I test di H&M? «Un insulto all'intelligenza»

Messi alla prova su una trentina di test di intelligenza per poter mantenere il proprio posto di lavoro. Sembra incredibile ma è quanto successo ai dipendenti di H&M. Il famosissimo colosso svedese di moda ha deciso di sottoporre ben 1.500 dei suoi dipendenti a diversi test di intelligenza per determinare chi sarebbe stato licenziato e chi no. Una strategia che, secondo quanto riferito dalla stessa H&M, dovrebbe «aiutare a creare una panoramica delle competenze che gli attuali dipendenti possiedono». Giustificazione che non ha convinto più di tanto e che, anzi, ha fatto storcere ancora di più il naso. Per comprendere meglio la situazione abbiamo parlato con Giorgio Fonio, sindacalista dell’OCST.
Stringere la cinghia
Partiamo, innanzitutto, da quello che è successo in Svezia nelle scorse ore. In realtà, i problemi per il marchio di abbigliamento low-cost sarebbero cominciati già a monte. Già da qualche mese. In seguito allo scoppio della guerra in Ucraina, quando il colosso svedese ha deciso di chiudere i negozi della propria catena presenti su suolo russo. Questa scelta ha però causato un calo dei ricavi per il gruppo. E tutto ciò senza contare l’aumento dei costi di produzione.
«Ci hanno chiamato piangendo»
Ragioni che avrebbero portato H&M a ragionare su un taglio dei posti di lavoro nel settore Business Tech di Stoccolma usando, appunto, i test di intelligenza come discrimine per stabilire chi potesse restare a lavorare e chi no, come spiega il quotidiano svedese Svenska Dagbladet. Secondo il giornale, l’azienda ha ribadito che l’obiettivo di questi test sarebbe stato quello di permettere alla dirigenza una valutazione sul livello di intelligenza e il tipo di personalità dei dipendenti. In un settore che conta sui 3.500 impiegati. Apriti cielo. «Ci sono arrivate telefonate dai dipendenti di H&M in lacrime», ha riferito Robin Olofsson, rappresentante di Unionen, il maggiore sindacato svedese. «Alcuni di loro hanno raccontato di aver dovuto sottoporsi fino a 30 test diversi».


«Un insulto all’intelligenza»
Una situazione che ha dell’incredibile. Come ci conferma Giorgio Fonio: «Non ci sono quasi le parole per descrivere un simile approccio». È evidente che la decisione di licenziare delle persone dopo che le si è sottoposte a un test di intelligenza sia profondamente irrispettosa, prosegue il nostro interlocutore, «è proprio un insulto all’intelligenza e alla dignità ed è quasi paradossale che questo sia frutto di un test di intelligenza. Anche perché, da quello che ho potuto vedere, i dipendenti stanno vivendo una situazione di profondo stress e di disagio a causa di questo approccio. Non è questo il modo in cui si affrontano le difficoltà».
Giocare sulla pelle delle persone
Secondo Fonio, è proprio il principio alla base ad essere sbagliato: «È assurdo. Valutare un dipendente secondo un test di intelligenza vuol dire tenere in considerazione soltanto alcuni elementi». L’intelligenza, prosegue il nostro interlocutore, è un campo vasto, fatto di mille sfaccettature. Non è possibile definirlo e limitarlo in modo univoco. «Come si fa a determinare l’intelligenza? Intelligente per cosa? C’è tutta una serie di elementi che compongono le capacità di un lavoratore. Un approccio del genere è veramente riduttivo», dice con amarezza Fonio. «Esistono competenze sociali, umane, relazionali, la capacità di svolgere il proprio lavoro». E, a tal proposito, il sindacalista ha dei seri dubbi riguardo a chi ha promosso i test di intelligenza: «Chi ha fatto questa proposta, probabilmente, avrebbe bisogno di essere sottoposto a un test. Ma non tanto di intelligenza, quanto di managerialità, per capire se questa persona si trova effettivamente al suo posto». Oltretutto, molto spesso per effettuare questo tipo di test ci si affida a dei sistemi informatici, rileva Fonio, «e c’è tutto il problema di come andare a creare e a verificare i parametri: questo vuol dire proprio giocare sulla pelle delle persone».


Danno di immagine
Questa pratica è già stata definita «un gioco al massacro» che rischia di diffondere un sentimento di paura e ansia nei lavoratori. Ma non solo. Anche sul colosso della moda pende il rischio di ripercussioni per colpa di questa strategia, mentre la notizia continua a fare il giro del mondo. «Certo che se H&M pensava di aver avuto una trovata intelligente si è sbagliata di grosso – commenta Fonio –, visto il danno di immagine che sta subendo. E, ribadisco, il test di intelligenza dovrebbero farselo loro stessi, a livello di management». Anche perché, spiega il nostro interlocutore, un ritorno di immagine molto negativo potrebbe avere delle conseguenze sui lavoratori: «Se la gente mette in moto dei meccanismi di boicottaggio nei confronti di H&M, questi si ripercuotono poi sulle vendite e quindi anche sull’occupazione. Chi ha pensato a questi test sta creando un danno a tutta l’azienda e ai lavoratori stessi». Un serpente che si morde la coda, in sostanza.
In Svizzera come in Svezia?
E in Svizzera? Dobbiamo pensare che un domani possa succedere qualcosa di simile anche da noi? Una domanda che sorge spontanea, soprattutto perché questa strategia è stata proposta in Svezia che – come spiega Fonio – è una delle nazioni migliori al mondo per stato sociale, come in generale lo sono anche gli altri Paesi del nord Europa. Per questa ragione Fonio non esclude l’eventualità, ma non senza controbattere: «Visto che è successo in Svezia, faccio fatica a pensare che in Svizzera una cosa del genere non possa accadere. Di certo come sindacati ci opporremmo. Senza alcuna esitazione».
