quindi, è legata a doppio filo con le domande che arrivano dall'industria». 

Nel grande stanzone al secondo piano dell'ala est del campus di Viganello, il professore Alessandro Giusti—con i ricercatori Jérôme Guzzi e Gabriele Abbate—sta sistemando le ultime righe di codice per la dimostrazione. Il terzetto opera all'Istituto Dalle Molle di studi sull'Intelligenza Artificiale, un ente congiunto tra Università della Svizzera Italiana e, appunto, il Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI. Sulla fila di tavoli di lavoro posti su un lato del locale, oltre vari schermi e tastiere, sono appoggiate alcune barrette di plastica bianca con l'adesivo ‘IDSIA’. Sul pavimento, due robusti mezzi che potrebbero ricordare quelli che si vedono sui cantieri, ma in scala decisamente ridotta. «Sono i nostri robot, hanno delle ruote particolari che permettono loro di muoversi in tutte le direzioni», spiega Giusti, indicando anche un altro dettaglio del piccolo macchinario: «Qui c'è una telecamera che permette loro di vedere quel che hanno davanti». Una serie di cilindri rivestiti di una scacchiera in bianco e nero completano la scena. «Tutto pronto», conferma Jérôme.

Sei anni fa non c'era nulla del genere e oggi la tecnologia è matura al punto in cui stiamo elaborando dei prototipi su scala reale
Alessandro Giusti, professore SUPSI

La potenza di un dito

«Immaginiamo di trovarci in un magazzino. O in un ambiente pieno di nastri trasportatori», riprende il professore SUPSI, muovendo le braccia indicando il pavimento, facendo così sott'intendere di esserci trasformati in 'giganti' che guardano il mondo dall'alto. «Abbiamo voluto elaborare un sistema intuitivo per comunicare con le macchine. Cosa devono fare? Dove devono muoversi? Il nostro sistema prevede l'impiego di un braccialetto o di un telecomando. Dopodiché non si dovrà far altro che... puntare il dito. Un gesto molto ‘umano’, diciamo, che ci viene naturale già da quando siamo molto piccoli», esclama il 40.enne. Intanto, Gabriele ha preso una ‘barretta/telecomando’ dal tavolo e si è messo al centro della stanza. «Con un semplice cenno della mano, siamo in grado di dire alla macchina di prendere un oggetto e di spostarlo da un'altra parte».
La mini-automobile emette una serie di rintocchi facendo lampeggiare una lucetta. Si avvicina al cilindro ricoperto dal motivo a scacchiera e lo afferra con la pinza installata sulla parte anteriore. Poi fa marcia indietro, portando l'oggetto con sé. «A questo punto, Gabriele può muoverlo dove vuole». Il ricercatore muove il braccio. Il piccolo robot, grazie al segnale emesso dal telecomando, capisce al volo e raggiunge, in tempo reale, un altro punto della stanza. Un'altra pressione del pulsante, un'altra serie di rintocchi ed ecco fatto. Il cilindro è depositato dove doveva. «Sei anni fa non c'era nulla del genere e oggi la tecnologia è matura al punto in cui stiamo elaborando, insieme a delle ditte che si occupano di logistica, una serie di prototipi di applicazioni da proporre su scala reale», ammette Giusti. Ma non è finita qui. Già, perché lo scienziato prende un secondo telecomando. «Questo sistema permette a diverse persone contemporaneamente di interagire con più robot. Ora, mentre Gabriele controlla quello, io posso prendere quell'altro, mi basta indicarlo». 
Nella stanza, all'improvviso, è tutto un concerto di rintocchi e rumori di motorini che girano, pinze che afferrano e cilindretti da depositare di qua e di là, con tanto di lucette lampeggianti. Anche se sono solo due esperti all'opera, è facile immaginare un ambiente molto più grande, con molti più robot e molte più persone in grado di controllare le macchine in modo semplice, leggero e naturale. 

