I soldi dello zio gli costeranno il carcere?

Sono passati quindici anni dai fatti, «ma parliamo pur sempre di malversazioni milionarie» che richiedono una condanna «compensativa». E la compensazione, per la procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, consiste in una pena almeno in parte da espiare. Si è espressa in questi termini, la rappresentante degli inquirenti, nei confronti del cinquantatreenne italiano accusato di aver sottratto beni allo zio per un totale di settanta milioni di euro e del cinquantasettenne ticinese, assente al processo, che rappresentava la presunta vittima in due società elvetiche dove era confluita una parte del patrimonio. Ciò sarebbe accaduto, grazie anche a documenti con firme false, tramite vendite di immobili, incassi di affitti, cessione di azioni e altre transazioni finanziarie. Il nipote, a cui lo zio novantaduenne, in precedenza, aveva affidato la gestione di tutti i suoi affari, ha parlato di una donazione. «Voleva davvero dargli tutti i suoi beni? La risposta è un ‘no’ convinto» secondo Rigamonti. Anche perché in quel caso, a mente della procuratrice, li avrebbe divisi in modo equi fra tutti i suoi nipoti: non li avrebbe certo affidati a uno solo. «Ma il nipote non si è accontentato di quella che sarebbe stata la sua eredità, appropriandosi di tutto prima del decesso dello zio».
Le colpe sue e del secondo imputato «sono gravi, come i reati di cui devono rispondere», cioè amministrazione infedele qualificata, istigazione all’amministrazione infedele qualificata, appropriazione indebita e falsità in documenti. «Hanno agito per puro lucro». Il nipote, in particolare, «ha sfruttato il rapporto di fiducia che c’era fra lui e lo zio, approfittando anche della sua età avanzata e del fatto che aveva influenza su di lui, essendosi adoperato per salvare il patrimonio del novantaduenne dal fisco italiano». E un’influenza, secondo l’accusa, ce l’aveva anche sul cinquantasettenne ticinese, «che come avvocato aveva difeso in alcuni procedimenti penali a suo carico in Italia, oltre ad aver fatto alcuni investimenti insieme a lui». In conclusione, Rigamonti ha chiesto la condanna dei due imputati a trentasei mesi di detenzione, sospesi in parte con la condizionale. «Sono cosciente che questo implicherebbe una carcerazione di almeno sei mesi, ma questa potrebbe essere espiata anche in altre forme, come la semi prigionia o i domiciliari».
L’avvocato Giampiero Berra, legale del novantaduenne, ha invece chiesto che l’uomo possa riprendere in breve tempo le redini di quelle che erano le sue società, «perché ha bisogno di fondi per vivere decorosamente». Berra ha speso parole dure sia per il cinquantasettenne ticinese, definito «un utile idiota che rappresentava il mio assistito ma non gli diceva mai nulla, prendendo invece ordini dal nipote», sia per quest’ultimo, «una persona arrogante, con un ego smisurato, che si è comportata e si comporta ancora in modo crudele con lo zio, versandogli troppo poco per vivere». In serata ha preso la parola anche Emanuele Stauffer, legale del cinquantasettenne. «Lo zio è stato descritto come un povero indigente, ma vive in una casa di proprietà di quasi mille metri quadrati e il nipote, giustamente, paga tutte le spese a lui necessarie». Stauffer, che chiede l’assoluzione del suo cliente, si è poi soffermato su un elemento cardine del processo: i documenti con le firme false. «L’unica cosa che si può dire sull’autenticità di quelle firme è: ‘Chi lo sa?’. Il dubbio è l’unica conclusione giuridica possibile, perché le quattro perizie effettuate hanno portato a quattro opinioni diverse». Domani parlerà l’avvocato del nipote.