L'intervista

Ignazio Cassis: «La clausola di salvaguardia è un bel passo avanti»

Intervista a tutto campo al "ministro" degli Esteri sul controverso dossier degli accordi con l'Unione europea
©OLIVIER MATTHYS
Giovanni Galli
18.08.2025 06:00

È in pieno svolgimento la consultazione sul pacchetto di accordi bilaterali negoziato da Svizzera e Unione europea. Gli enti interessati avranno tempo fino al 31 ottobre per dire la loro su un documento che consta di oltre 1.800 pagine. Con il capo del DFAE Ignazio Cassis affrontiamo alcuni fra i punti più controversi, in particolare per quanto riguarda gli aspetti istituzionali (ripresa dinamica del diritto) e l’immigrazione.

Il consigliere agli Stati grigionese del Centro Stefan Engler ha accusato il Consiglio federale di fare propaganda sui trattati con l’UE e non informazione. Come risponde?

«Su ogni tema di sua competenza il Consiglio federale fa un’informazione trasparente, completa e corretta, che tiene conto sia dei favorevoli sia degli avversari. Prima di Natale, quando aveva informato sulla conclusione dei negoziati con l’UE, era stato accusato di non avere abbastanza entusiasmo. Ognuno ha le sue idee».

Con l’adozione dinamica del diritto UE e il ruolo preminente della Corte europea di giustizia nella risoluzione delle controversie faremmo un passo verso l’integrazione istituzionale e giuridica?

«I contrari cercano di far passare l’adozione dinamica del diritto per un’integrazione giuridica nell’UE. Questo non è vero. L’adozione dinamica del diritto è limitata agli attuali cinque accordi di accesso al mercato UE (libera circolazione, ostacoli al commercio, trasporti terrestri e aerei e prodotti agricoli) e ai due nuovi accordi sull’elettricità e la sicurezza alimentare. Questo campo di applicazione preciso non può essere esteso dall’UE da sola. Le eccezioni in settori chiave (ad esempio per la protezione dei salari e la migrazione) garantiscono che questi non si toccano. Già oggi adeguiamo autonomamente il nostro diritto all’UE, nel nostro interesse. Con questo passo lo faremmo in modo più strutturato, ma sempre con la libertà di non farlo. In caso di controversia tra Svizzera e UE non sarà la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) competente, ma un Tribunale arbitrale paritetico. E questo Tribunale avrà un membro svizzero, un membro dell'UE e un presidente designato da due membri».

C’è però chi contesta questa affermazione, sostenendo che tutte le questioni relative al diritto europeo dovranno essere sottoposte alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la cui interpretazione sarà vincolante. Il Tribunale non potrebbe ignorare questi pareri. Potrebbe fare chiarezza?

«L’ultima parola in caso di controversia tra Svizzera e UE spetta al Tribunale arbitrale. Ciò è un buon risultato negoziale. La CGUE non potrà mai intervenire di propria iniziativa, ma potrà fornire al Tribunale arbitrale, su richiesta di quest’ultimo, spiegazioni relative all’interpretazione delle leggi UE. La Svizzera e l’UE europa restano infatti sovrane nell’interpretare le proprie leggi. Non dimentichiamo poi che in quasi 25 anni di accordi bilaterali, le controversie non risolte politicamente sono solo una trentina».

Che mezzi avrà la Svizzera per tutelare la sua sovranità?

«La sicurezza del diritto. È la migliore garanzia di indipendenza. Nei rapporti internazionali, quando prevale la forza del diritto, siamo al sicuro; quando, come oggi vediamo con gli Stati Uniti, il diritto è indebolito, siamo vulnerabili. Con questi accordi rafforziamo la certezza giuridica».

Quindi secondo lei l’atteggiamento degli USA è anche una buona ragione per accogliere questo pacchetto di accordi?

«Il Consiglio federale è convinto che più grande è l’incertezza, più sono strategicamente necessarie relazioni stabili e prevedibili anche con i nostri vicini e dunque con l’Unione europea , che è il nostro primo mercato».

La Svizzera dovrà adottare dinamicamente la legislazione europea negli accordi interessati. Il popolo si può opporre a una misura ma in questo caso la Svizzera potrà subire misure compensative (sanzioni). Si può ancora parlare di libertà di voto? A maggior ragione non sapendo ancora quali potrebbero essere le misure compensative in caso di no popolare?

«L’adozione dinamica degli accordi è essenziale per la nostra prosperità, ma va conciliata con le regole costituzionali svizzere. Abbiamo ottenuto un risultato importante: possiamo opporci a un adeguamento al diritto UE non voluto, conoscendone le conseguenze. L’UE potrà reagire solo con misure proporzionate e mirate, come già avviene in vari accordi commerciali con altri Paesi. La novità è che non potrà più agire unilateralmente — come fece escludendoci da Horizon Europe, dall’equivalenza borsistica o dalla regolazione elettrica — perché la procedura di disaccordo e i principi di riequilibrio sono ora definiti. In breve: siamo liberi di dire di no, assumendoci responsabilità».