Immaginiamo quanto possa alleggerire chi opera nella logistica, nell'edilizia... o in tutte le situazioni in cui ci sono in gioco dei carichi pesanti, o dov'è necessario spostare continuamente pacchi o merci
Loris Roveda, ricercatore SUPSI

Niente più schiena rotta

Alessandro Giusti, Jérôme Guzzi e Gabriele Abbate chiudono dai loro computer le varie finestre di Visual Studio Code, l'ambiente in cui hanno sviluppato i codici che governano tutto il sistema. Si tratta di uno strumento piuttosto comune a tutti gli scienziati che lavorano a progetti simili. Mettono tutto al loro posto anche perché, alla porta, ci sono già altri due ricercatori SUPSI (e sempre dell'Istituto ‘Dalle Molle’), Loris Roveda e Shahid Asad Ali. È il loro turno per una serie di prove su due progetti. Loris appoggia una struttura che ricorda un'armatura ripiegata su sé stessa su un altro tavolo, in un angolo. Di colore rosso lucido, il cui materiale ricorda molto da vicino quello sintetico delle stampe '3D', sembra sia stata assemblata a mano e tenuta insieme da una serie di viti e bulloni in acciaio.
«Si tratta di un esoscheletro per il sostegno della schiena, pensato per essere usato dagli operatori nelle applicazioni industriali», spiega Loris Roveda. 

«È stato realizzato in collaborazione con Brixia, un'azienda bresciana, e con l'Università di Bologna, che ci ha aiutato nella fase di test e per capire quale sia la percezione di un operatore nell'indossare questo dispositivo—spiega Loris Roveda—. Per capire meglio, però, ora Asad mi darà una mano...». Ed ecco che il collega, specializzato in ottimizzazione e apprendimento per sistemi robotici, districa il prototipo di quel che potrebbe sembrare una sorta di ‘schiena meccanica’. «Abbiamo due lacci che si chiudono con un sistema simile a quello degli zainetti. Di fatto, il dispositivo va indossato proprio come se fosse uno zainetto», continua il quarantenne. «Il meccanismo segue il movimento della schiena della persona durante il sollevamento, ad esempio. Una molla accumula energia durante il movimento, rilasciandola quando la persona vuole ritornare in posizione verticale». Asad raccoglie una scatola ai suoi piedi per dimostrare il comportamento dell'estensione meccanica.
Una sorta di 'batteria' che risparmia un carico eccessivo sulla schiena accumulando e rilasciando l'energia cinetica al momento giusto. «Immaginiamo quanto possa alleggerire chi opera nella logistica, nell'edilizia... come pure può essere utile in tutte le situazioni in cui ci sono in gioco dei carichi pesanti, o dov'è necessario spostare continuamente pacchi o merci», evidenzia il ricercatore. 

«Questo prototipo è ‘passivo’, ma stiamo sviluppando anche un prototipo attivo, vale a dire dotato di una serie di motori, in grado di sfruttare un sistema basato sull'intelligenza artificiale in grado di riconoscere l’intenzione di movimento della persona e di stimare il carico da sollevare, affinché sia in grado di fornire un’assistenza migliorata e ottimizzata alla situazione».

È un sistema interessante per manipolare in maniera più efficace e diretta delle componenti da lontano
Loris Roveda, ricercatore SUPSI

Una mano lontana, eppure così vicina

«Ma abbiamo anche un secondo progetto», aggiunge Roveda, mentre aiuta il collega a sganciarsi dall'esoscheletro. «Si tratta di un guanto aptico, della start up Weart di Milano. La nostra invenzione è in grado di trasmettere la quantità di forza e la temperatura alle dita, in base alla ‘sensazione’ rilevata da un braccio robotico remoto. In pratica, questo dispositivo è in grado di trasmettermi, a distanza, una sensazione simile a quella che avrei se facessi il lavoro al posto della mano meccanica. Ovviamente, anche i vari movimenti della macchina sono controllati in maniera naturale dai miei movimenti».
Intanto il collega ha raggiunto una postazione in un angolo dello stanzone, per far partire il programma che tiene traccia del movimento. Su un banco da laboratorio all'altro lato, invece, c'è lui: un braccio robotico, ancora a riposo. Un dispositivo che capita di rado di vedere dal vivo e impiegato soprattutto nelle grandi fabbriche, lontano dai riflettori della pubblicità. Vicino al notevole apparecchio, un altro computer, più grosso. Un altro programma sta girando per far 'parlare' il braccio meccanico con il resto del sistema. Un grande logo sull'angolo dello schermo riporta il nome del macchinario: ‘Franka Emica’, in lettere maiuscole di colore chiaro su sfondo scuro. Più in basso, di fianco a una finestra con codici Phyton, una serie di icone colorate riportano i vari stati della macchina. 

«Sto per indossare questo particolare guanto. Un piccolo nastro di velcro attorno al polso... e poi tocca ai polpastrelli delle dita, coperti dal componente principale di questa tecnologia», dice il giovane scienziato, commentando passo dopo passo i vari passaggi. Il ‘guanto’ sul dorso della mano ha una serie di bastoncini con, all'estremità di ognuno, delle sferette ricoperte da uno strato di vernice riflettente. «Ci spostiamo nell'area dedicata al tracciamento del movimento del polso. Ci sono diverse camere, quelle con il cerchio blu sul soffitto, che ‘leggono’ la posizione della mia mano, in modo tale poi da comandare la posizione del robot nella fase di telemanipolazione».
«Fai una prova, senti la forza?», chiede Asad, in inglese. «Tutto ok», risponde Roveda. Ora il braccio robotico replica gli stessi suoi movimenti, in tempo reale. Il ricercatore assomiglia a un direttore d'orchestra che controlla un automa, una sorta di Topolino nella sequenza dell‘«Apprendista stregone» in «Fantasia». «È un sistema interessante per manipolare in maniera più efficace e diretta delle componenti da lontano. In questo caso posso prendere questo pezzo e spostarlo, ricevendo un riscontro immediato su quanta forza sto applicando al componente». Roveda intanto fa sollevare un ingranaggio posto appena al di sotto del cosiddetto ‘effettore finale’ per poi spostarlo sulla sinistra. E appoggiarlo delicatamente sulla superficie. Ma per lui è solo una sensazione trasmessa dal robot tramite i sensori aptici.

Qui gli studi hanno una caratteristica in comune: essere progetti di ricerca applicata, allo scopo di risolvere problemi concreti. Ne abbiamo oltre 230 progetti in corso per un volume finanziario di circa 22 milioni
Milena Properzi, direttrice del Dipartimento tecnologie innovative SUPSI

L'automa che ti capisce (via messaggio)

«La maggior parte dei nostri progetti è sviluppata in collaborazione con le aziende e l'implementazione sul mercato avviene non appena il sistema o la tecnologia sono pronti», ribadisce la direttrice del Dipartimento tecnologie innovative, Milena Properzi. Dopo aver congedato i due ricercatori SUPSI che operano sotto il cappello dell'Istituto Dalle Molle, è il turno di una breve presentazione dell'Istituto di sistemi informativi e reti, la cui sigla, è ISIN (la ‘N’ finale sta per ‘networking’, 'reti', ndr). «Sviluppano soluzioni sulle piattaforme in rete spaziando dalla realtà aumentata, la realtà virtuale e altri campi di applicazione», spiega la 50.enne mentre raggiunge la ‘Biblio Agorà’, dove il docente-ricercatore Massimo Coluzzi sta preparando la dimostrazione con i ricercatori Omran Ayub e Simone Sguazza. Al contrario dell'Istituto Dalle Molle, l'Istituto sistemi informativi è sotto la completa ‘responsabilità’ della SUPSI.