Quanta voce in capitolo avrà la Svizzera a Bruxelles nella stesura degli atti giuridici che la concernono?

«Avremo la possibilità di partecipare ai lavori, parlare, capire e difendere i nostri interessi. Potremo così anticipare gli sviluppi, anche senza essere membri dell’UE, dunque senza diritto di voto. Oggi veniamo spesso a conoscenza di nuovi atti giuridici quando è tardi e più difficile intervenire».

Ma chi farebbe questo lavoro di seguire costantemente l'attività giuridica di Bruxelles?

«L’amministrazione federale in primo luogo - come già oggi. Ma anche i Cantoni e il Parlamento chiedono di partecipare allo sviluppo del diritto UE - ben inteso, non di tutto il diritto UE, ma solo della piccola parte che concerne i nostri accordi bilaterali».

L'accordo prevede anche una clausola di salvaguardia sull'immigrazione. Quale sarebbe il vantaggio rispetto a oggi?
«In caso di gravi difficoltà di ordine economico o sociale dovute alla libera circolazione delle persone, avremmo la possibilità di attivare legalmente una clausola di protezione, secondo procedure concordate.  Oggi questa possibilità esiste solo in teoria. Il Consiglio federale ha posto in consultazione i criteri d’attivazione: immigrazione netta, occupazione dei frontalieri, disoccupazione e percepimento dell’aiuto sociale. Il meccanismo prevede che, se è superato un valore soglia o se un Cantone lo richiede, il Consiglio federale dovrà valutare l’attivazione della clausola, consultando il Parlamento e i Cantoni».

Questa clausola non rischia di essere una misura tardiva e inefficace, visto che può scattare solo a problema conclamato?

«Una clausola di salvaguardia è per definizione una misura di correzione. A monte di tali problemi abbiamo infatti regole con l’obiettivo di evitare problemi, garantendo sostenibilità al mercato del lavoro. Con l’UE siamo d’accordo di lottare contro il dumping salariale e l’abuso del sistema sociale. La clausola di salvaguardia è una valvola di sicurezza, come le valvole elettriche a casa quando c’è un corto circuito. È un bel passo avanti».

Quali ritorsioni potrebbero esserci da parte dell'UE se il Consiglio federale decidesse di limitare l'immigrazione?

«Se il Tribunale arbitrale giudica legittime le misure del Consiglio federale, l’UE potrà reagire solo nel campo della libera circolazione, ad esempio limitando l’accesso dei cittadini svizzeri. Se invece le ritiene illegittime, la Svizzera potrà comunque applicarle, aprendo una procedura di risoluzione delle controversie che, nel peggiore dei casi, porterà a misure di riequilibrio nell’ambito degli accordi di mercato, salvo l’agricoltura».

E cosa potrebbe fare la Svizzera in caso di inadempienze europee?

«Il ricorso al Tribunale arbitrale è possibile per entrambe le parti. Se la Svizzera ritiene che l’UE violi gli accordi, la questione passa prima al comitato misto, dove la maggior parte delle vertenze si risolve a livello politico. In caso contrario, si ricorre al Tribunale arbitrale. Eventuali misure di compensazione dovranno essere proporzionate, limitate al mercato interno e mirate a riequilibrare la situazione: non sarà, ad esempio, possibile intervenire sull’equivalenza borsistica per una disputa legata all’immigrazione».

Per stabilirsi in Svizzera un cittadino dell'Unione europea deve disporre di un contratto di lavoro. Ma è vero che se lavora per tre anni e mezzo e poi rimane disoccupato per altri 18 mesi, quindi per un totale 5 anni, potrà ottenere il permesso di soggiorno permanente e avrà diritto a portare in Svizzera anche i familiari, indipendentemente dalla loro cittadinanza?

«La regola non cambia: in Svizzera viene solo chi ha un contratto di lavoro. Non esiste libera circolazione dei cittadini UE, ma dei lavoratori. La residenza permanente si ottiene dopo cinque anni di lavoro, mentre oggi sono dieci per alcuni membri UE. In casi eccezionali, nel calcolo possono rientrare periodi limitati senza attività, ma mai più di sei mesi consecutivi di dipendenza completa dall’aiuto sociale. La regola è semplice: si lavora cinque anni, si ottiene la residenza e, con essa, la possibilità di ricongiungersi alla famiglia».

Si possono portare però anche familiari che non sono necessariamente cittadini dell'UE.

«Non cambia nulla rispetto ad oggi. Inoltre, non si riceve automaticamente un permesso permanente dopo cinque anni. Bisogna farne richiesta attiva. Saranno i servizi cantonali competenti a valutare ogni singola richiesta».

Quindi secondo lei non sarà più facile immigrare in Svizzera?

«La libera circolazione subirebbe delle oscillazioni relativamente contenute, come evidenzia lo studio ECOPLAN “Regulierungsfolgenabschätzung (RFA) zur Teilübernahme der Unionsbürgerrichtlinie” (pagine 17-24 in italiano) scaricabile da Internet. Qualora ci dovessero invece essere afflussi oggi non previsti, abbiamo una clausola di salvaguardia che ci permetterebbe di contenerli».