«Qui da noi si concretizzano applicazioni che fino a qualche anno fa sembravano impossibili—sottolinea Properzi—. E gli studi hanno tutti una caratteristica in comune: essere progetti di ricerca applicata, allo scopo di risolvere problemi concreti. Nel dipartimento abbiamo oltre 230 progetti in corso, mentre il loro volume finanziario, nell'insieme, si situa intorno ai 22 milioni. La maggior parte dei fondi provengono da enti esterni», conclude la direttrice. Intanto, il gruppo di lavoro di Coluzzi è pronto. Si accende una grande lavagna digitale. Un gigantesco schermo sul quale campeggia la sagoma di un fumetto verde scuro con una grande scritta bianca all'interno: «Inizia la conversazione, invia un messaggio». I colori e la disposizione degli elementi, in effetti, ricordano le popolari applicazioni di messaggistica.

«Si tratta di un cosiddetto ‘chatbot’, un agente in grado di rispondere ai messaggi—spiega il docente-ricercatore—. Questo, in particolare, è stato sviluppato pensando agli alberghi. L'idea è alleggerire il carico di lavoro dei portieri, facendo sì che le risposte alle domande più comuni, o anche la prenotazione delle stanze, sia un compito svolto ventiquattr'ore su ventiquattro dalla nostra intelligenza artificiale. Stiamo lavorando in collaborazione con due aziende del territorio allo scopo di proporre un progetto commerciale da integrare in tutti gli alberghi». Il custode del futuro, insomma, potrà contare su un collaboratore di tutto rispetto, che potrà rispondere su WhatsApp, su Messenger... «Sì, su tutti i sistemi di messaggistica più diffusi. E lo fa in quattro lingue! Italiano, inglese, tedesco, francese», esclama il 42.enne.

Il nostro programma è in grado di conoscere una quarantina di intenti differenti. E le risposte sono estratte in maniera autonoma a partire da una descrizione dettagliata dell'offerta dell'albergo
Massimo Coluzzi, docente-ricercatore SUPSI

Intanto Omran Ayub—che si occupa della parte relativa alla comprensione del linguaggio da parte del computer—e Simone Sguazza—che lavora sul fronte della 'reazione' del programma in base a quanto è stato compreso dall'agente—hanno già avviato l'applicazione, salutando il 'bot'. «Simuliamo la conversazione di qualcuno che vorrebbe prenotare una stanza». Lo scambio di frasi avviene con un linguaggio naturale e l'intelligenza artificiale afferra tutto alla perfezione. «Vorrei prenotare una camera», scrive Simone. «Bene, qual è la data del check-in?», risponde la macchina attraverso un altro fumetto. «A questo punto, se il nostro utente mette ‘domani’, ecco che il nostro agente sa a cosa ci stiamo riferendo. Capisce, quindi, che la parola 'domani' si riferisce a una data, mentre un sistema diciamo 'meccanico' si aspetta che l'utente inserisca la data attraverso un calendario, in un formato specifico», avvisa Coluzzi, sottolineando il contributo dell'intelligenza artificiale. 

Infatti, il 'robot' virtuale non fa una piega e si informa sulla data di partenza. «Mettiamo però che il nostro cliente fittizio voglia porre un'altra domanda... per esempio se può portare il gatto», propone Coluzzi. «Ecco che il nostro custode digitale capisce che non abbiamo risposto alla sua domanda e che abbiamo cambiato contesto. Quindi risponde alla nostra richiesta e pone di nuovo la domanda sulla data della nostra partenza, ricordandosi a che punto era il processo». Dopo aver completato un paio di funzioni, ecco il messaggio finale con il riassunto della prenotazione. «Posso aiutarti in qualcos'altro?». «No», batte di nuovo Simone sulla tastiera. «Arrivederci!». Un saluto dal portiere virtuale.

«Il nostro programma è in grado di conoscere una quarantina di intenti differenti. E le risposte sono estratte in maniera autonoma a partire da una descrizione dettagliata dell'offerta dell'albergo che, un domani, un operatore che segue l'attività potrà caricare all'interno del sistema». conclude l'esperto. 

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